Perché tornare oggi alle origini dei diritti? Perché molto del nostro lessico civile—persona, dignità, bene comune, limiti del potere—non nasce dal nulla. Prende forma nel pensiero cristiano medievale e rifiorisce nel Rinascimento iberico con la Scuola di Salamanca, fino alla voce profetica di Bartolomé de Las Casas. In un’epoca segnata da guerre, migrazioni, intelligenza artificiale pervasiva e polarizzazioni, questa genealogia non è un museo delle idee: è una cassetta degli attrezzi per un’etica pubblica capace di proteggere i vulnerabili e ricucire il tessuto sociale.
di Giorgio Gasperoni
Perché oggi
“Dignità” è parola ovunque: nelle costituzioni, nell’Agenda 2030, nei codici etici. Ma se tutto è “dignità”, niente lo è davvero. Per ridarle spessore serve tornare alle sorgenti. Tra Medioevo e prima modernità si definisce un alfabeto comune: la persona ha un valore intrinseco, il potere è ordinato al bene comune, la ragione sa riconoscere norme morali iscritte nella realtà. Da qui, per molte mediazioni, scende la modernità dei diritti.
Tommaso d’Aquino: persona, dignità, legge naturale
Tommaso assume da Boezio l’idea di persona come “individuo di natura razionale” e la radica teologicamente: l’essere umano è immagine di Dio. La dignità (dignitas) non è premio né sentimento: è statuto ontologico che si traduce in compiti etici.
Qui entra la legge naturale: non un elenco di divieti, ma la partecipazione della ragione all’ordine della giustizia. I precetti primi descrivono cosa significa fiorire come umani: ricercare il bene, custodire la vita, generare ed educare, cercare la verità su Dio, vivere in società. Ne scaturisce una politica che misura la propria legittimità non sul vantaggio immediato, ma sul bene comune.
C’è una tensione storica: Tommaso non elabora ancora una teoria dei diritti soggettivi e, dentro le categorie del suo tempo, considera anche istituti come la schiavitù nel quadro dello ius gentium, pur sottomessi alla morale. Proprio questa tensione diventerà, nel XVI secolo, leva critica.
Salamanca: il diritto delle genti come limite al potere
Con l’irrompere del Nuovo Mondo, i domenicani di Salamanca trasformano il lessico tomista in linguaggio giuridico pubblico.
· Francisco de Vitoria, nelle Relectiones de Indis, afferma che i popoli indigeni possiedono dominium politico e proprietà: non sono “schiavi per natura”. Né scoperta né donazione papale fondano di per sé la sovranità spagnola.
· Prende forma un ius gentium che vincola tutti: diritto di comunicazione (viaggiare, commerciare, dialogare), limiti alla guerra giusta, tutela dei non-combattenti.
· Domingo de Soto e Francisco Suárez consolidano l’idea di una comunità delle nazioni ordinata da norme conoscibili con la ragione.
Non siamo ancora alla Dichiarazione universale, ma l’architrave c’è: universalità della persona, bene comune e limiti all’impero.
Bartolomé de Las Casas: quando la dignità diventa azione
Las Casas porta fuori dall’aula questa rivoluzione. Denuncia le devastazioni coloniali, difende la piena umanità dei nativi, contesta a Sepúlveda l’idea di guerre “civilizzatrici”. È advocacy ante litteram: racconta, documenta, chiede riforme. Se Salamanca mette i limiti sul piano delle idee, Las Casas li incide nella coscienza pubblica. La dignità diventa obbligo politico: proteggere chi è in balia del potere, riparare i torti, cambiare le leggi.
Ombre e meriti
Il quadro non è privo di ambivalenze: alcuni “giusti titoli” vitoriani mantengono un tono eurocentrico; l’argomentazione resta teologica, non ancora “laica” in senso moderno. Eppure, rispetto al suo tempo, la triade Aquinas–Salamanca–Las Casas compie un passo decisivo verso un’idea inviolabile di persona che frena conquiste, schiavitù e arbitri; ispirerà Grozio, la tradizione del diritto internazionale, fino ai diritti umani novecenteschi.
Cinque piste operative per il presente
1. Dignità come criterio di limite. Politiche di sicurezza, IA, bioetica, economia: tutto è legittimo solo se serve la persona e il bene comune, non l’utile di breve periodo.
2. Protezione dei vulnerabili (R2P quotidiana). La “Responsabilità di Proteggere” non è solo dottrina ONU: è prassi locale—safeguarding, contrasto alla tratta, protezione dei civili, lotta alla violenza di genere.
3. Diplomazia dell’incontro. Lo ius communicationis oggi è intercultura e interfaith: viaggiare, imparare, cooperare come diritti-doveri che creano fiducia fra popoli e religioni.
4. Giustizia riparativa. Dalla memoria della tratta a Gorée alla dignità dei migranti: ascolto delle vittime, percorsi di riparazione e riforme strutturali.
5. Tecnologie con bussola morale. La legge naturale come criterio di umanità nell’era digitale: trasparenza algoritmica, non-discriminazione, tutela della persona oltre la logica del dato.
Conclusione
Se la dignità è la pietra angolare, Tommaso ne mostra il fondamento, Salamanca i limiti giuridici del potere, Las Casas il coraggio di tradurla in storia. Non basta proclamare diritti: occorre educare alla dignità, costruire istituzioni giuste e alleanze sociali che rendano possibile una convivenza pacifica. È l’agenda minima di cui il mondo ha bisogno adesso.
Per approfondire
· Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 29 (persona); I-II, q. 94 (legge naturale).
· Francisco de Vitoria, Relectiones de Indis (1539), in Political Writings, Cambridge University Press, 1991.
· Domingo de Soto, De iustitia et iure (1553–54).
· Francisco Suárez, De legibus ac Deo legislatore (1612).
· Bartolomé de Las Casas, Brevísima relación de la destrucción de las Indias (1552).
· Brian Tierney, The Idea of Natural Rights (1997); Annabel S. Brett, Changes of State (2003).

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