1 giugno 2008

SAFARI CINESE IN AFRICA

Impetuosa se non inarrestabile l’avanzata della Cina nel continente africano: oro nero ed altro gli obiettivi primari di Pechino.

di Carlo Alberto Tabacchi

Il “Drago cinese” conquista terreno e mercati in Africa, investendo massicciamente attraverso accordi commerciali, dichiarazioni di partnership e di amicizia e sostegno reciproco; nel frattempo, Stati Uniti, Russia ed Europa restano distratti (ma, per quanto tempo ancora?).
Dal 2001 al 2005 il commercio sino-africano è aumentato del 270%; grazie a questa “iniezione asiatica di aiuti”. Nel 2005 l’Africa ha registrato una crescita del Pil complessivo del 5,2%. Alla base del forte interscambio economico-commerciale sono presenti logiche più pragmatiche che non la fratellanza tra popoli oppressi o la lotta contro tutti gli imperialismi, come spesso venivano sbandierati negli anni ’60 dai responsabili politici comunisti. Pechino investe in Africa per poter colmare la propria sete e fame di petrolio e materie prime. A questo scopo, ha adottato una strategia tanto semplice quanto spregiudicata: impegnarsi senza interferire negli affari interni dei propri clienti e difenderli all’occorrenza davanti alle condanne più o meno esplicite della comunità internazionale; Sudan e Zimbabwe rappresentano esempi alquanto evidenti di tale prassi.
Quindi, non importa verificare l’etica delle Leadership alla guida degli esecutivi, non si sottilizza sulla tutela dei diritti umani o sul tasso di corruzione: si guarda praticamente alla convenienza economica, alle concessioni di appalti per progetti infrastrutturali, si mira essenzialmente alle ricchezze minerarie e non. Ad esempio, tra i primi 10 fornitori petroliferi di Pechino, nel 2005 figurano l’Angola (2°), Sudan (7°), Congo Brazzaville (8°), Guinea Equatoriale (9°): tutti paesi che, se non allergici allo stato di diritto, con la democrazia hanno poco a che fare. Come si evince, gli interessi reciproci risultano piuttosto intensi: da un lato un vasto paese assetato di energia e materie prime, dall’altro un continente un po’ dimenticato che custodisce proprio ciò che oggi serve alla Cina: oltre al petrolio, gas, rame, uranio, alluminio, manganese, legname.
Non dimentichiamo che Pechino, vedendo la grave instabilità petrolifera del Medio Oriente, area di influenza e scontro tra Stati Uniti e Russia, ha cominciato dagli anni ’90 ad importare ingenti quantitativi di greggio africano. La diplomazia petrolifera di Pechino ha due targets precisi: nel breve periodo, assicurare rifornimenti per la dinamica crescita interna; nel lungo periodo, posizionarsi come attore globale nei mercati internazionali. Pertanto, la Cina rimane l’acquirente privilegiato ed ideale delle risorse naturali africane: salda subito in contanti e vende ai diversi governi locali tecnologie, know-how industriale ed armi (generalmente leggere).
Altro dossier scottante è che la Cina sostiene pubblicamente 3 candidati – Nigeria in primis, Egitto e Sud Africa – per un seggio permanente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, pur riconoscendo che la decisione finale resta nelle mani dell’Unione Africana.
Sotto l’aspetto più squisitamente diplomatico, solo 5 nazioni africane mantengono attualmente relazioni ufficiali con Taipei (capitale di Taiwan).
Come accennato prima, non si può trascurare la legittimazione da parte del gigante asiatico, di abusi e violazioni nel settore dei diritti umani, nelle pratiche antidemocratiche e nella vendita di armi ad “amici poco affidabili” come Sudan e Zimbabwe, soggetti ad embargo da parte degli Stati Uniti ed Unione Europea. Per Pechino non esistono espressioni colorite ed ormai famose come “rogue countries” oppure “axes of evil” che possono contraddistinguere alcune nazioni africane.
In conclusione, mentre l’Unione Europea rimane dormiente o pericolosamente assente, l’approccio cinese persegue 3 fattori piuttosto chiari: nuovi mercati ed opportunità di investimento, diplomazia e cooperazione di sviluppo ed una partnership strategica.

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