19 agosto 2011

ASIA: NUOVI EQUILIBRI GEOPOLITICI

di CARLO ALBERTO TABACCHI

Per una governance mondiale stabile ed equilibrata rimane essenziale il dialogo
euro-americano con la Cina e con l'India, gestendo anche le diversità culturali.

Per quale ragione da molti anni si parla tanto di Asia e del ruolo che questo continente ha assunto nella sfera politica, economica e culturale globale?
In estrema sintesi, vi sono fattori positivi e non. Tra i lati positivi, gli indici di misurazione della potenza risultano cinque: geopolitico, basato sulla vastità del territorio; geoeconomico, sulle risorse e il livello di sviluppo economico-finanziario; geostrategico, sulla forza militare che gli stati posseggono; geoculturale, sui valori e i modelli che esprimono; demografico, connesso alla popolazione e al suo tasso di crescita.
Tali fattori permettono ad uno stato di influenzare e condizionare in diversa misura paesi e regioni vicine o persino l'intero sistema internazionale. Soltanto tre superano gli "esami" di maturità politica, economica, culturale e strategica: Stati Uniti, Cina ed India. Altri soggetti eccellono in più ambiti, ma nessuno raggiunge il vertice in tutti e cinque.
Come si sa, l'Unione Europea è una potenza economica e culturale, forse anche politica (abbastanza divisa ultimamente) ma militarmente debole. La Russia ha ingenti risorse non solo energetiche e un peso strategico (nucleare) non secondario ma una demografia calante. Australia e Canada, nonostante materie prime e immensi spazi, restano molto carenti per il fattore demografico.
Oggigiorno, il sistema internazionale è alquanto variegato: multipolare nella sfera economica (Usa, Cina, Giappone, Europa, India e più distanziate Russia e Brasile); potenzialmente multipolare asimmetrico nel campo politico; mentre resta unipolare in ambito strategico-militare dove il potere resta saldamente in mani americane, anche se la forza militare da sola non riesce a vincere i conflitti di nuovo tipo (vedi Iraq e Afghanistan) o a prevenire situazioni di crisi (Maghreb e Medio Oriente).
Intanto, l'influenza cinese dagli anni 90 si e estesa progressivamente a numerosi stati del continente africano che guardano con interesse al modello di sviluppo cinese, politicamente autocratico ed economicamente sempre più liberale.
Esistono però considerazioni e fattori negativi che occorre monitorare con attenzione. In Asia possono avvenire crisi di portata imprevedibili: l’altalenante confronto tra Rpc e Taiwan; la storica rivalità sino-giapponese (oltre a quella tra Tokyo e Seul); la mai sopita grave questione del Kashmir tra India e Pakistan. Tra le criticità “vive”, ricordiamo la minaccia nucleare nordcoreana e l’escalation militare tra le due Coree, oltre la guerra in Afghanistan e la profonda instabilità in Pakistan.
Ma quello che preoccupa è la tendenza alla globalizzazione di queste crisi che una volta restavano localizzate nella rispettiva area geografica, mentre da qualche anno presentano implicazioni più ampie e finiscono per investire potenzialmente la stabilità dell'intero sistema internazionale.
Nello scacchiere asiatico, il potere americano ha iniziato ad incontrare certi limiti, certe resistenze nel ruolo crescente di Pechino e nei rapporti sempre più stretti con i paesi del continente; Washington resta comunque il leader strategico in Asia, mentre Pechino ne è il leader economico: l'equilibrio in termini di guida oscilla in relazione all'andamento della loro competizione continentale.
La spina dorsale delle relazioni globali è determinata dal complesso rapporto sino¬-americano. Da una parte la cooperazione resa obbligatoria dai legami economico¬-finanziari (per cui se una delle due potenze si trovasse in seria difficoltà potrebbe trascinare con sé la sua concorrente); dall'altra, l'antagonismo come logica conseguenza della crescita cinese -dentro e fuori il continente- e del parallelo declino americano. Gli Usa sono capaci di condizionare l'equilibrio di potere grazie alle loro alleanze bilaterali: da quelle storiche con Giappone, Corea del Sud, Australia e Thailandia; alla relazione speciale con Taiwan; alle "quasi" alleanze con Filippine e Singapore; al rapporto organico stabilito con l'India.
Per comprendere il senso delle relazioni politiche ed economiche internazionali, occorre soffermarsi sulla ritrovata centralità dell'Asia e sul perché il ventunesimo secolo sia destinato a diventare l'era asiatica. La vertiginosa ascesa di Cina e India ha modificato profondamente tutti gli equilibri continentali nelle sfere dell'economia, politica, sicurezza influenzando poi l'intero scenario internazionale. La conseguenza eclatante è che si è sottratto all'Occidente il primato esclusivo della modernizzazione e si è infranto il monopolio euro-americano sul resto del mondo. La vera sfida di questo periodo resta la gestione della diversità culturale perché solo attraverso la comprensione delle altre civiltà è possibile aumentare la propria competitività. Bisogna cercare di capire la differenza delle risposte che le potenze asiatiche hanno dato alle sfide degli ultimi secoli: modernizzazione e globalizzazione.
L'Asia non può essere letta limitandosi ai dati e alle statistiche che ne evidenziano il vorticoso sviluppo ma provando a comprendere ed interpretare le sue complesse dinamiche culturali. Si può crescere costruendo ed attraversando ponti tra culture perché la globalizzazione tesa ad armonizzare il mondo in un pensiero unico è ormai fallita. Non c’è stata né ci sarà omogeneizzazione delle civiltà. Come osserva il premio Nobel indiano Amartya Sen stiamo assistendo ad una radicalizzazione dei processi identitari, spesso violenti che discendono dalla religione, dalla tradizione e dalla rivalutazione delle culture. Ed il mondo sinico a caratterizzato da una civilizzazione dell'interazione piuttosto che della contrapposizione.
I cosiddetti "asian values" si sono affermati in Cina e da li furono esportati negli altri paesi del polo sinico-confuciano: relazioni familiari, istruzione, etica del lavoro, disciplina, rispetto della gerarchia ed accettazione di un sistema autoritario, passione per il denaro ed il successo personale, diligenza e frugalità, risparmio. Tali valori, combinati con politiche economiche efficaci e con una certa stabilità politica, hanno contribuito alla formidabile ascesa di quei paesi.
Per quanto riguarda il ruolo dell'Europa, americani ed europei non possono avere vedute coincidenti in materia di rapporti con Pechino proprio perché il Vecchio Continente non vede nella Cina una minaccia ma un fattore di riequilibrio dell'ordine interazionale nonché un potenziale partner strategico. La pura verità è che la "minaccia cinese" per noi è solamente commerciale ed è il riflesso del nostro declino relativo. Però permangono pesanti incognite sul versante esterno tra Cina e Stati Uniti-Europa: mancato rispetto dei diritti umani, censure sulla stampa (controllo su Google), questione tibetana e visite del Dalai Lama in Europa e Usa, questione del cambio "manipolato" del renmimbi. Sul fronte interno: il gap accentuato tra ricchi e poveri, inquinamento prodotto da industrie prive di controlli, sistema bancario e finanziario ancora arretrato, urbanizzazione selvaggia.
In conclusione, la presenza militare americana e l'economia di mercato cinese conferiscono finora stabilità all'Asia: la prima fa da argine alle rivalità regionali, la seconda diffonde prosperità. Ma per una pace sostenibile l'Asia ha bisogno di divenire una comunità e non di essere una semplice sommatoria di stati accomunati solo da una inarrestabile crescita economica.

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