1 marzo 2008

Young Italians Connect with Israeli and Palestinian Youth

Hod Ben Zvi, Secretary General, UPF-Israel
Giorgio Gasperoni, UPF San Marino

Twenty young Italians ages 16 to 24 spent a week in Israel and Palestinian Territories learning to know the young people there and getting involved in community service activities. Mr. Giorgio Gasperoni, Secretary General of UPF-San Marino, led the group of high school and university students and recent graduates from ten cities in Italy.
"Israel is very close to the hearts of Italians and to our history," said his daughter Daniela, a university student who organizes service projects for young people. "This trip brought me much closer to the historical places where Jesus grew up but also to the people who are living there today."
From December 27, 2007 to January 3, 2008, the young people did community volunteer work, met with local Jewish and Arab youth, and toured the country. They were welcomed by both Palestinians and Israelis, and many friendships developed.

Conferenza sul tema: Oriente e Occidente si incontrano

La Sezione UPF di Bari ha consegnato i diplomi ai nuovi Ambasciatori di Pace

«L’approccio alla pace è quello che ci spinge a cambiare noi stessi, a motivare le nostre famiglie nell’impegno civile diretto verso chi ha più bisogno di pace».

di Franco Pasqualini

Personalità del mondo politico e delle istituzioni, rappresentanti di associazioni e un folto pubblico hanno partecipato alla manifestazione “Oriente e Occidente si incontrano” sponsorizzata dalla Federazione Universale per la Pace (UPF) di Bari. La conferenza organizzata sabato 28 ottobre 2007 presso l’Hotel 90 di Capurso, in provincia di Bari, ha avuto come relatore principale, il Presidente dell’UPF Italia, Giuseppe Calì, che ha parlato sul tema: «La necessità di una cultura di pace per la leadership, in un’era di crisi globale».
La Federazione Universale per la Pace, fondata nel 2005 con lo scopo di sviluppare nuovi modelli di “governance”, è rivolta alle “guide” sia del mondo religioso, sia di quello civile affinché, nel reciproco rispetto, propongano soluzioni pacifiche ai problemi delle nostre società.
Come è stato evidenziato, nel corso del convegno, in molti paesi si vive una condizione di pace non duratura, ma relativa. E’ vero che negli ultimi decenni sono stati evitati conflitti mondiali, ma è vero anche che non esistono la stabilità e la sicurezza garantite da una vera pace tra i popoli, tra i singoli componenti di ogni società.
In accordo a questa analisi, l’UPF sostiene che i leader politici e le guide religiose, in tutto il mondo, hanno bisogno di idee e d’ispirazioni per costruire il futuro governo dei singoli paesi e del mondo intero. La Federazione propone, pertanto, una soluzione che nasca dalla coscienza di ciascun individuo, dai sentimenti più sinceri di ognuno di noi, dalla capacità e dalla volontà di creare armonia e unità nelle nostre famiglie.
Il Presidente dell’UPF Italia, Giuseppe Calì ha spiegato che la UPF ha uffici di rappresentanza presso l’ONU a New York e a Ginevra e che sostiene la riforma e il rafforzamento delle Nazioni Unite e del suo Consiglio Economico e Sociale e propone con forza la creazione, all’interno delle Nazioni Unite stesse, del Consiglio Mondiale delle Religioni. Calì ha chiarito, inoltre, che: «L’approccio alla pace è quello che ci spinge a cambiare noi stessi, a motivare le nostre famiglie nell’impegno civile diretto verso chi ha più bisogno di pace».
Come è tradizione consolidata dell’UPF, durante la manifestazione sono stati consegnati i diplomi ai nuovi Ambasciatori di Pace. Nell’occasione hanno ricevuto il diploma l’Onorevole Lucio Marengo, il Maresciallo dei Carabinieri Giovanni Luisi, il Dottor Vito Cepparano, Funzionario della Questura di Bari e la Professoressa Alessandra Caputo.
Durante il convegno, l’On. Marengo ha rilevato che: «La parola pace non fa più notizia, i giornali sono dei bollettini di guerra quotidiani» ha, quindi, espresso la sua convinzione che «La parola pace intende le parole speranza, cooperazione, inter-religiosità, ma bisogna denunciare ciò che uccide i valori, come il consumismo. Per questo è importante, ad esempio, andare nelle scuole a parlare della pace, perché anche la formazione culturale è ormai al servizio del mercimonio».
A conclusione dell’incontro, Ludovico Pedone, rappresentante della UPF in Puglia, ha ringraziato tutti i presenti per la loro convinta e attenta partecipazione e ha accettato la proposta venuta dal pubblico di programmare, al più presto, un successivo incontro nella Città di Bari.

In un mondo cambia … un’Associazione che cresce New York Assemblea Generale UPF 2007

Del Dr. Riccardo Venturini

É molto emozionante sedersi ad un’Assemblea Generale dove accanto, davanti, dietro sono seduti i rappresentanti di tutti i Paesi del Mondo. Pensare che riunirsi, dialogare, parlarsi e ascoltarsi è possibile, è quasi un sogno. Questa volta trasformato in realtà. A New York all’Assemblea annuale dell’UPF ci siamo trovati in 192 a rappresentare ognuno il nostro Paese per favorire ogni intervento possibile per promuovere iniziative di pace nel mondo. Perché New York, perché è anche il luogo rappresentativo delle Nazioni Unite e perché è oggi una città cosmopolita e dinamica, un luogo dove si sono incontrate persone, uomini e donne, impegnate a recuperare e diffondere i valori di pace.
L’evento più significativo è stato la creazione di un Global Peace Council (Consiglio Globale della Pace, che a New York ha tenuto la prima riunione) con un obiettivo fondamentale: deliberare in modo rappresentativo il progetto di azioni della Universal Peace Federation per diffondere in maniera concreta le iniziative di pace nel mondo.
Il 2008 è appena incominciato e i conflitti in atto nel mondo sono ancora molti. Dobbiamo essere capaci di fare uscire le nostre energie, le nostre risorse e trasformarle in azioni di pace da portare e da agire nei vari angoli del mondo. Una prospettiva questa che è proprio inclusa negli scopi del Global Peace Council, per scendere in campo e offrire strumenti per il dialogo, per il rispetto e per l’ascolto, l’uno nei confronti dell’altro. Dobbiamo superare i nostri limiti e avere il coraggio di partecipare, di parlare e di sostenere l’importanza di avere una fede (nel rispetto delle altre), di avere una famiglia, di avere una identità e di avere una propria idea del mondo. Dobbiamo trovare in ognuno di noi la forza di portare avanti iniziative di pace, ed è per questo che siamo coinvolti nella UPF! La nostra vita è breve! Esistono oggi circa 900 diverse religioni (ognuna con un proprio nome) e dopo avere condotto un’indagine sui nomi si è giunti alla conclusione della “vera vita”, intesa come unica e giusta per ognuno. Ovvero che la vita e la fede che ognuno saprà dimostrare possono convivere insieme nel mondo senza limitare o condizionare gli altri.
La vita è un processo, una evoluzione, con delle relazioni automatiche e conseguenti, una successione verso uno scopo. Ma la vita vera parte da Dio, proprio a San Marino dalla fondazione è impresso a chiare lettere il principio della nostra esistenza: Relinquo vos liberos ab utroque homine. Non si tratta solo di un’idea di Dio. Ma si riconosce un pensiero di libertà che è dentro l’uomo, che cresce libero e si mantiene libero insieme a Dio. Senza condizionamenti economici o implicazioni di potere. Ma soprattutto nel rispetto ognuno dell’altro e della comunità nei confronti dell’esterno.
Tutto questo a New York è stato approfondito e divulgato, dal discorso profondo che il Reverendo Moon ha rivolto ai delegati, così come pure dai singoli interventi, ed è emerso come lo scopo della UPF, così come il ruolo di ogni Ambasciatore di Pace sia di imparare ad ascoltare gli altri per poi restituire ad ognuno il principio della “vera vita” vissuta con la propria famiglia nella fede per il proprio Dio. Perché sono le azioni che facciamo che lasciano sulla terra i messaggi e i significati più forti. Il valore della nostra vita è immenso sta a noi fare in modo che ognuno possa diventarne ogni giorno più consapevole proprio per la migliore crescita della collettività.

Palestina: Capodanno 2007

Palestina Capodanno 2007: territori da esplorare, popoli da conoscere,
in una realtà da rispettare. Il viaggio di … giovani in Palestina.

Dr. Riccardo Venturini

Per ragazzi adolescenti poter vivere in prima persona esperienze a contatto con una realtà dove il conflitto è presente, come il Medio Oriente, è la prima vera consapevolezza della differenza tra un mondo di notizie lontane e a volte sovradimensionate e una realtà di essere umani che affrontano nel quotidiano la loro vita.

Dialogare e sentire i racconti e le idee delle persone, entrare nel vivo anche di una quotidianità domestica è il modo migliore per imparare a riconoscere le ragioni dell’uno e dell’altro. I ragazzi a contatto con questa situazione hanno anche la capacità di vedere oltre, ancora liberi da premesse di organizzazione della realtà secondo schemi sono in grado di cogliere i particolari di un contesto, di sentire le emozioni che una certa condizione vissuta trasmette e, più di tutti, fare tesoro di una capacità di discriminare tra vero e falso, tra torto e ragione, tra diritto e abuso.

A San Marino, in Italia, siamo cresciuti a contatto con un mondo lontano dalla guerra, la quale entra in casa solo attraverso la televisione, perciò essere capaci di guardare i servizi e di vedere nella realtà sarà possibile solo se avremo noi stessi toccato con mano quelle cose, quel mondo. Quindi il gruppo di ragazzi, fortunati ad essere stati coinvolti, ha avuto durante il viaggio la possibilità di riconoscere meglio la veridicità e la dimensione di ogni informazione che veniva loro offerta.

Questo è stato possibile perché un gruppo di adulti guidati da Giorgio Gasperoni ha voluto rendere concreta la priorità dell’UPF di rispettare le scelte e riconoscere i diritti di ogni popolazione di ogni credo religioso.

Vivere un’esperienza in Medio Oriente, a contatto con la situazione vissuta da palestinesi e da israeliani aiuta a riconoscere meglio la realtà di quel conflitto! Ogni essere umano, adolescente in particolare, nel suo sviluppo attraversa delle fasi e vivere occasioni di contatto anche con esperienze di dolore, di attrito e di ascolto, favorisce un riconoscimento di percorsi alternativi quando gli adulti si propongono come guide, come modelli, senza proporre soluzioni facili o letture semplificate. Riuscire ad indagare, leggere e scoprire ogni evento nella sua complessità e nella sua interezza è un’occasione unica.

In questo modo ogni ragazzo viene posto nella grande occasione di fare esperienza, senza semplificare, e al contrario viene aiutato a pensare correttamente, a riflettere sulla situazione e sul come saranno avanzate specifiche proposte rispetto alla prospettiva di questa condizione che solo nel tempo potrà trovare un valido accordo complessivo in armonia.

Toccare con mano è per l’adolescente il modo di rendersi conto più immediato, più facilmente percepibile, leggere poi attraverso gli occhi dell’adulto la complessità e la profondità, porta ognuno a usare meglio la mente per proporre approcci innovativi. La grande abilità dei ragazzi è che potrebbero vedere nella stessa situazione aspetti e dettagli significativi per la costruzione di un accordo di pace che occhi esperti di altri non erano riusciti a cogliere. Il processo di educazione non formale alla pace passa dall’esperienza vissuta e poi elaborata che potrà diventare un grande momento di riflessione per affrontare con adeguatezza la problematicità e la complessità della situazione.
Grazie Giorgio, una guida esperta con un gruppo di ragazzi motivati genererà energia per guidare ogni disaccordo nel conflitto verso una corretta e reciprocamente riconosciuta negoziazione. E questo è un gioco a somma diversa da zero (Teoria dei giochi di Von Neuman), dove solo la soddisfazione di entrambi i popoli porterà alla vittoria di tutti.

Venti Giovani Italiani per un progetto di Pace in Medio Oriente - Testimonianze

Chiara De Notaris

Mai avrei immaginato, all’inizio del viaggio, quale fantastica esperienza mi stava attendendo.
Come tutte le cose belle, c’è voluto un po’ di tempo per rendermi conto che non stavo sognando, che ero lì, in Medio Oriente, in quei luoghi di cui si sente tanto parlare e che fino ad allora avevo immaginato intrappolati nello schermo della mia televisione, tra macerie e kamikaze. Non ero ancora riuscita a capire cosa stesse realmente succedendo, confusa dalle vagonate di notizie disordinate sentite distrattamente da un qualsiasi giornalista italiano che, più delle parole, non dice nulla. È stata un’opportunità irripetibile: andare lì, ascoltare le testimonianze di persone, ragazzi come noi, che il conflitto lo vivono dall’interno ma, in un certo senso, da lontano. “È una questione di fiducia” ci hanno detto alcuni; “è tutto nelle mani dei potenti” hanno detto altri; si potrà, un giorno, arrivare alla pace? “un piccolo passo alla volta…ci vorrà del tempo”.

Venti Giovani Italiani per un progetto di Pace in Medio Oriente

Di Giorgio Gasperoni

Venti giovani italiani, tra i sedici e i ventiquattro anni, sono andati in Israele e in Palestina dal 27 Dicembre 2007 al 2 Gennaio 2008 per realizzare un programma di educazione alla Pace che aveva aspetti del MEPI (Iniziativa di Pace per il Medio Oriente dell'UPF). Il programma includeva: attività spontanee, incontri con giovani ebrei ed arabi e viaggi nei due paesi.
Gruppo dei ragazzi sul monte degli Ulivi
Il gruppo era composto da studenti delle scuole superiori, da universitari e neo laureati provenienti da diverse città (Milano, Bergamo, Torino, Genova, Roma, Napoli, Parma, Rimini e Pesaro) e dalla Repubblica di San Marino. Tre ragazze del gruppo, due di 16 anni ed una di 17 anni, hanno avuto il patrocinio della loro scuola, il Liceo Scientifico di Pesaro.
Per la maggior parte degli italiani, la Terra Santa è vicina al loro cuore e i problemi di quei territori sono sentiti profondamente nella loro mente e nei loro cuori. Palestinesi ed israeliani hanno dato un caloroso benvenuto ai nostri ragazzi e dai vari incontri sono nate molte amicizie. Questa progetto pilota è stato realizzato in collaborazione tra la YFWP (Youth Federation for World Peace) e il SFP (Service for Peace) ed ha avuto, certamente, un importante successo.

“Il valore della persona”

Dostojevskij diceva che una società va giudicata a seconda
del trattamento che riserva ai malati di mente

Dr. Felice Previte
Cristiani per Servire

La storia dell’umanità è segnata da sforzi tesi a garantire la dignità degli esseri umani e la sua evoluzione significativa , in breve, affonda le sue radici nella “Magna Charta Libertatum”, nella “Petition of Rights”, nella “Bill of Rights”, e nei tempi a noi vicini e prossimi, per quanto riguarda l’Italia, dalla “Costituzione Italiana” del 27 dicembre 1947, dalla “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo” della Nazioni Unite del 10 dicembre 1948 e dalla “Costituzione Europea” del 13 ottobre 2004.
Questi “Documenti” costituiscono traguardi molto importanti sulla via del riconoscimento all’individuo-persona dei diritti fondati sulla morale e sulla ragione con la difesa della persona e della famiglia, pilastri centrali delle politiche sociali.
Questi diritti dell’uomo, che costituiscono il valore della persona, sono per definizione :
1.) che tutti gli uomini nascono liberi ed uguali ;
2.) che tutti gli uomini hanno diritto di godere della vita e della libertà
In sintesi questi diritti furono proclamati nel 1776 dal Congresso degli Stati Uniti dell’America del Nord, mentre in seguito questi concetti nel 1791 la Francia li introdusse nella Costituzione e più tardi da altre Nazioni.
Riandando ai tempi passati, la definizione della schiavitù data da Aristotele era condensata nel fatto che schiavo è colui che non ha legami e quindi può essere utilizzato dovunque e nei modi diversi, un concetto dello sradicamento che noi chiamiamo libertà, quindi l’uomo libero è colui che ha legami, responsabilità ed obblighi verso gli altri, verso la famiglia
Mi sia concesso di ricordare che il diritto in senso giuridico s’intende quel complesso di norme che regolano la società civile, od una parte di essa, nei rapporti fra i suoi membri, come quello per esempio nel campo della sofferenza ed in condizioni di disabilità o handicap dell’uomo, nell’inserimento della vita sociale, del diritto a vivere in mezzo agli altri, di interagire con il mondo esterno e con altre persone.
Quindi è essenziale per l’uomo d’oggi il privilegio, non il libertinaggio, di essere autonomo.
Infatti non vi è scuola od orientamento pedagogico, progetto educativo od intervento sociale che non miri a dare una maggiore e più vasta autonomia all’individuo-persona. Ma tutto è relativo.
Il relativismo, cioè il lasciarsi portare in ogni dove da venti di dottrina molto imperanti, appare come l’unico ed indiscutibile atteggiamento all’altezza dei tempi moderni.
Si va costituendo una “imposizione” del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultimo obiettivo solo il proprio io e le sue voglie, incluse le azioni che compiono le Istituzioni.
Tuttavia va affermandosi, è da augurarsi in maniera del tutto provvisoria, una cultura di delirio verso gli animali domestici, verso i quali nutriamo un rigoroso rispetto, ma non possiamo non considerare che sono stati promossi nella serie A della considerazione giuridica e nella rivoluzione etica che costituisce una nuova moralità, un’ipocrita idolatria che supera anche il centralismo dell’uomo, riscontrando un ridimensionamento per quella parte di umanità sofferente che dovrebbe essere in vetta alla classifica delle priorità assoluta, per cui appare sempre più evidente la necessità del rispetto delle buone regole e dei diritti fondati sull’etica e sulla ragione.
Non è sufficiente pensare a pseudo soluzioni di attenzione relativa ad interventi da destinare al sociale, se non si aggiungono misure adeguate a dare risposte esaurienti anche a quelle necessità di natura psichica che logorano progressivamente le resistenze dei “malati”, dei loro congiunti e della società.
Dostojevskij diceva che una società va giudicata a seconda del trattamento che riserva ai malati di mente.
Ora in Italia come in ogni Stato avvengono fatti od episodi originati o riconducibili a menti psichicamente instabili causati dal disagio mentale assai diffuso, specie fra i giovani e gli adolescenti, per la insufficienza di strutture adeguate alla prevenzione,cura ed eventuale inserimento sociale.
In ugual misura non è pensabile che “costoro” riconosciuti tali, autori di tragedie umane, possano stare “fuori” o “rientrare” tranquillamente nelle famiglie e conseguentemente nella società, perchè in tale maniera resta completamente indifesa ed in “balia” di costoro che si devono ritenere, loro malgrado, socialmente pericolosi.
Ancora una volta auspichiamo che le Istituzioni si facciano carico di questi urgenti e gravi problemi in cui l’opinione pubblica è da tempo preoccupata, invece di formalizzarsi in inutili e dannose litigiosità che non servono né a loro né ai cittadini, perché la libertà di essa finisce dove comincia il libertinaggio della politica
E’ una sintesi di riflessione sul concetto del valore di libertà, di azione, di proposizione, cioè sull’origine della connivenza civile, sul senso della vita, del rispetto della dignità umana e sul valore della persona:

LA PACE E I POPOLI BALCANICI

Non la ricchezza, ma il rispetto per la vita può pagare il prezzo della Pace

di Rada Ristic

La pace è diventata sempre di più una cosa astratta, un’utopia. La vera pace non è mai esistita, ma di certo non per questo dobbiamo scoraggiarci, perché il tempo non finisce con il passato, né con il presente; va avanti e non aspetta nessuno. Per questo, per arrivare alla pace dobbiamo contribuire alla costruzione di un mondo migliore; soltanto migliorando il mondo arriveremo alla pace, sogno assoluto di tutti gli abitanti della terra.
Il DNA del mondo è cambiato; non esistono più delle società mono-etniche, la società mondiale del III millennio è multi-etnica e noi dobbiamo educare i nostri figli e le future generazioni alla convivenza, alla pace, alla tolleranza, cercando di combattere i pregiudizi e gli stereotipi, perché non esistono culture superiori e culture inferiori, popoli superiori e popoli inferiori. Dobbiamo riflettere sulle parole di Martin Luther King: “Noi abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma abbiamo dimenticato come si vive da fratelli”.
Dobbiamo cercare di costruire dei ponti tra i popoli, ponti che si costruiscano e non si distruggano mai. Purtroppo i nostri ponti hanno avuto un altro destino: colpiti da 10.000 mila metri, bombardati giorno e notte senza sosta per ottanta giorni e notti; questo brutto esempio deve servire per far smettere i bombardamenti come “forma di dialogo” tra nazioni, come forma di “castigo” e condanna. In un’intervista del 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, alla scrittrice americana Susan Sontag fu chiesto, tra le altre cose, cosa fosse per lei il coraggio. Lei rispose di non avere una definizione precisa di coraggio, ma di poter definire benissimo la vigliaccheria e disse che vigliaccheria è quando il pilota americano sgancia un missile per distruggere da 10.000 mila metri i ponti di altri paesi, riferendosi ai ponti della Jugoslavia. Il giorno dopo la scrittrice veniva definita come “nemico numero uno degli Stati Uniti” – ottimo esempio di “libertà di espressione e di pensiero”.
La Jugoslavia era un bellissimo esempio di come ventisette etnie diverse potessero convivere ed avere un’unica cittadinanza – quella jugoslava – grazie alla quale tutti avevano gli stessi diritti e dove la fratellanza funzionava non sulla carta ma nella pratica. Questo modello, però, ai signori della terra non andava bene e mentre la Comunità Europea veniva costituita, la Jugoslavia
veniva smembrata senza pietà, con l’appoggio di tanti paesi. Perché la Jugoslavia intera, così com’era, non poteva entrare a far parte dell’Unione Europea, ma così spezzettata potrà entrare una nazione per volta in questo “paese delle meraviglie”? La Slovenia è entrata nell’Unione Europea nel 2004 e si spera che nei prossimi anni entrino anche le altre ex-repubbliche della Jugoslavia. La strada è lunga, e alto è il prezzo pagato da questi popoli martoriati e sacrificati nel nome del nulla, solo perché vivevano in un paese comunista e il comunismo doveva essere annientato da coloro che l’hanno voluto sperimentare non a casa propria, ma a casa di qualcun altro. Purtroppo i malcapitati siamo stati proprio noi, i popoli balcanici, i popoli slavi.
Solo la forza del dialogo e la diplomazia tra le nazioni salverà il mondo, i bombardamenti lo rovineranno. Dobbiamo avere a cuore questo concetto per poter cambiare le cose, perché non la ricchezza può pagare il prezzo della pace, ma il rispetto per la vita: costruiamo questa cultura di pace e educhiamo le future generazioni al rispetto tra i popoli, poiché secondo la Bibbia tutti nasciamo con lo stesso diritto alla vita.


Rada Rajic Ristic è nata in Serbia nel 1964 e si è laureata in letteratura jugoslava e lingua serbocroata presso l'Università di Belgrado. Lavora come traduttrice letteraria e mediatrice culturale. Alcune sue poesie compaiono nell'antologia dei poeti serbi della diaspora "Il più caro fiume" e nell'antologia "Canta, popolo mio". Il suo nome appare nell'antologia "Anime in viaggio" dei poeti immigrati in Italia e nell'antologia "Tempio celeste" (Belgrado, 2001). Nel 2000 ha pubblicato la sua prima raccolta di versi "Nella valle dei desideri".
E' vincitrice del premio "Bestseller della diaspora 2000" per il miglior libro di poesia tradotta nel 2000. Nel 2001 ha pubblicato la raccolta di versi "Profumo di nostalgia". Ha vinto numerosi premi letterari sia in patria che in Italia. Nel febbraio 2001 a Roma ha ricevuto un rinocoscimento speciale dal Centro Europeo per la ricerca CESAR per la solidarietà internazionale. Ad agosto 2002 ha pubblicato la raccolta di versi "Sogno color pace". Raccolta di poesie degli scrittori serbi della diaspora in Svizzera "Il circolo degli autori della Svizzera" 2006.
Premi: Bestseller della diaspora - 2000, La pena di Kocic - 2004.

BIRMANIA

IL DOTT. BEAUDEE ZAWMIN PARLA DELLA SITUAZIONE IN BIRMANIA, DOPO I GRAVI FATTI DELL’AUTUNNO 2007.

di Elena Chirulli

Il Dott. Beaudee Zawmin, vice direttore esecutivo dell’Euro-Burma Office e referente del governo birmano in esilio, è stato intervistato da una delegazione della WFWP – Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo, Sezione di Padova, composta da Flora Grassivaro, Presidente della WFWP di Padova, Christine Segato, Elena Chirulli e la dott.ssa Maria Chiara Forcella, Ambasciatrice di Pace dell’UPF.
Il Dott. Zawmin si trovava a Verona per la presentazione di un suo libro; l’incontro è stato fissato dopo aver preso contatto con il Rev. Ven. Upali Thero, monaco buddista italiano che vive nella città scaligera e che tiene il collegamento con l’Euro-Burma Office, con sede a Bruxelles.
Nato nel 1997, l’Euro-Burma Office (EBO) promuove lo sviluppo della democrazia in Birmania sia localmente, sostenendo il movimento democratico birmano, sia sensibilizzando ed informando la comunità internazionale sulla situazione nel Myamar .

Qual è la situazione del movimento di opposizione in Birmania? Può contare sul sostegno delle donne?

ZAWMIN: Il movimento di opposizione, nonostante mille difficoltà e la terribile repressione, è molto attivo. Molte donne, nonostante la loro situazione possa essere più pericolosa poiché donne e bambini sono i più vulnerabili, prendendo esempio proprio da Aung San Su Kyi (leader dell’opposizione non-violenta e premio Nobel per la Pace) si sono attivate, hanno creato una rete ed hanno partecipato alle dimostrazioni, hanno preso posizioni leader; sebbene la protesta degli ultimi mesi sia sembrata guidata dai monaci, al loro fianco vi sono stati anche gruppi di donne.
Durante quei giorni di sangue sono stati arrestati e detenuti più di 1500 attivisti, molti dei quali donne.

REV.UPALI: La donna in Birmania non è solo relegata ai lavori domestici, negli ultimi anni ha maturato una coscienza che l’ha portata ad essere un’attivista per la pace.

Come mai non arrivano queste notizie in Italia?

ZAWMIN: Le notizie si possono trovare più facilmente sui notiziari internazionali, per la maggior parte in lingua inglese, in Inghilterra e in America. Naturalmente i media hanno dato più ampio spazio al ruolo dei monaci nell’opposizione nonviolenta.
Bisogna però capire che la dimostrazione non è partita dai monaci, bensì ha le sue origini dalla generazione attivista del 1988. Gli studenti di allora, che presero parte ai processi di opposizione, furono imprigionati per ben 15 anni e sono stati rilasciati solo pochi anni fa. Ben decisi nel continuare la loro lotta per la democrazia e i diritti umani, hanno formato all’interno del territorio birmano un movimento della società civile, creando una profonda rete di gruppi attivisti a cui si sono aggregati anche gruppi di donne.
Presentandosi come gruppi sociali all’interno della popolazione civile non rischiano di essere etichettati come gruppi politici; solo così possono operare poiché in Birmania se si appartiene o si hanno contatti con gruppi politici, si è subito imprigionati e non si può più fare nulla.

Vi è quindi un’ampia partecipazione anche dei giovani?

ZAWMIN: I giovani collaborano, ma non posso certo svelare molti dettagli in questa risposta.
E’ un argomento molto interno al movimento di opposizione. Non posso dare più informazioni.
Ci sono gruppi per la difesa dei diritti umani. Si fanno chiamare “Human Rights Defenders”.
Il loro ruolo è insegnare ai Birmani i loro diritti. Per esempio se qualcuno dovesse essere prelevato dai soldati, dovrebbe almeno avere la possibilità di chiedere spiegazioni.
La dimostrazione dei monaci ha avuto luogo in settembre e, dopo un mese, sono scoppiate altre dimostrazioni. La situazione è degenerata a causa dell’aumento del prezzo della benzina. Vorrei farvi capire che il popolo birmano era già abbastanza povero, con il 70% della popolazione che vive al di sotto del limite di povertà non potendo neppure permettersi un pasto al giorno. Dopo l’incremento dei prezzi, il carburante è diventato ancora più costoso, addirittura proibitivo, 500 volte il prezzo precedente. Nessuno avrebbe più potuto acquistarlo. Con i mezzi di trasporto pubblici bloccati, a causa del prezzo della benzina salito alle stelle, nessuno poteva più recarsi al lavoro, né vendere le proprie mercanzie.

Così da chi è iniziata la rivolta?

I giovani, gli attivisti, i leader di gruppi hanno spinto il governo ad abbassare il prezzo, poiché il popolo stava morendo di fame. Questo era il loro principale obiettivo, la rivolta è nata da una buona intenzione.
I militari si sono opposti con la forza e con azioni brutali, sfociate nel sangue. Hanno sparato a chiunque nelle strade della città e hanno portato via tutti i leader dei gruppi in rivolta.
A quel punto i monaci si sono uniti ai dimostranti. Anche i monaci vivono in una situazione di grande disagio e soffrono.
Vi spiego meglio com’è iniziato. I monaci non hanno più accettato cibo dai militari (generalmente si sostengono grazie alle offerte da parte della popolazione); in un paese buddista se i monaci rifiutano di accettare cibo da una persona, significa che reputano quella persona l’impersonificazione del “male” o, comunque, un individuo con cui non bisogna allearsi.

Nell’ottobre del 2007 gli stati aderenti all’ASEAN tentarono di fare pressioni su alcuni Generali del governo militare per aprire nuove prospettive.
Lo ritiene un segnale importante?

ZAWMIN: Sì, è importante. Questo è un punto veramente importante. Tutti noi dovremmo fare pressioni su questo punto. Manca un sostegno dalle nazioni partecipanti all’ASEN. Uno dei principali problemi con i ministeri degli esteri dei paesi partecipanti all’ASEN è la “politica di non interferenza”. Cercano di evitare di coinvolgersi ed interferire con le varie politiche interne, qualunque problema sussista. In questo periodo dopo le dimostrazioni, i disordini, paesi come Indonesia, Singapore, Malesia e Filippine non sono più sicuri di poter proteggere gli stati membri. La comunità internazionale conosce cosa sta accadendo in Birmania.
Anche se non si interviene direttamente, abbiamo urgente bisogno di delineare una “roadmap” e spingere per attivare un sistema democratico. Stiamo cercando di arrivare a questo e non solo, è importante anche premere affinché il governo birmano rilasci i prigionieri politici, in primis la Sig.ra Aung San Su Kyi.

Come vede la posizione delle Nazioni Unite verso la situazione Birmana? Potrebbe avere più voce?

ZAWMIN: Il problema del popolo Birmano deve essere risolto nel nostro paese ma certamente con l’aiuto della comunità internazionale. Abbiamo quindi bisogno di un forte coinvolgimento delle Nazioni Unite come mediatori.
A dire il vero l’ONU non ha l’autorità di interferire con i problemi del Myamar, così come ad esempio neanche l’Italia potrebbe coinvolgersi senza interferire con la nostra situazione. Quello che veramente auspicheremmo è una sinergia di tutte le nazioni, comprese le nazioni asiatiche, la Cina e la Russia, che in collaborazione con le Nazioni Unite possono formare un’unica voce capace di fronteggiare il regime militare e in grado di spingere per trovare una soluzione.
La via che proponiamo è il dialogo tra il leader dell’opposizione Aung San Su Kyi ed i militari.
Stiamo dicendo a nazioni come Cina e Russia di relazionarsi con i militari e dire loro di risolvere il problema per il bene della nazione, per le persone e per la stabilità della regione.
Quello della Birmania non è solo un problema interno.
Il Myanmar produce droga e questo porta con sé una molteplicità di problemi.
Abbiamo tantissime persone che fanno uso di droga e purtroppo l’uso promiscuo di aghi per iniettarsi sostanze stupefacenti ha generato una situazione epidemica di infezione da HIV. Una persona su nove in Birmania ha contratto il virus HIV; così anche le nazioni confinanti rischiano di ereditare lo stesso tipo di problematiche.
Da poco Cina e Tailandia hanno incominciato ad affrontare questa problematica, poiché la droga sta entrando in questi paesi.
Lo scorso anno la Birmania ha prodotto 700 milioni di dosi (Speed). Come potete comprendere, non è solo un problema interno alla Birmania. Il regime militare ha chiuso le scuole e le università e i giovani non hanno possibilità di fare nulla. Nessuna possibilità di lavoro, la disoccupazione raggiunge il 50/60%. Cosa dovrebbero fare?

A conclusione dell’intervista, il Dott. Zawmin ha rilanciato l’appello che il premio Nobel Aung Su Kyi ha indirizzato alla comunità internazionale: “Lasciate che la vostra voce di uomini liberi possa essere voce per il popolo birmano privato di ogni libertà”. Noi aggiungiamo che è una grande responsabilità che nessuno dovrebbe evitare, poiché uniti negli ideali possiamo, ognuno con la propria opera, contribuire al processo di pace mondiale.

SHANGHAI COOPERATION ORGANIZATION: CRESCENTI AMBIZIONI

A man with no allies is a men with no peace. (Nelson Mandela)

Di Carlo Alberto Tabacchi

Questa alleanza, composta da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan, sta assumendo una valenza di tipo economico-commerciale sempre più rilevante; cerca inoltre di combattere i 3 “evils”: terrorismo, separatismo ed estremismo.


Sorta nel giugno 2001, l’Organizzazione della cooperazione di Shanghai (Sco in inglese) o gruppo di Shanghai, è emersa come un’associazione con una crescente influenza politica, economica e di sicurezza.
Esperti dell’area la ritengono un’alleanza non già a 6 membri ma 2+4 (Cina e Russia + i 4 centri asiatici) o addirittura 1+1+4. Quindi, un forum per il soddisfacimento degli interessi di Russia e Cina in chiave di contenimento reciproco.
Copre il 60% del territorio eurasiatico con una popolazione di circa un miliardo e settecento milioni di individui.
Alcuni commentatori occidentali erano preoccupati per il fatto che Mosca e Pechino non solo avrebbero costituito un’organizzazione potente in Asia ma anche formato un riallineamento strategico sino-russo sfidando gli interessi globali americani.
I 6 stati hanno 4 obiettivi principali:
• Rafforzare la fiducia reciproca, amicizia e buon vicinato tra i membri;
• Incoraggiare un’efficace collaborazione nel settore politico, commerciale, tecnico-scientifico, culturale, energetico, ambientale, dei trasporti e di altri ambiti;
• Mantenere ed assicurare la pace, sicurezza e stabilità nella regione;
• Costruire un nuovo ordine politico-economico internazionale.
Un aspetto particolarmente sensibile per Mosca e Pechino risiede nel combattere 3 note minacce: terrorismo, separatismo ed estremismo religioso. Tale alleanza serve per la politica cinese essenzialmente per almeno 4 obiettivi. La Sco ha istituzionalizzato la sicurezza dei confini con Russia ed Asia Centrale, fondamentale per Pechino. Il gruppo di Shanghai ha riconosciuto i 3 pericoli sopraccitati; la vulnerabilità nei vasti territori dello Xinjinag e del Tibet è un dato di fatto: i separatisti mussulmani nella regione autonoma figura dello Xinjiang talvolta minacciano l’integrità territoriale; da ricordare le ingenti potenzialità di petrolio e gas nonché il fatto che rappresenta un’area poco popolata dove la Cina può effettuare indisturbata test nucleari. La Sco rappresenta per l’Impero di Mezzo una sorta di baluardo per contenere le mire militari ed economiche statunitensi. Infine, Pechino sta sviluppando forti legami con l’Asia Centrale: massiccia presenza economica in Kazakistan, soprattutto per via dell’estrazione di greggio e di gas e con la costruzione di pipelines; ingenti anche gli investimenti in strade e ferrovie nelle altre repubbliche asiatiche, mentre per ora rimane fuori dall’organizzazione il Turkmenistan.
Il Gruppo di Shanghai sta giocando attivamente un ruolo non solo nei confronti dei propri membri ma anche nei confronti degli stati vicini e che desiderano la pace nella regione. Tuttavia, la situazione instabile e fragile in Afghanistan rimane sempre seria ed imprevedibile. Nel Summit dell’agosto 2007 a Bishkek (Kirghizistan) il Presidente russo Putin ha ribadito ai paesi dell’alleanza il peso centrale dell’Afghanistan per lo sviluppo della regione; al meeting era invitato il Presidente Karzai come ospite di riguardo e non come osservatore. 4 paesi, - Iran, Pakistan, India e Mongolia – al momento sono osservatori. Come si deduce, ultimamente gli Stati Uniti hanno difficoltà in questa area così strategica, così delicata per i futuri sviluppi mondiali; Washington si propone come investitore e come “benefattore” attraverso programmi di sostegno economico, vincolati al rispetto di requisiti minimi di democrazia: per ora i risultati non risultano soddisfacenti o incoraggianti.
Esiste, in conclusione, una sorta di “balance of power”: da un lato la Cina non ha ancora la possibilità di imporsi militarmente, dall’altra la Russia non si è dotata di un’efficace capacità di penetrazione economica: entrambe hanno un reciproco interesse a controllarsi e la cornice dell’organizzazione si modella bene allo scopo, garantendo un contatto costante in un quadro istituzionale.

ASIA CENTRALE: UNA SCOMMESSA PER L’UNIONE EUROPEA.

Lotta al terrorismo di matrice islamica fondamentalista e diversificazione delle consistenti risorse energetiche rappresentano gravosi impegni ma anche allettanti opportunità per l’Europa nei confronti di quest’area strategica.

di CARLO ALBERTO TABACCHI

Non mancano certamente le sfide, competitive e complicate, per l’Unione Europea in uno scenario politico internazionale in crescente evoluzione. Ed in Asia centrale si trovano complesse problematiche: conflitti regionali ed in particolare separatismi locali, network di terroristi internazionali, filiere di traffico di droga e di criminalità organizzata, sicurezza energetica, presenza di regimi autoritari, difficile processo di democratizzazione, azioni militari nel vicino Afghanistan. A ciò si aggiunga che 3 grandi potenze, Stati Uniti, Russia e Cina sono coinvolte direttamente in questo scacchiere che ha conosciuto una serie di mutamenti profondi ed imprevedibili (anche nel sistema delle alleanze) dopo la caduta del comunismo sovietico e la guerra globale contro il terrorismo proclamata da Washington.
I 5 stati dell’area sono diventati indipendenti nel 1991 a seguito del collasso politico-istituzionale dell’Urss.
L’Uzbekistan (capitale Taskent), il più popoloso con 26 milioni di abitanti, è localizzato nel cuore della regione, ricco soprattutto di gas e cotone. Il Kazakistan (Astana), il più vasto (esteso ben 9 volte l’Italia!) è ricchissimo di riserve energetiche e minerarie ed è individuato per noi europei e per gli americani come il più affidabile referente dell’area. Il Turkmenistan (Ashgabat), favorito da ingenti giacimenti di gas e dipendente dalla Russia per le sue esportazioni, sta diventando sempre più un paese di collegamento con il Caucaso e l’Iran per il gas e per il passaggio di petrolio. Il Kirghizistan (Biskek), il più piccolo, ha poche risorse naturali, a parte miniere d’oro; è considerato dalla comunità internazionale un “bastione della democrazia” per la sua relativa tranquillità. Il Tagikistan (Dushanbé), il più povero dove si parla il persiano (turcofoni gli altri 4), soffre ancora della brutale guerra civile tra il 1992 e il 1997. In sintesi, ci troviamo di fronte a regimi conservatori autoritari (e personalizzati), economie largamente rurali, vetuste infrastrutture di epoca sovietica.
Il cambiamento geopolitico dopo quello sovietico verificatosi su scala mondiale dopo l’11 settembre 2001 ha coinvolto profondamente l’Asia centrale che ha visto una penetrazione statunitense, per ora con scarso successo. La regione appare al momento maggiormente orientata verso la Russia e la Cina da un punto di vista non solo geografico ma politico e culturale. Mosca e Pechino collaborano nella regione nell’ambito dell’organizzazione per la cooperazione di Shanghai che li riunisce insieme ai paesi centro-asiatici.
La complessità di tale scacchiere, la lontananza dell’Europa, la mancanza di consolidati rapporti politici e culturali hanno di fatto limitato l’azione di Bruxelles dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. A partire dal settembre 2001, l’Unione Europea ha iniziato a dedicare una crescente attenzione alla questioni riguardanti la sicurezza della regione (questioni già enumerate al principio).
Lo sviluppo degli stati post-sovietici è inoltre pregiudicato da alti livelli di corruzione e criminalità. E l’organizzazione europea ha istituito alcuni programmi con l’aiuto degli stati centro-asiatici, tra i quali il Programma di assistenza alla droga in Asia centrale (Central asia drug assistance programme), deciso sulla convinzione che il traffico di stupefacenti attraverso tali nazioni costituisse una seria minaccia per l’Europa e poi il Programma di gestione delle frontiere (Border management programme in central Asia) collegato col precedente progetto e con l’obiettivo di aiutare i paesi della regione a rendere sicuri i loro confini, specialmente quelli con l’Afghanistan.
Un punto rilevante appare il linkage tra sicurezza e sviluppo. Oltre al rafforzamento del controllo dei vasti confini per prevenire anche la minaccia terroristica ed il traffico di armi e stupefacenti, occorre che Bruxelles, senza tanti rinvii, individui ed implementi misure ed azioni volte ad elevare lo standard di vita delle popolazioni locali. E’ stato avviato un approccio di tale tipo nella instabile valle di Ferghana nella quale l’Unione Europea ha presentato un progetto di alleviamento della povertà: ma i violenti disordini e scontri scoppiati nel 2005 ad Andijan (Uzbekistan) hanno dimostrato quanto sia difficile ottenere risultati concreti.
Un discorso analogo può essere svolto nell’ambito della lotta alla coltivazione e al traffico di droga: tale attività derivano in primo luogo dalla povertà delle popolazioni locali, che come si sa bene ricavano vitali fonti di reddito. La semplice repressione è dunque insufficiente se le operazioni di polizia anti-droga non sono integrate da misure di sostegno e sviluppo dell’economia di queste regioni depresse. Sapendo che il narcotraffico fornisce importanti entrate al radicalismo islamico e al terrorismo, l’Unione Europea deve impegnarsi intensamente e con continuità nel contrasto a questo commercio, anche con agenzie specializzate delle Nazioni Unite.
Oltre al problema della sicurezza, è emerso fortemente il fattore energetico, nell’ambito di una maggiore diversificazione delle fonti energetiche e delle rotte di trasporto verso gli “affamati” mercati europei. Bisogna dire che le strategie adottate da Bruxelles non sono ugualmente condivise dagli stati membri, alcuni dei quali antepongono interessi nazionali o locali ad una politica estera comune. Non tutti i paesi del vecchio continente sembrano interessati nella stessa intensità all’Asia Centrale né hanno la possibilità concreta di intervenirvi. Le repubbliche asiatiche in questione conservano dinamiche politiche e sociali sui generis, che le distaccano dal paradigma della transizione verso il modello occidentale e le avvicinano ad altri stati, come il Pakistan o l’Iran.
E’ molto importante che l’Europa riesca in tempi brevi ad aumentare sensibilmente la propria capacità di analisi politica e culturale oltre che economica.
CONCLUSIONI.
Per la sua particolare e significativa posizione, l’Afghanistan rappresenta una regione cruciale per un serio impegno europeo in Asia centrale; 4 le motivazioni:
- la presenza Nato/Isaf è un lungo faticoso cammino e numerosi paesi europei hanno dispiegato contingenti militari: ciò richiede un forte grado di aggregazione militare e di sicurezza con i 5 governi asiatici, come basi aeree, collegamenti stradali ….; l’influenza statunitense risulta di fatto marginalizzata nel “nuovo grande gioco”, disponendo solo della base aerea kirghisa di Manas;
- la collaborazione è insufficiente in relazione alla esportazione di droga dall’Afghanistan verso i suoi vicini settentrionali, droga che poi inonda Russia e penetra nel vecchio continente;
- il confine turkmeno-afghano costituisce un grave “buco nero”;
- la necessità di analisi/misure operative dell’Unione sui trends e scenari in Afghanistan e conseguenti implicazioni in Asia centrale.
- Oltre a ciò, Bruxelles deve individuare con attenzione i suoi interessi strategici con gli altri protagonisti, Stati Uniti, Russia e Cina. L’Unione Europea si pone non come competitore geo-politico ma come fattore di cooperazione ed integrazione tra i diversi soggetti esterni ed interni.
- Come spesso purtroppo accade, l’Europa si muove divisa ed in ordine sparso anche in altri teatri: quindi, unità di intenti e stretta solidale collaborazione fra i 27 stati risultano i fattori veramente efficaci e vincenti.

La scienza non esiste per se stessa ma per il benessere dell'umanità

Esiste un fondato motivo per mettere enfasi sull’Unità tra le scienze. Una Unità che va intesa soprattutto in senso spirituale, più che in senso tecnico; un senso di unificazione nel lavorare per una causa comune, in armonia tra le varie discipline, con un profondo rispetto reciproco.

Antonio Ciacciarelli
Segretario Generale ICUS

Fin dall'inizio, il fondatore della Conferenza Internazionale sull'Unità delle Scienze (ICUS) ha chiesto che queste perseguissero due temi correlati: l'Unità delle Scienze in relazione ai Valori Assoluti. Per la maggior parte degli scienziati, il primo tema era una astrusità, il secondo un’assurdità.
In effetti più la Scienza si è sviluppata, più si è suddivisa in discipline e specializzazioni sempre più specifiche, che di conseguenza hanno difficoltà sempre maggiori di integrazione e di comprensione reciproca. Ognuna di esse ha infatti un proprio glossario, una propria grammatica, una specifica sfera di ricerca.
La scienza oggi è diventata perciò un torre di Babele, e l’integrazione tra le varie discipline sembra un’utopia. Il Prof. Seyyed Hossein Nasr della Washington University ha affermato in proposito: “Le scienze naturali hanno perso la loro intelligibilità simbolica, fatto che ha una diretta responsabilità della crisi nella quale il mondo scientifico moderno si trova; crisi che consiste nell’incapacità di fornire una visione del mondo".
Vi è quindi un fondato motivo per mettere enfasi sull’Unità tra le scienze. Una Unità che va intesa soprattutto in senso spirituale, più che in senso tecnico; un senso di unificazione nel lavorare per una causa comune, in armonia tra le varie discipline, con un profondo rispetto reciproco.
L’altro aspetto importante delle ICUS è l’accento che mettono sui valori assoluti. È vero che molti scienziati hanno sollevato obiezioni a proposito di questo aspetto. Molti di loro, come sappiamo, sono d'accordo con Jacques Monod, che nel suo famoso libro “Il caso e la necessità” afferma che “l'obbiettività è l'unico valore che deve interessare la scienza”.
Georg Henrik von Wright, grande filosofo e grande critico della scienza moderna affermava però:
“La cosiddetta battaglia per la libertà della scienza è finita con un compromesso. La scienza avrebbe dovuto abbandonare la pretesa di essere una fonte di valori, lasciando alla religione l’autorità in materia di ciò che è buono e cattivo, e di verità ‘soprannaturale’. La Religione, dal canto suo, avrebbe dovuto abbandonare la pretesa di avere autorità sulla ‘verità naturale’ accessibile soltanto attraverso la sperimentazione, l'osservazione e il ragionamento logico. In termini filosofici, questa ‘divisione di competenze’ significa una frattura concettuale tra il fatto ed il valore tra ciò che È e ciò che Deve Essere, frattura che non esisteva nel pensiero greco e neppure nel pensiero cristiano medievale. Una delle implicazioni di questa spaccatura è la tesi che la scienza oggi deve essere ‘value free’, libera cioè da valutazioni valoriali o, peggio ancora, che deve essere senza valori”.
La drammatica conseguenza di questo, come Seyyed Hossein Nasr ha voluto puntualizzare, è che “il dominio sulla natura è diventato ‘cosa’ priva di significato morale e, allo stesso tempo, il vuoto creatosi a seguito della scomparsa di questo aspetto vitale dell'esistenza umana, continua ad albergare all'interno dell'animo dell'uomo, manifestandosi in molti modi diversi, qualche volta in modo violento e disperato".
Per questo le Conferenze ICUS hanno preso ferma posizione su questioni che sono attualmente al centro del dibattito sull'impatto sociale della scienza e della tecnologia; sulla visione materialistica del mondo occidentale che si scontra contro il misticismo dell'Oriente; sul progresso e sul benessere sociale in rapporto ai bisogni esistenziali e alle aspirazioni religiose.
È evidente che questa non è una negazione della scienza o del metodo scientifico. Senza lo sviluppo scientifico, non avremmo mai avuto la prosperità economica attuale. Inoltre, nonostante il cattivo uso che a volte si fa e si è fatto della conoscenza scientifica, lo spirito di base degli scienziati è proiettato verso la realizzazione di una società migliore per il bene di tutta l'umanità.
C’è da notare pero che nonostante i desideri e gli sforzi degli scienziati, povertà, analfabetismo, malattie, non sono ancora debellati, neppure nelle nazioni più progredite; tensioni e guerre continuano ad esistere tra molte nazioni, e gli uomini continuano a soffrire. Come mai? Probabilmente perché la scienza moderna non è in grado di sostenere alcun sistema di valori; di conseguenza non è capace di promuovere alcuna moralità ed etica. Ed addirittura anche all'interno della propria cornice metafisica, la scienza si ritrova incapace di offrire qualsiasi guida in termini di moralità e di etica.
A questo punto è evidente la necessità di definire una moralità ed una etica basate su un nuovo standard di valori. Per poter far questo, la scienza deve giungere a poter affrontare anche il campo dei valori morali, poiché non possiamo perdere il punto centrale dello scopo dell’insieme: la scienza non esiste per il beneficio della scienza stessa, ma per il benessere dell'umanità.
Per chi crede in un Essere superiore, in un certo senso la Natura è “il Manuale d'amore di Dio”. Ecco perché la scienza è così importante anche per Dio. Gli scienziati sono persone in grado di interpretare questo manuale; questo oggi a molti può sembrare strano, perché sono affermazioni che da molto tempo non vengono fatte, o vengono addirittura bollate come non rientranti nel campo della scienza.
Eppure anche Galileo, fondatore della scienza moderna, disse più o meno le stesse cose: “La filosofia è scritta nel grande libro che si estende davanti ai nostri occhi - intendo l'universo - ma noi non siamo in grado di comprenderlo se prima non impariamo il linguaggio e non afferriamo i simboli con i quali è scritto. Questo libro è redatto con linguaggio matematico e i simboli sono i triangoli, i cerchi e le altre figure geometriche senza le quali è impossibile comprendere anche una singola parola di questo testo; senza le quali non facciamo altro che vagare invano in un buio labirinto”.
Qual è questo grande libro di cui parlava? Galileo citò durante il suo processo ciò che Tertulliano aveva affermato: “Sono convinto che l'uomo arrivi alla conoscenza dell'esistenza di Dio prima attraverso la natura e poi attraverso la rivelazione”, ed aggiunse: “Dio manifesta se stesso in modo meraviglioso nell'azione della Natura più di quanto abbia fatto nei dettami della Scrittura”.
Non dobbiamo però perdere il punto centrale dello scopo dell’insieme. La scienza deve essere applicata: "La scienza non esiste per se stessa ma per il benessere dell'umanità”. Questo è ciò che Francis Bacon ci aveva spiegato: “La conoscenza che tende soltanto alla propria soddisfazione è come una cortigiana che esiste solo per il piacere e non è capace di dare frutti”.
Ma per poter avere questo benefico effetto, cioè per non essere soltanto per “la gloria del Creatore” ma anche “per il benessere e sollievo dell'uomo”, la conoscenza non può essere ricercata solo per il piacere della mente o per la contesa disciplinare, o per ottenere la superiorità sugli altri, o per il profitto o per la fama, o per il potere; ma deve avere come fine il beneficio ed il servizio della e alla vita stessa. Il vero e preciso scopo della scienza non è altro che questo: poter offrire alla vita umana scoperte nuove e nuova forza.

Cosa sono le ICUS?
Le Conferenze Internazionali sull'Unità delle Scienze (ICUS) nascono dal desiderio del Fondatore della UPF di promuovere la ricerca di una visione integrata del mondo. Questa visione, la cui ricerca è aperta a tutti gli uomini di buona volontà, è la base per generare un futuro pacifico per l’umanità.

Per questo i temi che hanno caratterizzato tutte le ICUS, “L'unità della conoscenza e della scienza” e “I valori assoluti”, sono una sfida volta a stimolare la creatività dei ricercatori e degli scienziati di tutto il mondo.

Iniziata nel 1972 con 20 partecipanti, le ICUS si sono ampliate anno dopo anno migliorando la collaborazione all’interno della comunità accademica mondiale. Questa fase di crescita è culminata nella decima ICUS, un evento che nel 1981 ha radunato 808 partecipanti da più di 100 paesi in Seul. Da quel momento in poi la ICUS è stata riconosciuta dalla comunità accademica quale realtà veramente unica di confronto sia per la sua interdisciplinarietà che per la sua internazionalità.

Ora, quella rete internazionale di studiosi, consolidatasi attraverso le ICUS e vari altri programmi, promuove e sostiene questo grande network. Oggi, le Conferenze Internazionali sull'Unita delle Scienze sono incontri di dimensioni più piccole, poiché la loro attenzione è indirizzata fondamentalmente alla realizzazione di comitati di lavoro che producano documenti atti a perseguire i due temi fondanti. Il sito web è: www.icus.org

Dio nelle Parole: l’esperienza ebraica

Come terreno privilegiato dell'incontro tra Dio e l'uomo, la Bibbia è soprattutto dialogo all'interno di un discorso che vede da una parte un “Io” e dall'altra un “tu” che risponde.

di Marica Dal Cengio

“Amerai il signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le forze”. Migliaia sono i precetti che il Dio dell'Antico Testamento impone come obbedienza incondizionata. Eppure questi precetti assumono i caratteri della meditazione quando sono profondamente affissi nel cuore dell'anima; sono parole che debbono accompagnare ogni gesto e ogni sguardo dell'uomo.
“Non esiste un processo contemplativo che non parta da una meditazione della parola divina”. La parola divina espressa dal linguaggio è la verità nel senso originario ebraico ed è il fondamento anche della Quabbalah ebraica.
Quabbalah significa, alla lettera, tradizione, non è il nome di un determinato sistema di dottrine, piuttosto di un insegnamento religioso che dall’epoca talmudica (V secolo d.C), fino ai giorni nostri ha avuto un’ininterrotta continuità storica.
Tale tradizione si basa sul convincimento che la lingua, la sua lingua, cioè l'ebraico, non possiede solo i caratteri dell'espressione umana – ovvero che non sia stato prodotto convenzionalmente affinché gli uomini possano intendersi tra loro – ma che, essendo essa sacra, rechi l'impronta di Dio.
Nel linguaggio, dunque, sarebbe presente qualcosa che va oltre la sua forma di espressione: qualcosa che si mostra solo per simboli e che rappresentando la più profonda essenza spirituale del mondo, ha un valore mistico: la lingua raggiunge Dio perché procede da Dio.
Il mondo della Quabbalah è un mondo di simboli in cui tutto si rispecchia in tutto, in cui la Torah non è semplicemente un testo sacro, ma la parola di Dio cristallizzata, in cui ogni lettera è una concentrazione di energia trascendente con significati che vanno al di là di una comune interpretazione letterale. E l'uomo può accedere a questa energia attraverso la Kavannah, la giusta attenzione o giusto spirito. La Kavannah secondo i cabalisti, conferisce ai riti ed alle preghiere tradizionali un nuovo spessore e significato dando loro valore ed efficacia; permette, cioè, ad un atto o ad un gesto comune, di diventare autentici. Senza questa intenzione l'uomo non potrebbe mettersi in contatto con il divino: essa “non si appoggia su cerimonie esteriori ma si fonda interamente sull'espressione dei sentimenti personali di ogni singolo individuo che vi partecipa. Per questo, colui che prega deve considerare se stesso come se la Presenza di Dio gli stesse di fronte e deve dirigere il suo cuore verso il cielo”.
Le fonti tacciono sull'epoca e sul modo in cui è iniziata questa mistica della preghiera: forse risale ad un periodo anteriore alle crociate; certo l’enorme valore attribuito alla esatta dizione dei testi testimonia una profonda consapevolezza della parola e del suo intimo potere magico. Abraham Abulafia, famoso cabbalista dell'XIII secolo, insegnava alcune tecniche meditative basate sulla ripetizione del nome di Dio e sulle lettere dell'alfabeto ebraico. La combinazione delle lettere e l'ordinata meditazione su di esse rappresentava per Abulafia, la “logica mistica”, ovvero “l'intima armonia del pensiero nel suo movimento verso Dio”. Da qui la profonda convinzione che ogni lingua parlata fosse composta di lettere sacre che il mistico – attraverso una recitazione delle stesse e il controllo della respirazione, accompagnato da precisi movimenti della testa e delle mani –poteva usare per comunicare con Dio. Questo perché ogni lingua deriverebbe dall'ebraico, sarebbe cioè una sua corruzione restando tuttavia affine ad esso.
Il contatto con Dio, devekuth, non è però automatico: la pura intenzione e la conoscenza delle tecniche da sole non bastano. La tradizione della Quabbalah è anche ricezione di un sapere, cioè di un'esperienza che solo alcuni sono in grado di trasmettere, è l'atto che fa di qualcuno un mequbbal cioè un “recipiente” capace di ricevere questo sapere, e ugualmente sottoposto a molte cautele e restrizioni, in una parola: segreto.
Come terreno privilegiato dell'incontro tra Dio e l'uomo, la Bibbia è soprattutto dialogo all'interno di un discorso che vede da una parte un “Io” e dall'altra un “tu” che risponde.
Colui che prega si rivolge al Signore in seconda persona, in particolare con il nome ineffabile di YHWH. “Se dirigi il tuo cuore nella preghiera, sii lieto di sapere che la tua preghiera è ascoltata”; ma è bene ricordare che la creatura non ha alcun diritto sul Creatore. Sperimentare Dio come un “Tu” che sta davanti significa rivolgere l'attenzione come ad una persona e questo, come tutti i concetti riguardanti Dio, rischia di denigrarlo allo stato di oggetto.
“Dio non è semplicemente colui che sfioriamo quando siamo ai limiti di noi stessi: al contrario, egli è il fondamento e il centro della nostra esistenza e, sebbene possiamo raffigurare noi stessi che tendiamo a Lui oltre la sera della nostra esistenza quotidiana, non di meno partiamo da Lui e restiamo in Lui, come fondamento stesso della nostra esistenza e realtà”.
La nostra rappresentazione di Dio deve piuttosto essere decifrata e stemperata continuamente mediante un’esperienza personale di fede: “Dio giorno non è una persona, personalissimo è il suo modo di farsi incontro a noi.
La grande voce di Dio parla del silenzio, della mitezza, quando l'uomo arriva a dominare le sue agitazioni; la voce che afferma è un lieve sussurro, una brezza leggera.
Silenzio non significa tanto assenza di parola, quanto espressione di uno stato interiore, di una profondità e pienezza in cui la Natura può parlare; la Natura, infatti, è muta per chi la copre con il rumore del proprio vaniloquio. Non a caso, spesso, è il deserto ad essere identificato come l'uomo, luogo di Dio per eccellenza: un nulla fatto di pietra e di sabbia dove solo la voce del vento sembra viaggiare indisturbata poiché nessun ostacolo si frappone fra il suo andare e venire. In ebraico il deserto è midbar, il luogo del silenzio, che contiene dentro di sé la parola davar e le dieci parole aseret ha-dibberot, ovvero i Dieci Comandamenti
Il vento ruach non è solo un fenomeno atmosferico, è piuttosto uno dei modi con cui Dio crea e governa il mondo: ruach è qualcosa in movimento capace di mettere altre cose in movimento.
Ci rimane una poetica interpretazione di Meir Ibn Gabbay (XIII secolo): “Quando le corde di due strumenti sono accordati, è sufficiente che una vibri perché l'altra si metta a cantare; quindi poiché Dio è silenzio in quale altro modo l'accordo dell'anima con Dio potrebbe esprimersi se non con il silenzio?”.

Tratto da “ Natura e Benessere” N°16 edito da F.N. Editrice srl

Quali gli obiettivi dell’Educazione?

di Giuseppe Calì

Dal Corriere della Sera del 30 gennaio 2008 :“Proposta del ministro per la scuola e l’infanzia Ed Balls: alle elementari basta dire mamma e papà, contro l’omofobia meglio parlare di genitori”.

La proposta fatta propria dal ministro britannico per abituare i bambini delle elementari all'idea che ci potrebbero essere genitori dello stesso sesso. Nelle scuole elementari britanniche sarà proibito usare l'espressione «mamma e papà» e diventerà obbligatorio utilizzare l'espressione neutra «genitori», in modo particolare nelle comunicazioni a casa. L’espressione «mamma e papà» lede i diritti dei genitori omosessuali e favorirebbe pregiudizi anti-gay, inoltre i bambini non dovrebbero avere un'idea «convenzionale» della famiglia. Ma non solo: l'iniziativa prevede che, quando si discuterà di matrimonio nelle scuole medie, gli insegnanti dovranno parlare anche delle unioni civili e dei diritti sulle adozioni gay.
Di questo articolo la cosa che mi sconvolge di più è il titolo di Ed Balls: “ministro per la scuola e per l’infanzia”, cioè l’autorità massima dello stato preposta alla formazione dei bambini. È non è che il fatto che questa proposta sia stata formulata a Londra mi consoli. Sono certo che diversi parlamentari italiani abbiano idee ancora più estreme sull’argomento. Che “l’espressione papà e mamma” possa poi ledere i diritti di qualcuno è altrettanto paradossale.
È incredibile come non ci si accorga di come la nostra società sia profondamente malata o perlomeno di cosa sia malata. L’unica crisi di cui ci si preoccupa veramente oggi è quella economica, che pur essendo difficile e drammatica, ha delle cause che non risiedono soltanto nell’inadeguatezza dei macrosistemi oramai obsoleti .
L’uomo d’oggi è estremamente evoluto per molti aspetti. È quasi un dio per il potere che riesce a gestire e le possibilità infinite che il suo intelletto gli fornisce. È infatti un essere il cui raziocinio arriva a dominare e quasi seppellire tutti gli altri aspetti della sua esistenza. Sentimenti, aspirazioni ideali e persino sessualità, sono diventati oramai non più categorie naturali e spirituali, legate a principi senza tempo né spazio, ma quasi esclusivamente culturali, legati quindi alle tendenze del momento.
Eppure in questo suo delirio di onnipotenza intellettuale, è profondamente debole, di una fragilità sconfortante e pericolosa. Un essere apparentemente padrone di sé, libero e consapevole che però soccombe alla minima difficoltà relazionale e che quindi reagisce alle sollecitazioni che la vita comporta con incredibile cinismo. Capace di costruire castelli culturali molto complessi quanto innaturali, pur di non arrivare mai ad ascoltare la propria coscienza. Capace di influenzare generazioni intere di suoi simili pur di coinvolgerli nella propria insufficienza esistenziale e non affrontare così le proprie paure. Capace di usare istituzioni intere addirittura, pur di celebrare e servire se stesso, invece che vivere al servizio del prossimo, che è l’unica chiave per la felicità. Ascoltare la coscienza, affrontare le paure ed i limiti, servizio ed amore per il prossimo, sono cose assolutamente necessarie affinché la vita di un uomo diventi quel piccolo capolavoro di coraggio, abnegazione, amore per sé stessi e per gli altri, che tutti siamo chiamati a costruire. È l’opera d’arte della vita.
Seguendo la cronaca è facile notare un fenomeno moderno. Persone apparentemente normalissime, sempre più spesso giovanissime, che d’un tratto si trasformano in bestie feroci. Per “motivi futili” dice la cronaca, ma chi è attento all’evoluzione dei moti dell’animo, sa che i motivi non sono mai futili. Come può essere che, una persona qualunque, improvvisamente possa manifestare istinti così malvagi e liberarli in attimi di distruttività allucinata? Salvo poi ritornare in sé, subito dopo, perfettamente lucida e pronta a difendere se stessa a tutti i costi e con tutti i mezzi, senza nessun segno di pentimento, anche dopo aver appena ucciso, violentato, o fatto cose che superano persino le fantasie di Hollywood.
Che nella storia ci siano stati tanti criminali che hanno fatto le cose peggiori è un fatto, ma per questo sono ricordati come mostri. Oggi non sono più soltanto i criminali che agiscono così, ma i figli della società opulenta, benpensante, democratica e civile. È un tendenza che statisticamente cresce e dovrebbe veramente farci riflettere sulle cause di tale fenomeno. Qualcuno dice che è perché i giovani non trovano lavoro, perché siamo stressati dalle difficoltà economiche, e comunque che le cause sono da imputare a difficoltà oggettive. Io penso che dovremmo cogliere invece i segni di un malessere che si annida più profondamente nel cuore dell’uomo di oggi, quindi essenzialmente spirituale.
La cosa più assurda è che, in questa situazione di smarrimento, si vuole impedire agli uomini di fede di parlare, di dare la loro testimonianza, come se la fede fosse un abito che si può mettere e togliere a piacimento. Perché? Perché non è politicamente corretto, in nome della laicità dello stato. Uno stato così estremamente laico non può garantire una qualità di vita vera, non potrà contrastare il declino morale e spirituale.
E non è detto che abbiamo toccato quel fatidico fondo dal quale poi non si può far altro che risalire. Si dice che al peggio non c’è mai fine. Temo che, continuando così, vedremo cose ancora peggiori fino a che la nostra stessa umanità sarà in pericolo, la nostra anima non troverà più pace. E allora a chi ci rivolgeremo? Ai politici forse? Non può esistere una economia equa senza altruismo e carità, come non può esistere una politica , una scienza, un’arte, una professione separate dalla consapevolezza del bene comune che è essenzialmente una qualità spirituale.
Lo spettacolo deprimente al quale assistiamo da parte delle autorità politiche, non è tale, in quanto comunque non porta alla soluzione dei problemi che la gente vive, ma molto di più in quanto dà una rappresentazione della realtà e della vita stessa che non dà scampo, né speranza e non respira di quei principi superiori che alimentano la vita stessa.
È forse vero che un politico non è tenuto a tutto ciò, ma che debba esclusivamente tentare di occuparsi delle cose pubbliche? Niente di più sbagliato ed inefficiente! Io non ho mai creduto in questa separazione, che è molto più drammatica della comprensibilissima separazione tra stato e chiesa: la separazione tra vita e spirito, tra principi e valori, tra benessere interiore ed esteriore, tra vita pubblica e sacrificio per il bene comune. Non c’è soluzione al di fuori della completa unità tra interiore ed esteriore, tra materia e spirito. Un politico che vive e lavora al servizio della comunità, non può essere un semplice tappabuchi, uno che opera all’interno di spazi esclusivamente pragmatici. Deve anch’esso respirare la grandezza della vita, della dimensione dei grandi principi che reggono l’esistenza umana. Solo allora potrà comprendere cosa è l’uomo e cosa giova ad un popolo. Solo allora potrà essere, non solo un buon economista, ma un produttore di vera economia, che costruisce benessere ed equità. Non solo un bravo politico di mestiere, ma un leader che costruisce la felicità della sua gente. Platone sosteneva che un re debba essere anche filosofo o addirittura che sarebbe meglio che i filosofi diventassero re. Ma quali filosofi? Portatori di quali idee? Forse di quella che dice che parlare di papà e mamma, parole antiche come l’amore stesso, lede i diritti di qualcuno? O di quella che banalizza la distruzione sistematica dello spirito dei nostri giovani, in nome della cosiddetta “evoluzione dei costumi”. Siamo proprio convinti che questa sia “evoluzione”? Non è che, invece, stiamo privandoli della stessa giovinezza, che è il loro bene più prezioso?
Abbiamo bisogno, a mio parere, di uno scossone forte, che ci svegli dal torpore culturale in cui siamo imprigionati e che ci fa girare su noi stessi fino a farci perdere l’equilibrio. Un impulso nuovo che permetta di risollevarci dalla miseria esistenziale nella quale continuiamo a rivoltarci, ebri di falsa libertà e della nostra apparente superiorità intellettuale.
Una riorganizzazione politico-economica, della quale c’è assoluto bisogno a livello globale, non può andare nella direzione contraria alla evoluzione spirituale dell’uomo. Non può essere attuata a scapito del benessere interiore delle nuove generazioni e di tutto ciò che li aiuta a formarsi in modo equilibrato. È un prezzo troppo alto, quello che questa pretesa “emancipazione” vuole imporci. Un conto sono i diritti degli individui ed un altro conto è il diritto che una intera civiltà ha di continuare ad esistere e prosperare, nel rispetto delle proprie verità fondamentali. Ascoltare soltanto gli uni, arriva spesso a negare il bene comune, focalizzarsi sui principi universali arriva invece a garantire tutti, gli individui e la società nel suo insieme.
Certo, non bisogna scoraggiarsi e mantenere la speranza e la dignità, anche in questo caos, dove la prima cosa che spesso viene in mente è il fatidico “fermate il mondo, voglio scendere” . C’è un grande bisogno di coraggio, coerenza, pazienza ed equilibrio, perché credo che la soluzione richieda sempre l’impegno di persone di buona volontà, di tutte le culture, le religioni, le razze, che sappiano insieme abbracciare gli ideali più grandi e farne il motivo conduttore della propria vita. Questo è ciò che possiamo fare noi, il resto spetta a Lui.