Le religioni difficilmente dialogano: le persone sì. Sembra che negli ultimi decenni alcune autorità di assoluto rilievo e prestigio, ma anche persone ordinarie e “normali”, comincino finalmente a comprendere che l’arroccamento identitario non paga ma produce violenza e tragedie.
di Valentino Cottini
Il 21 giugno scorso Papa Francesco ha tenuto a Napoli uno dei suoi discorsi memorabili in occasione del convegno “La teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo”, promosso dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Un discorso tenuto “ai suoi”, ma programmatico e di lungo respiro, perché riguarda la formazione delle future guide e degli intellettuali cattolici: la formazione teologica cattolica dovrà dialogare con le istituzioni sociali e politiche, con tutte le discipline, con tutte le culture in mezzo alle quali si trova a operare e con tutte le religioni, senza rinchiudersi nella torre d’avorio identitaria che diventerebbe ghetto e sancirebbe la morte del pensiero. “Il modo di procedere dialogico – dice Papa Francesco – è la via per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli”. E Dio sa quanto i simboli, i paradigmi e i pregiudizi siano determinanti in tutte le culture e in tutte le religioni.