18 luglio 2012

Il Viale delle Rose


Storie di Ebrei rifugiati nella Repubblica di San Marino durante la seconda guerra Mondiale.
Una storia mai raccontata prima rende onore agli abitanti del monte Titano. Una lunga ricerca riporta alla luce quanto accaduto veramente agli ebrei nella piccola repubblica. 
Libro scritto da Giuseppe Marzi.

A cura della Redazione

Girare per le strette e ripide vie sul Monte Titano, parlare dopo tanti anni con coloro che vivevano lì al tempo della Seconda Guerra Mondiale, rivedere attraverso gli occhi delle stesse persone quanto è accaduto in quegli stessi identici luoghi decenni or sono. Cercare di individuare i tratti somatici di quei volti, capire come parlavano, il loro accento, capire dalla cadenza da quale regione o nazione provenivano. Sì, perché a San Marino in quegli anni si sentivano parlare tante lingue per le stradine. Ma chi erano queste persone? Roxanne Pitt nel dopoguerra scrisse un libro, edito in Italia da Longanesi, intitolato “La spia timida”. Roxanne era una spia inglese, una di quelle che in gergo vengono definite dormienti. Si stabilì a Rimini all'inizio del conflitto fingendosi insegnante, con il falso nome di Albertina Crico. Trovò lavoro al Liceo “Serpieri”, ma nell'estate del ‘43, quando crollò il fascismo - ambiente nella quale si era abilmente introdotta per spiarlo dall'interno - si trovò in seria difficoltà: spiegare agli antifascisti il suo vero ruolo era alquanto rischioso, altrettanto pericoloso era rimanere in balìa di persone che gridavano vendetta per i vent'anni di soprusi mussoliniani. Decise allora di rifugiarsi a San Marino: la distanza era breve, il trenino bianco -azzurro collegava il Monte Titano alla cittadina della riviera più volte al giorno; prese una stanza all'Hotel Titano, dove rimase fino all'inizio dell'inverno.
Anche lei guardò i volti delle persone che passeggiavano in quel luogo, scrisse sul suo libro che erano spie come lei. Verdetto affrettato, oppure di comodo, visto che il suo romanzo doveva trasmettere il senso di pericolo che proprio lei stava vivendo.
Per quelle stesse vie, a quasi settant’anni di distanza, Giuseppe Marzi ha cercato di rivedere le stesse immagini, di sentire le stesse voci. Impresa ardua, anche perché oggi si sentono parlare veramente tante lingue diverse, solo che ora sono le lingue di tutti quei turisti che visitano la più antica Repubblica del Mondo, non di persone che scappano dal fuoco della guerra, dall'odio razziale imposto da Adolf Hittler. Marzi ritrova, attraverso i racconti dei testimoni, anche l'immagine della Professoressa Crico. Aveva sempre bellissimi e grandi cappelli ed era ben vestita. Ma chi erano le persone che la distinta signora salutava sulla Piazza della Libertà, o la sera, quando andava al ristorante La Taverna? C'era un signore di quasi sessant’anni, accento marcatamente tedesco, sempre gentilissimo e cortese, era immancabilmente accompagnato dalla moglie Rosa e si chiamava Otto Rhul. I coniugi Rhul vivevano a non più di cinquanta metri dall'Hotel Titano, avevano preso in affitto una camera nella casa di Vio Cornacchia, infermiere del locale ospedale, dove aveva anche la mansione d'anestesista. Persona rispettata, di lui si dice che fosse molto bravo nel suo mestiere, quando la professione di anestesista veniva affidata a semplici infermieri e la professionalità veniva misurata dal minor numero di vittime causate. Hotto Rhul e la moglie Rosa erano arrivati a San Marino verso la fine del '42, vivevano a Milano e avevano anche una casa a Como; inizialmente originari di Vienna, avevano cercato in passato di scappare in Brasile attraverso la Francia occupata, poi in Svizzera, ma entrambi i tentativi fallirono, fino a finire a San Marino. Ma perché scappavano e da cosa? Molto semplice, i coniugi Rhul erano ebrei! Sempre nella casa di Vio Cornacchia viveva un'altra signora, si chiamava Malvina Koon: era di origine tedesca, vedova, aveva una figlia di nome Erma Endl, la quale si era sposata con un italiano, Franco Lomonaco, origine siciliana. Tutti e tre si stabilirono a Merano, ma nel luglio del '39 vennero espulsi in virtù delle leggi razziali emanate poco tempo prima dall'Italia fascista, si rifugiarono per qualche tempo a Rimini, confondendosi fra i turisti, ma finita la stagione balneare si trasferirono anche loro sul Monte Titano. Era il 4 ottobre 1939: la famiglia si divise, la “vecchia signora Endl”, così veniva chiamata, prese una camera in affitto in casa Cornacchia, la figlia e il genero andarono a vivere in località Voltone, a circa un chilometro di distanza. Salendo ancora un po’ da casa Cornacchia, sulla salita che dalla Pieve conduce alla Rocca si poteva incontrare mentre giocava sulla stradina un vivace bambino, occhi azzurri e quasi cinque anni: si chiamava Edoardo, gli amichetti lo prendevano in giro, lo chiamavano “Edoarda” perché aveva lunghi capelli biondi, spesso raccolti in due vistose trecce e anche i vestiti non erano quelli abituali di un maschietto. Edoardo parlava italiano, la lingua paterna, qualche parola in dialetto romagnolo, appresa dai monelli, ma altre volte lo si sentiva parlare con la nonna materna in polacco. Edoardo Brambilla Grymberg aveva il padre prigioniero degli inglesi in India, nazione dove venne arrestato durante un viaggio d'affari perché cittadino di una nazione in guerra con l'Inghilterra; la madre, Regina Grymberg, originaria di Varsavia, aveva sangue ebreo nelle vene, con lei andò a vivere anche l'anziana madre, Anna Pinkert. Tutti e tre si rifugiarono a San Marino da Milano dopo che il capoluogo lombardo venne preso di mira dai bombardieri alleati, era il novembre del '42.
Nelle sue passeggiate la Professoressa Crico vide anche uno strano personaggio, vestiva il Saio dei frati francescani, ma nelle mani stringeva un bastone con il manico d'argento e ai piedi portava costosissime e rarissime calze di seta, improbabile che Padre Alfio fosse veramente un Francescano. In realtà si chiamava Camillo Castiglioni, all'epoca era l'uomo più ricco d'Europa, era stato il fondatore della BMW e della Continental, a inizio secolo fu anche il maggior azionista della  “Deutsche Bank”. Era figlio del Rabbino di Trieste, lui con l'inizio delle persecuzioni riuscì a scappare in Svizzera, ma a differenza degli altri 6000 ebrei che vi si rifugiarono, il 16 giugno del '43 venne espulso, così arrivò a San Marino! Avevano il sangue ebreo quelle persone, non erano spie - come scrisse Roxanne Pitt - quel sangue che la tradizione voleva si trasmettesse per linea materna e che determinava una razza che il nazismo decise dapprima, di mettere al bando, esattamente come avvenne in Spagna cinquecento anni prima, ma che nel ventesimo secolo, si arrivò a voler sterminare, dando origine alla tanto odiata “Shoah”.
Giuseppe Marzi stava cercando da tanto tempo le tracce di alcune centinaia di passaporti falsi, che qualcuno ritiene siano stati prodotti dallo stato sammarinese, per permettere ad altrettanti ebrei di scappare, invece lungo il suo cammino si rende conto che gli ebrei da quel piccolo paese non sono mai scappati, anzi vi si sono rifugiati e lì hanno vissuto, come gente comune, integrandosi e partecipando talvolta alla vita pubblica del paese. Momenti di paura ci furono, sì, ma non dovuti ai sammarinesi, bensì ai tedeschi, che sovente varcavano il confine e seminavano terrore e panico fra la gente. Il pericolo fu altissimo, bastava una spiata, un delatore, un semplice ubriaco che dimenticasse quel giuramento mai sottoscritto. La fame poteva essere un buon motivo per tradire questi individui, una spiata su un ebreo all'epoca veniva pagata 5000 lire, una cifra molto importante in tempo di guerra, ma di cosiddette “spiate” a San Marino sugli ebrei non ce ne furono mai. Ezio Balducci, eroico inviato straordinario verso gli eserciti belligeranti, giocò una carta importante in tal senso: i primi di novembre del '43 si incontrò segretamente con Benito Mussolini a Predappio, dove il dittatore consigliò al sammarinese di fare un governo fascista-repubblicano, alla pari di quello appena istituito nella Repubblica di Salò; questa era la soluzione migliore per tenere lontano dalla piccola Repubblica del Titano i tanto focosi animi tedeschi. Balducci ascoltò con attenzione, ma l'impresa era troppo ardua, a San Marino nessuno voleva saperne, ritornare al tanto famigerato ventennio, questo nessuno lo voleva. Allora lo scaltro medico, voluto a gran forza al ruolo di grande responsabilità politica, pensò bene di ricattare tutti con una falsa lettera inviata dal Console italiano Vincenzo Guglielmi, ma in realtà fu lui a scriverla. Chiedeva l'elenco di tutti gli ebrei presenti a San Marino, per poter confrontare questo elenco con quello in possesso dal console stesso. Tanta fu la paura, i sammarinesi sapevano bene che cosa rischiavano per l'ospitalità data a tali individui. Pochi giorni di tempo, tanto bastò, per convincersi che era meglio farsi chiamare fascisti! Il governo di unità nazionale già esistente si cambiò nome, infatti, dal 4 gennaio 1944 si fecero chiamare “Governo Fascista Repubblicano”, dove i fascisti veri in realtà erano una esigua minoranza. Un cambiamento che andava fatto ad ogni costo, per il bene del paese, per salvare gli ebrei e le migliaia di sfollati che quotidianamente approdavano a San Marino in quei giorni tragici. Erano appena iniziati i bombardamenti su Rimini, gli alleati iniziavano a spianare la strada per l'attacco alla linea gotica e la marcia da sud che li avrebbe portati a conquistare la Germania di Hitler e questa lunga marcia doveva cominciare proprio dalla cittadina romagnola. Alla fine, furono 100.000 le persone che trovarono scampo nella piccolissima Repubblica, ma fra questi quanti furono gli ebrei? Marzi ne ritrova oltre sessanta solo nel centro storico, ma ritiene che fossero in realtà molti di più. Non rivela cosa sia a spingerlo a ipotizzare che nell'ultima parte del conflitto, settembre – agosto '44, di ebrei a San Marino ce ne fossero un migliaio, ma c'è da credergli. La sua ricerca è stata definita dal Rabbino Capo di Ferrara, Luciano Caro, “una ricerca di valore” e auspica che possa continuare: è stata aperta una porta che era rimasta chiusa per troppo tempo. Marzi afferma d'aver ritrovato nelle parole dei testimoni sopravvissuti, dopo tanto tempo, una sorta di “serenità storica”: tanta era la rabbia, il desiderio di vendetta, che nessuno aveva mai prima d'ora raccontato la storia che aveva attraversato due epoche, quella fascista e quella antifascista. Infatti, gli ebrei cominciarono a stabilirsi a San Marino nel '39 sotto il pieno dominio fascista e rimasero anche dopo, quando caddero in disgrazia. Quindi per alcuni raccontare questa storia non voleva dire onorarsi. Al contrario, avrebbe allo stesso tempo fatto onore a coloro che dovevano essere puniti per una miriade di misfatti legati alla dittatura mussoliniana, ai nemici. Allora si scelse il silenzio! Silenzio che termina oggi! Con la pubblicazione del libro “Il viale delle rose, storie di ebrei rifugiati nella Repubblica di San Marino durante la seconda guerra mondiale” edito da Giuntina, Giuseppe Marzi rende onore a tutti quanti, quelli di prima e quelli dopo la caduta del fascismo. “Era ora” afferma il Rabbino Capo Luciano Caro, davanti agli Eccellentissimi Capitani Reggenti il giorno della presentazione del libro. Fra i partecipanti all’udienza, appare a sorpresa un anziano signore dagli occhi azzurri, il suo nome è Edoardo Brambilla Grymberg, ha le lacrime agli occhi e rivolgendosi ai Capi di Stato dice: “Grazie! Anche da parte di tutti coloro che non possono più farlo”.

Nessun commento:

Posta un commento