8 marzo 2016

Il Congresso Interreligioso Iracheno del 2007

Ripreso da Voci di Pace

Caso di studio(1)
La società irachena ha numerose fragilità di natura tribale, religiosa (circa il 60-65% della popolazione è sciita, il 32-37% è sunnita e circa il 3% è cristiana o appartenente ad altri gruppi religiosi) ed etnica, e le tensioni sociali e politiche tra i diversi gruppi hanno una lunga storia. Sotto la legge repressiva del regime sunnita di Saddam Hussein erano largamente contenute tuttavia, con l’invasione guidata dagli Stati Uniti del 2003 che ribaltò il regime, la macchina repressiva dello stato è venuta a mancare e i livelli di violenza si sono inaspriti.

Il conflitto
Le origini e gli sviluppi del Congresso Interreligioso Iracheno (IIRC) prendono forma dall’ambiente politico complesso della regione, nel quale non solo le dispute etnico-regionali ed economiche, ma anche il confronto interreligioso ed intra religioso, attacchi terroristici su popolazione civile e conflitti armati sono all’ordine del giorno.
Nel 2004, l’Autorità Provvisoria di Coalizione guidata dagli USA ha trasferito il potere nelle mani degli iracheni con la creazione di un governo provvisorio. Questo, fallendo nel guadagnare il consenso e l’accettazione pubblica, ha fatto sì che numerosi gruppi armati abbiano cercato di sfidare la legittimità dello stesso, la presenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Molti di questi gruppi, creati sulla base di una visione settaria (sunnita o sciita), erano a volte guidati da leader religiosi. Così, contendendosi potere e influenza, le tensioni tra le comunità sciite e sunnite si sono intensificate. Molti nella maggioranza sciita hanno visto la possibilità per un proprio dominio dello stato mentre molti sunniti temevano che il dominio sciita avrebbe rappresentato repressioni e attacchi nei loro confronti. La decisione da parte della sunnita al-Qaeda in Iraq di iniziare ad attaccare le comunità sciite si è esacerbata in tensioni settarie e i livelli di violenza sono aumentati quando le milizie hanno portato avanti attacchi non solo contro la coalizione e le forze governative, ma anche contro comunità aventi tradizioni religiose diverse dalla propria. Alla fine del 2006 l’Iraq stava sperimentando il suo momento di maggiore violenza dall’invasione del 2003, con un numero di vittime civili pari a 3000 al mese.
Tra il 2004 e il 2006, l’Iraq ha sperimentato tre forme di governo e altrettanti primi ministri, una costituzione traballante, non ha mai avuto un sistema giudiziario, nessuno standard per le forze dell’ordine, non un chiaro bilancio nazionale, diciannove amministrazioni provinciali (nessuna delle quali riconosciuta dalla sovranità nazionale), nessun servizio pubblico e oltre un milione di cittadini emigrati all’interno del paese. Una delle uniche costanti nella vita quotidiana era la pratica della religione. I gruppi religiosi e i suoi leader erano anche gli unici che si premuravano di riempire il vuoto lasciato dallo stato in termini di servizi civili, legali, medici e sociali. Molte persone, non potendosi identificare con i politici, rispettavano e seguivano le loro guide religiose locali.
Il progetto
Canon Andrew White è stato il pastore anglicano della più grande chiesa cristiana a Baghdad dal 1998. Ha fondato un’organizzazione chiamata Fondazione per il Sostegno e la Riconciliazione del Medio Oriente (FRRME), avendo ottimi contatti con i leader religiosi iracheni di tutte le fedi. Michael A. Hoyt era il più anziano cappellano delle forze statunitensi in Iraq, riportando direttamente al Commando Generale delle Coalizione Multinazionale in Iraq (MNF-I). Entrambi hanno riconosciuto la legittimità e l’influenza che i leader religiosi avevano tra la popolazione e insieme hanno ideato un’iniziativa per affrontare la violenza settaria portando questi diversi leader insieme. Nonostante inizialmente gli Stati Uniti siano stati diffidenti circa il coinvolgimento di leader religiosi, con la paura che il panorama post-invasione potesse essere deviato dagli estremisti, l’iniziativa FRRME fu sperimentata con la convinzione che senza il coinvolgimento dei leader religiosi, nessuna soluzione politica sarebbe stata possibile. Questo ha coinciso con gli sforzi del governo iracheno di promuovere il dialogo e sviluppare politiche di riconciliazione e giustizia, e con quello dei militari americani di sconfiggere le insurrezioni.
Dopo numerosi meeting bilaterali con i leader religiosi, e dopo aver conquistato il supporto degli USA e delle autorità irachene, l’FRRME e i suoi partner sono riusciti a radunare cinquanta rappresentanti religiosi e tribali dalle comunità sunnite, sciite e cristiane al primo Congresso Interreligioso Iracheno a Baghdad nel giugno 2007. Al congresso i delegati hanno discusso la situazione di sicurezza e governance dell’Iraq. Il risultato di questo incontro è stato l’Accordo Interreligioso Iracheno nel quale si è denunciata la violenza, riconosciuto il governo dell’Iraq e fatto un appello per l’unità nazionale. Questo passo ha segnato l’inizio di un processo a lungo termine di coinvolgimento dei vari leader religiosi per promuovere la riconciliazione dell’Iraq. Una conferenza successiva tra un gruppo selezionato dei principali leader religiosi iracheni si è tenuta a Il Cairo nell’agosto 2007. A questa conferenza “l’Accordo di Baghdad” è stato ufficializzato ed è stato fondato l’Alto Consilio dei Leader Religiosi Iracheni. Rappresentanti nazionali come il Grand Ayatollah Sistani, Ayatollah Mohamed Yaqubi e Muqtada al-Sadr si sono uniti al progetto. Nel 2008 il consiglio ha prodotto una fatwa unificata che condanna la violenza, il terrorismo, che supporta il governo eletto dell’Iraq, la costituzione, il ruolo della legge. La fatwa inoltre promuove l’unità tra le religioni e condanna la persecuzione di qualunque fede.
Il risultato del progetto
Il consiglio ha continuato ad incontrarsi con regolarità e a coinvolgere in un dialogo costante il governo iracheno e dal 2008 c’è stata una significativa diminuzione del numero di morti civili. Molti altri fattori hanno contribuito a questo sviluppo, tuttavia gli sforzi del Congresso Interreligioso Iracheno ha probabilmente svolto un ruolo importante nel ridurre i livelli di violenza.
Assunzioni e teoria del cambiamento
L’analisi del FRRME e dei suoi partner era che c’era una forte dimensione religiosa all’interno del conflitto: l’identità religiosa delle diverse comunità era un fattore chiave nel determinare le linee del conflitto e i leader religiosi giocavano un ruolo forte nell’alimentare le tensioni e la violenza. Hanno altresì riconosciuto la forza potenziale che i leader religiosi rappresentavano per il cambiamento.
A causa della loro posizione nelle rispettive comunità, i leader religiosi erano identificati come fattori di grande influenza. Parte di questa, come nel caso di Muqtada al-Sadr e dell’esercito di Mahdi, era diretta alla violenza, essendo leader a capo di gruppi armati. In altri casi, con il ruolo di modellare il pensiero e l’attitudine dei propri seguaci nelle comunità. La teoria dietro l’iniziativa era che la “la miglior fede poteva eliminare il peggio nelle religioni”. In altre parole, appellandosi al principio fondamentale della pace della religione, i leader religiosi avrebbero potuto essere persuasi a promuovere la riconciliazione. Portando leader religiosi chiave al dialogo, principi teologici comuni come la dignità umana, il rispetto e la fiducia di un Dio di amore avrebbe provveduto a creare la fondazione comune per il percorso di riconciliazione e di armonia sociale. Se i vari leader religiosi avessero potuto trovare una formula comune per vivere insieme, allora diventerebbe naturale anche per i loro seguaci, l’accettazione del governo iracheno sarebbe cresciuta e i livelli di violenza si sarebbero ridotti. Inoltre, un dialogo tra i leader religiosi e il governo sarebbe servito come canale comunicativo tra il governo e i cittadini.
L’iniziativa ha fatto pesantemente affidamento sulla percezione che la FRRME, nella persona di Canon Andrew White, godeva del rispetto e della fiducia di un vasto numero di leader religiosi grazie al loro personale contatto di lungo termine con la fondazione, l’integrità di uomo di fede del suo fondatore e della sua posizione di rappresentante di un gruppo religioso relativamente neutrale.
Implicazioni per la trasformazione del conflitto
La religione è un argomento complicato per quanto riguarda la trasformazione di un conflitto. Spesso è guardata come irrilevante, oppure ignorata, oppure come fattore troppo complesso, e quindi abbandonata all’analisi degli specialisti. Tuttavia, nessuno di questi approcci è soddisfacente. Ad ignorarla si rischia di non considerare un’importante dimensione del conflitto, a trattarla come dominio di specialisti significa perdere di vista la sua natura pervasiva di ogni sfera della vita. Come il caso appena analizzato dimostra, la religione può essere rilevante in un conflitto, in molteplici modi. Anziché trattarla come un pezzo separato del puzzle, l’approccio verso la religione dovrebbe essere olistico, analizzando il suo ruolo nel conflitto e il ruolo che potrebbe avere nella trasformazione dello stesso.
Come ci si dovrebbe comportare? Noi crediamo di aver identificato una via di mezzo tra l’ipersemplificazione e l’ipercomplessità, un sistema pratico per coloro che si adoperano nella trasformazione dei conflitti. La nostra lista potrebbe non includere tutti i possibili modi di pensare alla religione, ma siamo fiduciosi che offrono un buon punto di partenza per analizzare il ruolo della religione nei conflitti. Anche se basata su cinque specifici casi, questi modi di pensare alla religione saranno rilevanti in molti altri.
Utilizzando questo metodo di pensare alla religione in cinque modi, identificando i “divisori” (le fonti delle tensioni) e i “connettori” (capacità di costruire la pace) nelle analisi dei conflitti, può essere di grande aiuto. È ormai di dominio pubblico il fatto che la religione può essere sia un divisore sia un connettore. Importante è come rispondere alla domanda: dove divide e dove unisce? 
Dall’analisi all’azione
Oltre a supportare e a rafforzare i molteplici modi in cui la religione può agire come connettore in un conflitto, ci sono molte modalità di approcciare le sfide che si presentano quando questa agisce come divisore.
Essere specifici sopra il ruolo della religione aiuta a chiarire come gli approcci per la trasformazione del conflitto possono essere adottati. Generalizzare troppo il suo ruolo a volte porta le persone alla conclusione che il modo più appropriato per la riconciliazione sia il dialogo interreligioso. Se questa può essere la strada in certe circostanze, in altre ci possono essere modalità ancora più efficaci.
Quando la religione agisce come un identificatore, è meglio avvalersi di approcci generalmente utilizzati per i conflitti etnico-nazionali. Questo può includere azioni atte a diminuire i pregiudizi reciproci, aumentare opportunità per il contatto tra i diversi gruppi, rivedere politiche discriminatorie, agire su disuguaglianze economiche, mediare nelle dispute, ecc.
Quando gli insegnamenti religiosi sono utilizzati per giustificare comportamenti che alimentano il conflitto o le diverse posizioni, può essere di aiuto chiedere ad autorità religiose credibili di offrire interpretazioni alternative a questi insegnamenti. Quest’approccio è correntemente evidente nei tentativi fatti dagli accademici musulmani per contrastare gli argomenti dei movimenti islamisti violenti. Nella sua essenza quest’approccio non è molto diverso dal confronto dottrinale.

1 Per ragioni di spazio esaminiamo soltanto il caso dell’Iraq. Gli altri casi di studio li svilupperemo nei prossimi numeri.

Documentazione ripresa su concessione di: © 2015 Owen Frazer, Richard Friedli and CSS ETH Zurich - www.css.ethz.ch

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