12 novembre 2013

Intervista alla regista Ilaria Borrelli, rilasciato alla presentazione del film al Festival del Cinema di Venezia.

di Flora Grassivaro

Che cosa l’ha spinta a realizzare “Talking to the trees” e perché questo titolo?
Da quando sono mamma, da sei anni, sono diventata molto sensibile ai problemi dei bambini nel mondo, negli occhi di un bambino che soffre mi sembra sempre di trovare gli occhi di mio figlio. La prostituzione infantile è un problema talmente vasto che mi sembra doveroso tentare di scuotere un po' le coscienze con un film. Il titolo è dovuto alla bambina protagonista che nella sua estrema solitudine della vita nel bordello, comunica con i soli spiriti, le sole anime sempre presenti nella sua vita, gli alberi.

Pensa che il cinema possa influenzare le coscienze su tematiche sociali?
Il cinema, quando parla il linguaggio emotivo, quando riesce a commuovere senz'altro può sensibilizzare le persone. Però spesso i film d'autore usano un linguaggio più freddo, i sentimenti sono snobbati dagli "intellettuali", e non sono sicura che con la sola razionalità si riesca a scaldare il cuore di qualcuno che si sta comportando male. Le persone più efferate, dagli assassini ai pedofili, sono in genere persone intelligenti, razionali e parlargli ancora con quel linguaggio che li protegge non credo sia molto efficace.

Suo marito è stato al suo fianco come co-filmmaker . E’ stato importante per lei condividere con lui questo progetto?
Io e mio marito stiamo insieme da 24 anni, alle volte non ho neanche la percezione di dove finisca lui e dove comincio io. Mi sembra davvero che siamo la stessa persona e condividere le stesse passioni mi sembra naturale. I film poi sono delle operazioni molto faticose che durano anni (dalla ricerca dei finanziamenti, alla vendita di un film possono passare anche 5 anni) è importante condividere con una persona fidata questa sofferenza. Tante volte avrei mollato, cambiato lavoro senza il suo incoraggiamento e tante volte avrebbe mollato lui se io non l'avessi incoraggiato.

Il film girato in lingua inglese contrappone alla trama di una tematica così pesante le immagini bellissime della Cambogia. Perché?
Quando giro un film mi preoccupo molto con mio marito di trovare posti molto belli dal punto di vista naturale. Mi sembra che ci ricordino la bellezza che ci viene regalata gratuitamente venendo al mondo. La meraviglia della natura fa ancora più da contrasto con l'orrore di cui è capace l'uomo. mettere affianco la bellezza della natura e l'orrore di cui è capace l'uomo mi sembra possa far riflettere il pubblico sull'enorme necessità di comportarsi meglio, di salvaguardare quello che abbiamo gratuitamente alla nostra nascita.

La vostra troupe era composta da 7 persone ma avete creato la collaborazione con la popolazione locale. Come avete vissuto questa esperienza?
Quando giriamo un film in un paese in via di sviluppo, per non dire "povero", cerchiamo sempre di lasciare qualcosa dietro di noi quando andiamo via. Negli anni abbiamo capito che insegnare a fare cinema è un'ottima arma di riscatto che hanno i giovani in questi paesi dove non hanno certo accesso alle scuole o al mondo del lavoro come possiamo immaginarlo nei nostri paesi. Restare in contatto con loro anche con FB, con delle visite è molto importante per loro e per noi.

Nonostante il film abbia riscosso successo all’estero in Italia l’accoglienza è stata piuttosto tiepida. Dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia la situazione è cambiata?
Noi non disperiamo mai e qualcosa succede sempre avanzando nel percorso. Certo dispiace che proprio nel proprio paese si venga amati e apprezzati di meno, ma questo ci ha dato la possibilità di lavorare in altri paesi, conoscere persone molto diverse da noi in ambito lavorativo e quindi il tutto è molto arricchente. Dalle difficoltà si acquista sempre qualcosa. A Venezia abbiamo ricevuto l'impegno ufficiale di UNICEF a produrre il nostro prossimo film e ITUNES dal 23 settembre ha reso disponibile il film per chi vuole guardarlo, basta cercare PARLA CON GLI ALBERI sulla piattaforma.

Lei è attrice, scrittrice, regista, come riesce a coniugare tutto queste attività con il ruolo di mamma? Ritiene importante il ruolo della famiglia per lo sviluppo di una società più giusta?
Diventare madre mi ha cambiata profondamente come artista. Quantitativamente produco di meno perché ho meno tempo, ma occuparmi dei miei figli mi ha fatto aprire agli esseri umani in generale, mi sembra che sia più disponibile a "occuparmi degli altri" in generale. Bambini ma anche adulti. Avere dei figli fa resettare tutto da zero, fa ricominciare a vivere in un modo più sensibile, più etico, ci si rende più conto di quanto una cattiva azione possa avere delle ripercussioni terribili sui più deboli. Consiglio a tutte le persone di avere l'esperienza dei figli. Anche se credo molto che ci si possa e ci si debba occupare di "figli" anche quando non sono biologicamente nostri. Chi riesce ad avere il coraggio di adottare o di occuparsi attivamente di bambini in difficoltà nel sociale, è per me un eroe.

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