Si può affermare che il
potere abbia un genere sessuale?
Di
Pino Rotta
Generalmente
associamo il termine potere al genere
maschile. Una connotazione legata alla potenza sessuale, iconograficamente
rappresentata dal simbolo fallico; cioè potere uguale: forza, virilità.
Secondo
questo percorso il potere generatore
non si associa all'intelligenza, alla gentilezza, alla tenerezza, all'amore ma
appunto alla forza.
La
storia dell'umanità ne sarebbe la dimostrazione con la continuità del
predominio maschile fondato prima sulla forza fisica, poi sulla impersonificazione
del monoteismo, istituzionalizzato nelle religioni su canoni maschili, ed
infine sul denaro e gli strumenti per detenerlo e conservarlo che hanno pervaso
e continuano a pervadere l'economia e la politica, dalla guerra alla
criminalità.
Gli
anni sessanta del secolo scorso sono stati solo una parentesi, un'importante ma
troppo breve parentesi. Con il favore dal benessere economico che ha concesso
anche alle donne la disponibilità di denaro e di consumi anche di tipo
voluttuario e culturale. Una importante e sconvolgente parentesi che ha messo,
per un breve decennio, in discussione la concezione maschilista del potere e
formato due generazioni culturalmente alternative. Due generazioni sono troppo
poche per radicare nella società cambiamenti strutturali, ed alla fine la parentesi
si è chiusa e la cultura del potere coniugata al maschile torna ad affermarsi
in tutta la società occidentale ed in particolare in Italia dove appunto non si
sono mai conosciute concezioni liberali.
Ma
perché definiamo culturalmente alternative quelle due generazioni di persone
nate tra la seconda metà degli anni cinquanta ed la seconda metà del decennio
successivo? Innanzitutto, lo abbiamo già detto, lo sviluppo economico ha dato
la possibilità a persone, soprattutto giovani, di disporre di beni di consumo,
non primari ed essenziali per la sola sopravvivenza e di soddisfare anche
bisogni di tipo intellettuale e artistico (non è un caso che gli anni sessanta
sono gli anni della rivoluzione culturale che si esprime soprattutto nei primi
movimenti ecologisti, nella musica con matrici indelebili quali Fabrizio De
Andrè, Joan Beaz, Leonard Cohen, Jaques Breil, Lou Reed). Ma sono anche anni in
cui, mentre matura una sensibilità democratica e umanistica, nel mondo
continuano le devastazioni delle guerre, dalla Corea al Vietnam. La Seconda Guerra
mondiale con tutti suoi orrori era ancora troppo vicina nella memoria e nei
segni fisici della gente per non suscitare una reazione ed i giovani erano
pronti a cogliere questa suggestione e reagire non solo alla guerra ma anche
alla cultura del potere violento, sviluppando movimenti pacifisti improntati
non sulla parità sessuale ma sulla comunanza dell'esistenza terrena come
individui con il diritto di vivere liberi ed in pace. Ma liberi da che cosa?
Per prima cosa dalle convenzioni sociali, strumenti potenti della cultura
maschilista che legittimava l'uso della forza. A questo tentativo di
trasformazione culturale si contrapposero due potenti armi di dissuasione di
massa: la crisi economica cominciata negli anni settanta e protrattasi fino ad
oggi e la cultura dell'individualismo edonista e consumista che hanno spostato
il desiderio dall'anima al corpo, indotto dall'azione persuasiva della
televisione. Si è rapidamente tornati dal Noi
all'Io. Il messaggio che arriva negli
anni ottanta e successivi è chiaro: con gli ideali non vai da nessuna parte!
Pensa a te stesso ed approfitta di quello che puoi! Ritorna la forza fisica o
economica ad essere status symbol del potere ed anche le donne che vogliono
partecipare al potere devono sottostare a questa logica. Chi non ci sta è
fuori, debole, diverso. Certo questo ritorno all'individualismo ha qualche
controindicazione: violenza sessuale, razzista e xenofoba. Ma è un prezzo che
il potere di genere maschile sente di potere accettare e gestire… con la paura!
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