di
Giuseppe Malpeli
Ora
è tornata alla politica, riceve gli ambasciatori e ministri degli Esteri, è
accolta da una folla ovunque si muova, nelle strade si vedono dappertutto
gadget con la sua foto.
Questo,
dopo molti anni, ho potuto vedere e di questo sono stato diretto testimone. La
sorpresa è stata grande anche per chi come me amico fraterno di tanti birmani, iniziava
a perdere ogni speranza, guardando al futuro di questo popolo con angoscia e
timore.
Con
tutti i distinguo e le cautele necessarie in questo caso, come in molti altri
luoghi del mondo dove le dittature di uomini senza scrupoli hanno imposto la
sofferenza ai loro popoli, in Birmania sembra davvero di respirare un’aria
nuova.
Una “primavera birmana, dopo quella dei popoli arabi”. Una primavera del tutto speciale, un passaggio di “stagione politica” come se fosse una transizione non un brusco cambiamento.
Ho
avuto nel tempo della mia recente permanenza, la fortuna di incontrare ex
prigionieri politici, personalità della “Lega per la democrazia”, leader
importanti del movimento vicino a Aung
San Suu Kyi, donne e uomini più o meno giovani. Tutti in fermento, tutti
guidati da un motto condiviso: “E’ in atto una vera evoluzione non una
rivoluzione”. Questo, così mi hanno detto tanti giovani con cui ho parlato e
non solo monaci, è meglio per tutti perché il popolo birmano è paziente,
educato alla non-violenza, portato a lottare certo, ma non a essere aggressivo.
E’
come se dopo lunghi e interminabili anni di silenzio, fosse tornata la parola. Prima ancora del diritto ad
alzare lo sguardo senza paura per dire e raccontare, la parola che nasce dal
desiderio di parlare con tutti, anche con gli stranieri, prima un po’ temuti e
guardati con sospetto.
In
una bellissima lettera, scritta dalla senatrice Albertina Soliani in occasione
del Nuovo Anno a Aung San Suu Kyi, era citato l’antico Salmo 126 della Bibbia
che recita così:
Chi
semina nelle lacrime
Mieterà con giubilo
Nell’andare se ne va e piange
Portando la semente da gettare
Ma nel tornare, viene con giubilo
Portando i suoi covoni.
Quante lacrime ha
dovuto versare il popolo birmano?
Nel
mio incontro con un numerosissimo gruppo di ex prigionieri politici, alcuni di
questi condannati a morte, usciti da pochissimi giorni, ho potuto ascoltare dai
loro racconti il dolore infinito al quale erano stati sottoposti. Un dolore
senza confini, senza pietà, disumano, che ha cercato in tutti i modi di
togliere anche la loro dignità e gli affetti più cari.
Il
governo, l’attuale governo, ha mantenuto la promessa: gli ha finalmente
liberati! La primavera birmana è proprio speciale: le lacrime non si sono
trasformate in rabbia o risentimento, ma in gioia e felicità. Nel racconto dei
prigionieri non vi era infatti disperazione, ma fiducia, speranza, sguardo
volto al futuro più che al passato.
Sono
stato anche davanti a un carcere famoso di Rangoon ad accoglierne un gruppo. A
molti di loro, ho rivolto questa domanda: “Quanti anni sei stato in prigione?”
Alcuni rispondevano dieci, altri venti, altri ancora incarcerati dopo le
proteste del 2007.
Per
un giorno intero sono stato nella sede dell’LND. Seduto in un angolo a prendere
nota di tutto ciò che accadeva.
Una
sede fino a poco tempo prima inaccessibile, nella quale nessun taxista osava
portare stranieri o fermarsi davanti. Ho visto ragazze, tante ragazze
accogliere con orgoglio e coraggio tutte le persone che entravano.
Ho
potuto stare vicino a Aung San Suu Kyi, nel giorno in cui ha ufficialmente
inaugurato la stessa sede. Dentro si respira la storia: sulle pareti sono
appesi i ritratti del padre Aung San, quello della figlia Suu Kyi, la bandiera
del suo movimento con il bellissimo pavone, tavoli e sedie ovunque per fermarsi
e parlare senza timore o paura. Mi è sembrato di essere non in un luogo fisico,
ma in un libro dove la memoria è stata custodita con coraggio, dove si sente l’anima
di un popolo, dove si è a contatto diretto e immediato con la democrazia che
nasce.
Suu
Kyi, il giorno dell’inaugurazione della stessa sede, mentre liberava palloncini
colorati, l’ho vista felice, molto
felice, insieme alla sua gente, al suo popolo.
Era
tornata, come dice il Salmo con giubilo, portando non i covoni ma l’anima e il vento
della democrazia.
La
Birmania è stata in questi anni come un grande campo, dove molti hanno in forme
diverse seminato con lacrime. Ora sembra davvero che sia tornato il tempo del
giubilo e della speranza. Questo, oggi accade in Birmania.
Nessun commento:
Posta un commento