Gianfranco Miro Gori (San Mauro pascoli) nel suo libro “Guida
alla Romagna di Secondo Casadei” lo descrive così: “Musicista, compositore,
capo-orchestra, impresario. Stabili una tradizione. E la diffuse in Italia e
nel mondo . Romagna mia, la sua canzone più famosa, rappresenta il perfetto
connubio tra un uomo e la sua terra”
Riccarda Casadei , figlia di Secondo Casadei che dirige
la Casadei Sonora istituita per diffondere e conservare la musica e la memoria
del padre, ci parla dell’uomo, del padre e del musicista.
“Secondo Casadei, mio padre”
“Lo Strauss dei poveri”, “L’uomo che sconfisse il
boogie”, , “Il Fellini della mazurka”: questi sono alcuni fra i titoli degli
articoli, ben allineati, appesi alle pareti di quello che è stato il suo
studio, ed in tutti vi è l’immagine sempre sorridente di mio padre: Secondo
Casadei, che io chiamavo affettuosamente “bone”, diminutivo di babbone. Oltre
alle sue lunghe mani affusolate e scattanti che sapevano accarezzare lievi e
leggere, la più bella cosa che si notava e, penso, sia rimasta nel ricordo di
quanti l’hanno conosciuto, era l’immancabile dolce sorriso, che spuntava da
sotto i suoi curatissimi baffetti alla Clark Gable.
Sono lontani i tempi difficili, quando nel dopoguerra,
non c’era lavoro, la gente diventava pazza per il boogie-woogie e tutti i ritmi
americani e non appena provava con la sua orchestra ad intonare le prime note
di un valzerino, veniva subissato da fischi ed urla. Ma la sua tenacia e la sua
caparbietà di buon romagnolo furono premiate, e di quel periodo duro pieno di
delusioni e amarezze non rimase altro che un ricordo. Nel 1954, con “Romagna
mia”, cominciò finalmente ad arrivare il grande successo. Quale romagnolo
partendo con il cuore in gola per l’estero a cercar lavoro non ha messo in
valigia con le fotografie dei suoi cari il disco “Romagna mia”? Conservo
gelosamente moltissime lettere che da ogni continente gli emigranti gli hanno
indirizzato, traboccanti di nostalgia: “… e sa, caro maestro, qual è l’ora più
bella della nostra lunga e faticosa giornata? Quella in cui ci riuniamo tutti
accanto al giradischi ad ascoltare la sua “Romagna mia” che ci fa tanto bene e ci
riporta alla nostra terra…” Custodisco con cura nel suo studio accanto ad
attestati di benemerenza, coppe, medaglie, trofei, la chitarra con la quale si
accompagnava di notte per comporre le sue musiche ed il violino con cui ha
fatto ballare quattro generazioni. “… Con questa polca farò rompere le gambe a
qualcuno”, diceva, e non era contento fino a che non provava i suoi nuovi brani
direttamente sul pubblico che era il suo primo e vero giudice. E se lo vedeva
ballare, saltando a tempo, e se qualcuno
gli stringeva la mano complimentandosi,
era l’uomo più felice di questo mondo. Ha vissuto per la sua musica, che veniva
sempre prima di tutto il resto, e la sua Romagna, che cercava in tutti i modi
di raggiungere da qualsiasi posto si trovasse.
Stando quotidianamente in mezzo alle sue cose, mi sembra
di averlo sempre accanto, ed ascoltando i suoi brani, sono sempre più convinta
che la sua musica, pur essendo stata scritta tanti anni fa, conservi più che
mai una grande freschezza ed attualità e, nella sua semplicità, rispecchi tutti
i sentimenti della vita: gioia, dolore, nostalgia, speranza. Una musica che è
sempre attuale, una musica senza tempo.
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