1 marzo 2008

ASIA CENTRALE: UNA SCOMMESSA PER L’UNIONE EUROPEA.

Lotta al terrorismo di matrice islamica fondamentalista e diversificazione delle consistenti risorse energetiche rappresentano gravosi impegni ma anche allettanti opportunità per l’Europa nei confronti di quest’area strategica.

di CARLO ALBERTO TABACCHI

Non mancano certamente le sfide, competitive e complicate, per l’Unione Europea in uno scenario politico internazionale in crescente evoluzione. Ed in Asia centrale si trovano complesse problematiche: conflitti regionali ed in particolare separatismi locali, network di terroristi internazionali, filiere di traffico di droga e di criminalità organizzata, sicurezza energetica, presenza di regimi autoritari, difficile processo di democratizzazione, azioni militari nel vicino Afghanistan. A ciò si aggiunga che 3 grandi potenze, Stati Uniti, Russia e Cina sono coinvolte direttamente in questo scacchiere che ha conosciuto una serie di mutamenti profondi ed imprevedibili (anche nel sistema delle alleanze) dopo la caduta del comunismo sovietico e la guerra globale contro il terrorismo proclamata da Washington.
I 5 stati dell’area sono diventati indipendenti nel 1991 a seguito del collasso politico-istituzionale dell’Urss.
L’Uzbekistan (capitale Taskent), il più popoloso con 26 milioni di abitanti, è localizzato nel cuore della regione, ricco soprattutto di gas e cotone. Il Kazakistan (Astana), il più vasto (esteso ben 9 volte l’Italia!) è ricchissimo di riserve energetiche e minerarie ed è individuato per noi europei e per gli americani come il più affidabile referente dell’area. Il Turkmenistan (Ashgabat), favorito da ingenti giacimenti di gas e dipendente dalla Russia per le sue esportazioni, sta diventando sempre più un paese di collegamento con il Caucaso e l’Iran per il gas e per il passaggio di petrolio. Il Kirghizistan (Biskek), il più piccolo, ha poche risorse naturali, a parte miniere d’oro; è considerato dalla comunità internazionale un “bastione della democrazia” per la sua relativa tranquillità. Il Tagikistan (Dushanbé), il più povero dove si parla il persiano (turcofoni gli altri 4), soffre ancora della brutale guerra civile tra il 1992 e il 1997. In sintesi, ci troviamo di fronte a regimi conservatori autoritari (e personalizzati), economie largamente rurali, vetuste infrastrutture di epoca sovietica.
Il cambiamento geopolitico dopo quello sovietico verificatosi su scala mondiale dopo l’11 settembre 2001 ha coinvolto profondamente l’Asia centrale che ha visto una penetrazione statunitense, per ora con scarso successo. La regione appare al momento maggiormente orientata verso la Russia e la Cina da un punto di vista non solo geografico ma politico e culturale. Mosca e Pechino collaborano nella regione nell’ambito dell’organizzazione per la cooperazione di Shanghai che li riunisce insieme ai paesi centro-asiatici.
La complessità di tale scacchiere, la lontananza dell’Europa, la mancanza di consolidati rapporti politici e culturali hanno di fatto limitato l’azione di Bruxelles dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. A partire dal settembre 2001, l’Unione Europea ha iniziato a dedicare una crescente attenzione alla questioni riguardanti la sicurezza della regione (questioni già enumerate al principio).
Lo sviluppo degli stati post-sovietici è inoltre pregiudicato da alti livelli di corruzione e criminalità. E l’organizzazione europea ha istituito alcuni programmi con l’aiuto degli stati centro-asiatici, tra i quali il Programma di assistenza alla droga in Asia centrale (Central asia drug assistance programme), deciso sulla convinzione che il traffico di stupefacenti attraverso tali nazioni costituisse una seria minaccia per l’Europa e poi il Programma di gestione delle frontiere (Border management programme in central Asia) collegato col precedente progetto e con l’obiettivo di aiutare i paesi della regione a rendere sicuri i loro confini, specialmente quelli con l’Afghanistan.
Un punto rilevante appare il linkage tra sicurezza e sviluppo. Oltre al rafforzamento del controllo dei vasti confini per prevenire anche la minaccia terroristica ed il traffico di armi e stupefacenti, occorre che Bruxelles, senza tanti rinvii, individui ed implementi misure ed azioni volte ad elevare lo standard di vita delle popolazioni locali. E’ stato avviato un approccio di tale tipo nella instabile valle di Ferghana nella quale l’Unione Europea ha presentato un progetto di alleviamento della povertà: ma i violenti disordini e scontri scoppiati nel 2005 ad Andijan (Uzbekistan) hanno dimostrato quanto sia difficile ottenere risultati concreti.
Un discorso analogo può essere svolto nell’ambito della lotta alla coltivazione e al traffico di droga: tale attività derivano in primo luogo dalla povertà delle popolazioni locali, che come si sa bene ricavano vitali fonti di reddito. La semplice repressione è dunque insufficiente se le operazioni di polizia anti-droga non sono integrate da misure di sostegno e sviluppo dell’economia di queste regioni depresse. Sapendo che il narcotraffico fornisce importanti entrate al radicalismo islamico e al terrorismo, l’Unione Europea deve impegnarsi intensamente e con continuità nel contrasto a questo commercio, anche con agenzie specializzate delle Nazioni Unite.
Oltre al problema della sicurezza, è emerso fortemente il fattore energetico, nell’ambito di una maggiore diversificazione delle fonti energetiche e delle rotte di trasporto verso gli “affamati” mercati europei. Bisogna dire che le strategie adottate da Bruxelles non sono ugualmente condivise dagli stati membri, alcuni dei quali antepongono interessi nazionali o locali ad una politica estera comune. Non tutti i paesi del vecchio continente sembrano interessati nella stessa intensità all’Asia Centrale né hanno la possibilità concreta di intervenirvi. Le repubbliche asiatiche in questione conservano dinamiche politiche e sociali sui generis, che le distaccano dal paradigma della transizione verso il modello occidentale e le avvicinano ad altri stati, come il Pakistan o l’Iran.
E’ molto importante che l’Europa riesca in tempi brevi ad aumentare sensibilmente la propria capacità di analisi politica e culturale oltre che economica.
CONCLUSIONI.
Per la sua particolare e significativa posizione, l’Afghanistan rappresenta una regione cruciale per un serio impegno europeo in Asia centrale; 4 le motivazioni:
- la presenza Nato/Isaf è un lungo faticoso cammino e numerosi paesi europei hanno dispiegato contingenti militari: ciò richiede un forte grado di aggregazione militare e di sicurezza con i 5 governi asiatici, come basi aeree, collegamenti stradali ….; l’influenza statunitense risulta di fatto marginalizzata nel “nuovo grande gioco”, disponendo solo della base aerea kirghisa di Manas;
- la collaborazione è insufficiente in relazione alla esportazione di droga dall’Afghanistan verso i suoi vicini settentrionali, droga che poi inonda Russia e penetra nel vecchio continente;
- il confine turkmeno-afghano costituisce un grave “buco nero”;
- la necessità di analisi/misure operative dell’Unione sui trends e scenari in Afghanistan e conseguenti implicazioni in Asia centrale.
- Oltre a ciò, Bruxelles deve individuare con attenzione i suoi interessi strategici con gli altri protagonisti, Stati Uniti, Russia e Cina. L’Unione Europea si pone non come competitore geo-politico ma come fattore di cooperazione ed integrazione tra i diversi soggetti esterni ed interni.
- Come spesso purtroppo accade, l’Europa si muove divisa ed in ordine sparso anche in altri teatri: quindi, unità di intenti e stretta solidale collaborazione fra i 27 stati risultano i fattori veramente efficaci e vincenti.

Nessun commento:

Posta un commento