19 agosto 2011

Alla ricerca di un'anima perduta

La crisi della scuola italiana è profonda perché è in crisi di ruolo e di anima

Di Giuseppe Malpeli- Facoltà Scienze della Formazione- Reggio Emilia

Chi a diverso titolo guarda ai problemi della società nelle sue varie forme istituzionali e culturali (dalla famiglia, alla scuola, alle formazioni politiche e professionali), prova la spiacevole sensazione di non riuscire a contenerli in una interpretazione ben focalizzata, cosicché oggi appare tutto sfuggente o liquido come direbbe un grande studioso e sociologo come Bauman. La crisi non è superficiale, non riguarda nemmeno gli aspetti più organizzativi, ma profonda e strutturale. Io, per la formazione e gli studi, mi limiterò a prendere in esame la crisi che vive in particolare la scuola, microcosmo nel quale è possibile ritrovare tutti gli elementi tipici della crisi anche sociale: aumento di conflittualità, difficoltà a collegare lo studio con un progetto di vita, efficientismo come risposta a una società sempre più competitiva, conservazione e chiusura non all'esterno, ma a nuove forme di pensiero che si sono, spesso indipendentemente dalla scuola stessa, sviluppate e diffuse.
La crisi della scuola italiana è profonda perché è in crisi di ruolo e di anima: di ruolo perché non è più attuale la sua originaria funzione di formazione collettiva a una cultura, una lingua, una coscienza nazionale, e d'anima perché non sappiamo più quali fondamentali valoriali di base la scuola è tenuta- ed è capace- di dare alle giovani generazioni. Se così complessa è la crisi, per affrontarla bisogna avere una strategia del dove si comincia, altrimenti si resta nell'indistinto in cui oggi ci perdiamo. Può apparire una indebita semplificazione, ma l'ipotesi che sembra più probabile è quella di “ricominciare dal basso”.
Dobbiamo far sì che i nostri ragazzi, figli o nipoti non restino prigionieri della successione delle tante emozioni ma siano aiutati a condensarle in una progressiva “educazione dei sentimenti”; non restino prigionieri del disordinato accavallarsi dei messaggi a loro indirizzati; non restino a galleggiare sulla eterodiretta confusione intellettuale di cui tutti noi soffriamo, ma siano aiutati a sviluppare un po' di progressivo senso di responsabilità: non restino nel vuoto spinto della attuale cultura consumistica di massa, ma siano aiutati ad apprezzare la piccola virtù della serietà e dell'impegno costante e quotidiano. Se la scuola vuole davvero cambiare, non può più parlare di epiche quanto irrealizzabili riforme strutturali e organizzative, ma ricominciare dal basso, dalle fondamenta del sistema: da una buona scuola dell'infanzia, rinforzata e diffusa su tutto il territorio nazionale nelle sue pratiche migliori; da una scuola elementare profondamente ricentrata sulla sua fondamentale funzione della formazione dei sentimenti, della sintesi personale, del senso della responsabilità, della serietà nei comportamenti. Cominciare dal basso e rifare le fondamenta del sistema.
E' necessario introdurre in tutto il curricolo scolastico l'insegnamento e lo studio dei caratteri cerebrali, mentali, culturali della conoscenza umana, dei suoi processi e delle sue modalità, delle disposizioni psichiche e culturali che inducono a rischiare l'errore o l'illusione, In particolare oggi è
rilevante insegnare la “condizione umana”.
Siamo nell'era planetaria; un'avventura travolge gli esseri umani, ovunque essi siano, e nello stesso tempo devono riconoscere nella loro comune umanità, la loro profonda e radicale diversità, individuale e culturale. Diciamo giustamente che la scuola è un'istituzione culturale. In realtà, il grande passaggio sulla scuola è andato in crisi è che oggi gli insegnanti si trovano davanti alle culture, non più a una sola e identificata cultura. La scuola è alle prese con una grande mutazione antropologica e non ha ancora il personale formato per interpretarne la portata. La sua funzione oggi non più essere quella di trasmettere saperi, ma di connettere le infinite conoscenze a disposizione dei ragazzi. Il “ben pensare”, insieme alla capacità di introspezione, è o dovrebbe il nuovo modo di pensare che permette di apprendere, insieme, il testo e il contesto, l'essere e il suo ambiente, il locale e il globale. Permetterà, se messo in atto, di comprendere le condizioni oggettive e soggettive del comportamento umano.
Vorrei concludere con una testo di Robert Kennedy del 1968. Può dal mio punto di vista diventare un manifesto che riapre la questione educativa facendo interagire mondi che spesso si sono guardati con diffidenza se non con aperto conflitto: la scuola, la famiglia, i luoghi dell'educazione extrascolastica, la società più in generale.
“ Il Pil include l'inquinamento dell'aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalla carneficina per gli incidenti automobilistici. Il Pil include la perdita delle
nostre meraviglie naturali, i programmi della TV che esaltano la violenza per vendere più giocattoli. Non include, però, la salute dei nostri bambini, la qualità della loro istruzione o il nostro sapere, né la nostra vivacità e il nostro coraggio. In breve, il Pil misura tutto, tranne quello per cui vale la pena di vivere”.

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