di Stefania Ciacciarelli,
“Perché il 21 settembre è il Giorno della Pace? Dovrebbe essere sempre, il giorno dedicato alla Pace!”
Questo è stato il pensiero che ha attraversato trasversalmente le menti di tutti i partecipanti ai due eventi organizzati per l’occasione del giorno della Pace a Monza, da Universal Peace Federation (UPF) e Women Federation for World Peace. Di certo, volgendosi ad un ipotetico mondo ideale caratterizzato da armonia e pace tra culture, religioni ed etnie, la necessità di un “giorno della pace” pare mettere in triste risalto come tutti gli altri 364 giorni dell’anno siano, purtroppo, giorni di sofferenza.
Partecipando agli eventi di Monza del 21 settembre diventa un pochino più facile crederci, alla Pace. La rende un po’ più vicina, quasi toccabile con mano. Numerosi fedi diverse (sì, vero, differenti forse nella forma, ma estremamente vicine per quanto riguarda gli ideali), persone di età estremamente diverse (ragazzi di 18 anni si sono alternati a uomini in età più che matura nelle esposizioni), culture differenti, hanno condiviso pensieri di Pace con slancio e passione. Ma in cosa sono consistiti esattamente i due eventi? Nel pomeriggio del 21 settembre, prima di tutto, si sono riuniti presso l’Oratorio del Duomo di Monza circa 70 partecipanti, per una tavola rotonda che, potendo vantare relatori dalle provenienze più disparate, ha esaminato tutte le prospettive della Pace; in cosa questa consista, come possa essere costruita, come è possibile dare il proprio contributo. Carlo Chierico, Responsabile UPF Monza, ha introdotto i vari interventi e coordinato l’incontro. Grazie alle riflessioni e ai messaggi portati dagli oratori (tra i quali figuravano anche personaggi di spicco del mondo delle istituzioni) è emerso che spesso la pace è oltraggiata da dinamiche sociali, dove le persone arrivano a percepire gli altri come dei rivali nel perseguimento del proprio benessere. Tuttavia eliminare l’altro non porta ad una vera pace, ma ad una illusione; si può costruire pace, quindi, non eliminando gli altri ma fornendone loro l’esempio concreto, attraverso il proprio stile di vita. La Pace infatti si costruisce in tre stadi: desiderandola, parlandone, agendola, partendo da noi stessi e dalla ricchezza interiore che è dentro ognuno di noi, e trasmettendola poi agli altri, quasi in modo automatico, grazie al nostro esempio. Ma ecco l’interrogativo: quando dichiariamo di desiderare la Pace, siamo sicuri di esserne davvero convinti? Siamo davvero sicuri di poter abbandonare l’avarizia, la rabbia, l’ignoranza? È in questo che dobbiamo partire da noi stessi. Pace significa andare oltre le etichette (tra religioni, tra etnie, ma anche “semplicemente” tra concittadini), e oltrepassare il concetto di “relazione” – per cui nella vita siamo portati a relazionarci con le persone che riteniamo amiche – per arrivare a quello di “connessione”, consapevoli che tutti gli esseri umani vivono in stretta interconnessione e che la sofferenza di uno porta alla sofferenza di tutti. Gli interventi hanno anche messo in risalto come i genitori siano i primi educatori alla pace, insegnando ai figli il rispetto, la solidarietà, il vivere in armonia, l’ascolto, in modo da prevenire razzismo, discriminazione, incomprensione. Ma attenzione: la Pace non è “relax”, non è uno stato passivo di non-disturbo, non è il dover vivere insieme perché ci si è ritrovati, per caso, sulla stessa superficie del globo terrestre; Pace è il piacere di vivere insieme.
Il secondo incontro si è invece tenuto in Piazza Trento e Trieste, sempre a Monza, alle 21, e aveva lo scopo di riunire molti credi nella celebrazione della Pace. Alcuni ulteriori contributi hanno riguardato l’importanza di guardare a se stessi come manovali e costruttori di Pace, e come protagonisti del cambiamento. E’ necessario, tra le altre cose, aiutare le persone vittime di pregiudizi ad aprirsi e svelarsi, perché la non conoscenza è tra i peggiori nemici della Pace. La Pace può avverarsi solo in due fasi: il perdono, e la riconciliazione. Se vi è solo perdono, senza riconciliazione, questo non sarà sufficiente. La serata, dopo il saluto del Sindaco, è stata allietata dai canti di un gruppo cattolico Sudamericano, dalle poesie di un professore di Monza, dalle note di un monaco buddista originario della Birmania, che ha intonato l’“inno” che i monaci buddisti cantavano durante le loro manifestazioni in quel paese, spiegandone anche la traduzione: “Ci uniamo da tutte le parti del nostro paese, e insieme lo difendiamo”; sono intervenuti anche rappresentanti della disciplina yoga, dell’unificazionismo, della comunità Bahai, di Scientology, e fedeli musulmani. La serata si è conclusa con alcune canzoni africane e con il mantra Hare-Krishna. Per concludere, riporto una riflessione fatta da una partecipante: si parla molto di “pace tra le nazioni”; ebbene, a Monza vi sono tante nazioni in una città: il modo migliore per iniziare!
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