1 giugno 2008

Quando il Vangelo incontra il dharma

di Mark T. King

I concetti e le pratiche di meditazione del buddhismo possono dare un grande contributo alla fede cristiana chiarendo alcuni concetti chiave, quali l’incarnazione e la Trinità, ed insegnando un nuovo modo di interagire profondamente con le Scritture

Gli anni della mia giovinezza sono stati marcati dai profondi dubbi esistenziali derivanti da una mia profonda crisi di fede nei confronti della religione nella quale ero nato. Ho lottato con le immagini ed i presupposti, che definirei premoderni, sui quali era stata incentrata la mia formazione religiosa e che erano sempre meno compatibili con le mie esperienze moderne e postmoderne.
Ad un certo punto della mia vita ho letto “The World of Zen: An East-West Anthology”, a cura di Nancy W. Ross; quel libro mi ha mostrato un percorso verso l’illuminazione e la comprensione di sé. Per me fu una vera rivelazione. Le voci di quegli antichi e scomparsi maestri Zen sembravano vive in quel preciso momento. Ognuno sembrava parlare un linguaggio nuovo e fresco, che generava in me sia meraviglia che nuove domande relative alla mia fede cristiana, domande alle quali sto ancora cercando di rispondere. Parlavano della non dualità dell’esistenza, dell’interrelazione tra tutte le cose, e dei limiti che hanno le parole, i concetti e la mente razionale nel raggiungere la più profonda saggezza.
A quel tempo non potevo immaginare che queste idee, ad un tempo familiari ed estranee, avrebbero spianato la via alla rivitalizzazione della mia identità cristiana e cattolica in un senso più autenticamente universale. Nello Zen, una forma di buddhismo, ho scoperto insegnamenti e presupposti che riecheggiano l’antica tradizione mistica cristiana, anzi, sono ad essa paralleli.
Riportando le mie scoperte personali nel più ampio contesto cristiano, sono convinto che la riscoperta ed il rimodellamento della saggezza mistica cristiana, che in gran parte è andata persa, possa fornire dei validi indizi sul modo in cui i cristiani possano più efficacemente rispondere alle sfide poste dal pluralismo religioso e dalla post-modernità. Queste due sfide al cristianesimo contemporaneo si incentrano da una parte sulla necessità di rimanere radicati nella fede cristiana senza diventare settari dogmatici, e dall’altra sul bisogno di essere aperti a visioni religiose alternative senza però divenire vittime del caso e della relatività.
Gli insegnamenti paralleli del buddhismo possono costituire un grande aiuto nel rimodellare una coscienza mistica cristiana che sostenga gli sforzi che i fedeli fanno per essere cristiani ancora più veri, meglio in grado di dialogare con i non cristiani, e meglio preparati per lavorare per l’armonia e la pace con le varie religioni ed i vari popoli.

L’osmosi tra cristianesimo e buddhismo

In tempi di aggravamento del settarismo religioso, dell’estremismo e della violenza, gran parte delle persone di coscienza è d’accordo sul fatto che abbiamo bisogno con urgenza di nuove strade che ci conducano verso la pace. Sebbene le fedi e le pratiche religiose abbiano dato un forte contributo alla violenza ed alla divisione settarie, queste stesse tradizioni contengono in sé la potenzialità di essere forze di pace e di unità.
Una delle sfide del dialogo interreligioso consiste nel mantenere l’integrità e l’autenticità di ciascuna delle tradizioni religiose lavorando nel contempo per rafforzare i rapporti interreligiosi e coordinare gli sforzi di realizzazione della pace. La semplice tolleranza reciproca non è più sufficiente. Se i cristiani devono raccogliere la sfida del rimanere radicati nella loro tradizione, e dell’essere nel contempo aperti alle verità affermate dai non cristiani, devono prendere in seria considerazione i benefici dati dallo sviluppo di una coscienza mistica e di una spiritualità cristiana che sia più autenticamente radicata nel mondo di tutti i giorni. Il buddhismo può costituire un grande aiuto in questa ricerca.

In “Letters to Friends: Meditations in Daily Life” (2003), William Johnston descrive l’incontro tra cristianesimo e buddhismo, e la conseguente osmosi tra i pensieri, le fedi e le pratiche di entrambi quale nuova forma di preghiera meditativa e di contemplazione che cerca una maggiore accettazione all’interno del cristianesimo. Questo movimento contemplativo emergente promuove la valorizzazione di concetti quali ad esempio l’immagine non dualistica di Dio e di Cristo, la realtà dell’incarnazione e dello Spirito Santo nel momento presente, ed il mistero divino, sia interiore che esteriore.
Il dualismo occidentale e l’abbandono della tradizione mistica
Il misticismo cristiano si occupa fondamentalmente della preparazione interiore e della realizzazione di un incontro diretto e trasformatore con Dio. Questa dimensione può essere descritta come un rapporto non dualistico, nel quale Dio non è conosciuto come nel più familiare rapporto “io-tu”, ma come una “fusione”, nella quale la propria coscienza non è distinta da quella di Dio. I mistici cristiani ricercano un’unione con Dio che è paradossale, in quanto mirano, tramite essa, ad essere uno con Dio e contemporaneamente separati da Lui nella loro identità.
Quest’obiettivo della mistica cristiana è diverso da quello del buddhismo Zen, il satori, nel quale colui che lo pratica raggiunge alla fine la natura del Buddha, sperimenta l’inerente vuoto del proprio sé e l’inerente unità con tutto ciò che è, la base dell’esistenza che è condivisa dal Tutto. Vi è una differenza significativa tra il meditare finché esiste solo Dio ed il meditare fino a quando esiste solo il sé, o, più precisamente, il non-sé; questa differenza non deve però negare la potenzialità di una più profonda comprensione della propria fede tramite un mutuo scambio sulle diverse esperienze mistiche.

L’antica tradizione mistica cristiana tuttavia, resta confinata in una forma monastica, che rinnega il mondo, poco compresa dalla massa dei cristiani. Gran parte del suo linguaggio rimane premoderno e quindi estraneo ad orecchie moderne. Il percorso mistico di purificazione di base ad esempio (purificazione, illuminazione ed unione contemplativa), e l’accurata distinzione tra grazia acquisita ed infusa, possono indurre alla diffidenza e possono sembrare confusi. Gran parte di questa complessità è superata nel buddismo Zen grazie all’importanza che quest’ultimo dà alla posizione ed al respiro corretti, ed al profondo rapporto tra mente e corpo.
Anche se nei vari aspetti del cristianesimo sono stati presenti vari elementi di misticismo, questi non hanno mai avuto un’importanza centrale, poiché si è sempre pensato che i cristiani non avessero bisogno di una esperienza di trasformazione mistica per vivere la vita cristiana. Purtroppo questa convinzione è limitativa, proprio perché è nel silenzio contemplativo dell’esperienza mistica che si può realizzare l’incontro più proficuo tra buddhismo e cristianesimo. Questa omissione è anche non in linea con un numero non trascurabile di riferimenti nelle scritture cristiane e negli scritti dei Padri della Chiesa ad immagini non dualistiche di Dio, ed al chiaro riconoscimento dei limiti delle parole e dei concetti nell’esprimere la verità di Dio.
Gli scritti di Paolo ed il Vangelo di Giovanni testimoniano entrambi della dimora dell’immanenza del Cristo tra i credenti. Forse il passo più conosciuto è quello in Galati 2:20, nella quale San Paolo osserva che nel più profondo di sé non c’è lui ma il Cristo (“Sono stato crocifisso con Cristo, e non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me…”). Giovanni 10:30 impiega un linguaggio non dualistico dello stesso tipo, quando Gesù proclama che il Padre è in Lui e Lui nel Padre. Gesù più avanti prega che, proprio come il Padre è in Lui, spera che possa essere in loro, i credenti.
Una delle ragioni più importanti della generale riluttanza ad approfondire questa antica tradizione cristiana è profondamente radicata nel dualismo occidentale, che deriva sia dalla filosofia greca che dalla tradizione giudeo-cristiana, e che è stata ulteriormente rinvigorita dalla scienza moderna. Combinate insieme, queste forti influenze hanno generato un modo di pensare che porta automaticamente a cercare ed a trovare dei modi per dividere il mondo e l’esperienza in categorie dualistiche separate e presumibilmente opposte.
Questo modo limitato di percepire e di pensare è stato a volte applicato in modo indiscriminato a coppie quali Dio e la creazione, spirito e materia, bene e male, vita e morte, uno e molti, ragione e sentimento, uomo e donna. Un’ulteriore comune “corruzione” di questo modo di pensare dualistico contempla l’elevare uno di questi opposti ad una posizione superiore, ed il relegare l’altro in una posizione inferiore. In termini di religione e di spiritualità, una delle applicazioni più devastanti di questa visione è stata la dicotomia tra mondo fisico naturale “di per sé caduto” ed il Regno dei Cieli spirituale, il regno divino, situato in un diverso e trascendente mondo spirituale.

La comparsa del modernismo, e la crescente accettazione della scienza e della filosofia quali legittimi strumenti per spiegare il mondo naturale, ha inevitabilmente messo al bando il pensiero e la pratica religiosi dal mondo naturale per relegarli nel mondo sovrannaturale. Influenzati anche dalla crescente popolarità della scienza e della filosofia, sia i protestanti che i cattolici mettono sempre più enfasi sulla accettazione razionale e cognitiva della chiesa e della dottrina biblica quali strumenti essenziali per la salvezza. In questo clima culturale, la passione “oscura”, intuitiva, ed i misteri delle antiche tradizioni contemplative, sono stati liquidati quali superstizioni primitive.

Il Vangelo ed il dharma

La corretta comprensione delle dottrine cristiane dell’incarnazione e della Trinità riflettono una comprensione fondamentalmente non dualistica della natura sia di Dio che degli esseri umani. Purtroppo troppi cristiani oggi, impastoiati nel loro amore per le parole ed i concetti, e nella forte tendenza a dividere le cose in opposti, sono inconsapevoli della profonda e meravigliosa saggezza della loro propria tradizione.
Lo sviluppo di una spiritualità incentrata sull’incarnazione e sulla Trinità attraverso la preghiera contemplativa e la meditazione fatte con regolarità, dovrebbe permettere a molti cristiani disincantati di radicarsi nella propria identità cristiana ed allo stesso tempo di essere realmente aperti alla voce ed alla musica delle altre religioni. Il problema è che il messaggio cristiano, ed i suoi vari credi e dottrine, sono ancora veicolati tramite immagini e concetti premoderni, che si oppongono a questo tipo di interpretazioni non dualistiche del proprio rapporto con Dio.
Una visuale buddhista delle dottrine cristiane fondamentali della Trinità e dell’incarnazione può aiutare i cristiani a riscoprire questa saggezza pressoché perduta. I pensieri e le pratiche buddhiste possono essere degli strumenti utili, che possono fornire nuove prospettive della Scrittura, degli insegnamenti tradizionali della chiesa, e della loro applicazione alla vita quotidiana del cristiano.
A prima vista, gran parte del pensiero buddhista appare incompatibile con quello cristiano. Ma una più approfondita lettura delle due tradizioni, tuttavia, rivela aspetti sorprendentemente simili, che possono aiutare i cristiani a comprendere il modo in cui la loro fede può essere più importante e significativa alla loro esperienza contemporanea e più aperta alle altre religioni.

La co-originazione interdipendente e l’Incarnazione

Il concetto buddhista della co-originazione interdipendente, che in pratica diventa “consapevolezza”, implica per analogia la possibilità per i cristiani di essere in grado di comprendere l’Incarnazione come qualcosa che non è avvenuta solo una volta, tanto tempo fa, ma che continua nel presente, in particolare quando stabiliamo e manteniamo rapporti corretti ed amorevoli e quando lavoriamo per la pace.
Il cristiano può continuare a considerare Gesù come l’espressione più piena e perfetta del Divino in forma umana, contemporaneamente riconoscendo delle manifestazioni della presenza divina nel proprio tempo. In questo modo seguirebbe l’esempio dell’apostolo Paolo o dei numerosi mistici cristiani che hanno visto la Parola vivente che si manifestava in modo continuo, in modo particolare nei poveri e negli appartenenti alle altre religioni.
L’insegnamento fondamentale del Buddha, della co-originazione interdipendente, che afferma che tutte le cose devono la loro esistenza a qualcos’altro, porta a comprendere meglio questa universalizzazione dell’incarnazione. Attraverso la meditazione, Buddha divenne profondamente consapevole della propria co-originazione interdipendente. Egli sentì che la sua stessa esistenza era una combinazione di sensazioni in continuo mutamento che provenivano sia dall’interno che dall’esterno di sé. Per Buddha, così come per chiunque, la chiave per raggiungere questa illuminazione, o nirvana, consisteva nel praticare la “pienezza della mente” o “consapevolezza” in tutto ciò che si fa.
Secondo il maestro buddhista contemporaneo Thich Nhat Hanh, il concetto della co-originazione interdipendente rende più facile per i buddhisti accettare l’Eucaristia cattolica quale vero e reale corpo di Cristo. Se viene consumata consapevolmente, questo fondamentale sacramento cattolico diviene un richiamo della presenza di Dio sia nell’individuo che nella comunità dei credenti. Richiama anche l’attenzione dei cattolici nei confronti dei milioni di poveri e di affamati che non hanno abbastanza da mangiare. In qualità di fedele cattolico e cristiano, devo regolarmente riconoscere che il Cristo vivente risiede non solo nel pane e nel vino, e nemmeno solo nei fedeli della mia chiesa o della mia comunità, ma specialmente tra i poveri e gli emarginati. Gesù ha alluso a questa realtà con la sua solita semplicità poetica: “Ero affamato e mi avete dato da mangiare; ero assetato e mi avete dato da bere” (Matt. 25:35).
Come mostra questo ben conosciuto passo delle scritture, i cristiani devono riconoscere la presenza del Cristo nei non cristiani. Ciò si riflette nella tradizione cattolica nella quale è assolutamente ortodosso affermare che noi, la famiglia umana come insieme, siamo il corpo di Cristo. Uno dei tragici fallimenti dei missionari cristiani che per primi si recarono nel Nuovo Mondo fu il negare la natura di Cristo tra i popoli nativi. È necessario ricordare ai cristiani che la parola di Dio non è semplicemente diventata carne e poi si è allontanata: è diventata carne e resta con noi oggi. Dall’Incarnazione di possono ricavare degli spunti di riflessione simili. Al cuore della storia cristiana vi è la persona di Gesù di Nazaret ed il suo ruolo unico di redentore universale dell’umanità.
Questo è un punto di fede sul quale i cristiani non possono scendere a compromessi, ed ha costituito una barriera difficile da superare per molti di loro che hanno cercato di stabilire un sincero dialogo con i non cristiani. Anche se vi sono delle sottili differenze tra gli stessi cristiani, il concetto dell’Incarnazione in genere implica che il Figlio di Dio, al quale il vangelo di Giovanni fa riferimento come alla “parola di Dio”, si è incarnato. Il catechismo cattolico descrive tale evento storico come “l’unico e singolare evento dell’incarnazione del Figlio di Dio” (N° 464 della Chiesa Cattolica).
La realtà è che molti cristiani non sembrano apprezzare pienamente il profondo significato che l’Incarnazione ha per le loro vite, per i loro rapporti interpersonali e per le loro responsabilità nei confronti degli altri. Ronald Rolheiser, sacerdote cattolico ed autore, afferma che questa comprensione limitata dell’Incarnazione, benché non sia falsa, non è sufficiente di per sé. Se questa dottrina centrale deve costituire una guida significativa, vibrante, morale, nella vita di tutti i giorni, è necessario che i cristiani coltivino una visione ed una spiritualità dell’incarnazione ben radicata nel mondo quotidiano. Il significato più ampio degli sforzi di realizzazione della pace che questa spiritualità implica sono evidenti. Questa fondamentale dottrina cristiana deve essere compresa come una continua rinascita della presenza viva di Dio, che continua a manifestarsi ovunque si stabiliscano rapporti basati sull’amore e sulla correttezza con gli altri e con il proprio ambiente.
La sfida consiste nello sviluppare una comunità vibrante, ripiena di spirito, che sia inclusiva ed interreligiosa, e che sia rilevante nella vita quotidiana di ciascuno. Alla fine, sia l’Incarnazione che la co-originazione interdipendente possono risvegliare tutti alla più profonda realtà che condividiamo un profondo rapporto (con gli altri e con il Divino) che diviene reale quando i nostri pensieri ed azioni quotidiani sono consapevolmente focalizzati sulla pace e sull’armonia con tutto ciò che ci circonda.
Mark T. King, Ph.D., è assistente alla cattedra di educazione religiosa presso il Seminario Teologico dell’Unificazione in Barrytown, New York. Il suo primo libro, “Roman Catholic Identity in a Pluralistic Age”, verrà pubblicato nel corso dell’anno da University Press.

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