L’impegno di infondere fiducia e
speranza nei cuori trapassati da ferite profonde
e da una povertà crescente non è
semplice e scontato
di Lora Quaggiotto
Anche un piccolo gruppo missionario a
dimensione parrocchiale, attraverso il lavoro dei missionari con cui è in
contatto, può diventare una “Voce di Pace”. Ce ne siamo resi conto
accompagnando suor Maria Pedron, missionaria comboniana ed ostetrica a Nampula
(Mozambico), lungo gli anni terribili della guerra civile che ha sconvolto quel
Paese. Con il nostro aiuto suor Maria poteva procurare medicinali e cibo per la
popolazione locale (soprattutto per le mamme e i bambini) senza distinzioni tra
le fazioni in lotta. Per questo ha rischiato molte volte la vita, ma ha provato
anche momenti di gioia quando le donne, superando le divisioni politiche e i
rancori, accomunate dalla situazione di bisogno ed emergenza in cui si
trovavano, avevano il coraggio di sorridersi e di stringersi la mano. Così,
seguendo il Centro Giovanile di Kamenge (Burundi), dove opera il saveriano
padre Claudio Marano, abbiamo imparato a conoscere e a sostenere una realtà che
ha dell’incredibile. Più di 30.000 ragazzi/e delle due etnie che si sono
massacrate in Ruanda e Burundi hanno imparato in questo Centro a convivere e a
rispettarsi. Hutu e Tutsi, cristiani e musulmani vivono insieme il loro tempo
libero tra giochi, attività sportive, lavoro, seminari sulla pace e momenti di
accoglienza reciproca. Per questa sfida educativa padre Claudio Marano ha
ricevuto nel 2002 il Premio Nobel alternativo per la pace. L’anno scorso
abbiamo seguito con trepidazione e ansia il lavoro di suor Tiziana Maule,
missionaria dorotea e medico-chirurgo ad Alepè (Costa d’Avorio). L’ospedale di
suor Tiziana è stato un’oasi di salvezza per la popolazione civile nella
sanguinosa contesa tra i due capi di governo.
Anche in America Latina, e precisamente in
Colombia, c’è chi lavora per la pace: Monica Puto, una ragazza di Pordenone che
fa parte dell’Associazione “Giovanni XXIII” di don Oreste Benzi, porta avanti
il “progetto Colomba” tra le donne di quel Paese, che per coltivare il loro
pezzetto di terra devono percorrere chilometri e chilometri per strade impervie
ed esposte alla violenza della guerriglia. Chiara fa loro da scorta a cavallo
ed ha come unica arma di difesa il suo passaporto italiano. Nell’ultima lettera
che ci ha scritto dice così: “Quello che con l’Operazione Colomba proviamo a
vivere, sostenuti anche dal vostro aiuto, è inserire in contesti di guerra e di
divisione un seme di solidarietà e di pace. Non riusciamo a far riconciliare i
popoli fra loro, ma sicuramente siamo “speranza” per quanti sono costretti a
vivere la precarietà e l’insicurezza di un conflitto armato. Con loro
sperimentiamo che il dialogo e la non violenza non sono un’utopia, ma sono vie
possibili e concrete per uscire dalla violenza in cui sono immersi. Di questa
verità siamo testimoni ogni giorno, nelle piccole e più grandi occasioni”.
Ecco alcuni esempi del nostro lavoro per
sostenere i missionari; questo impegno ci permette di conoscere le guerre di
cui non si parla ma che provocano tante vittime e tanto dolore. Le nostre sono
piccole gocce di solidarietà ma è questo che sappiamo e possiamo fare perché
nessuna situazione umana di violenza ed ingiustizia ci sia estranea o
indifferente, qui da noi e in tutto il mondo.
Lora Quaggiotto (Responsabile del Gruppo
Missionario “Sacro Cuore” di Pordenone)
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