Quando un popolo ha trovato unità di intenti e condivisione di responsabilità
ha sempre prosperato, ma quando si è perso in conflittualità sterili,
si è avviato sulla strada della rovina
di Giuseppe Calì
“Le forze della democrazia sono immense. Dio, la Sua legge educatrice, le aspirazioni dei pensatori, gli istinti ed i bisogni delle moltitudini, le colpe e gli errori dei suoi nemici, combattono a gara per essa. …La vita dell’umanità appartiene d’ora innanzi alla fede che dice: libertà, associazione, progresso di tutti per opera di tutti. …crediamo in un ordinamento sociale che avrà Dio e la sua legge al vertice, il popolo e l’universalità dei cittadini liberi ed eguali, alla base, il progresso a norma, l’associazione a mezzo, il sacrificio a battesimo, il genio e la virtù a consiglieri nella via da corrersi” Giuseppe Mazzini ( Manifesto del comitato centrale 1850)
In occasione delle recenti elezioni, si è parlato molto di questioni economiche, di sicurezza e della eventuale nuova organizzazione dello Stato. In attesa di vedere quali saranno le conseguenze concrete di questo voto, rimane comunque aperta una questione di principio. Credo sia utile e necessaria una riflessione sulle forze che animano la nostra storia e sulla direzione che tali forze le hanno impresso.
Bisogna anzitutto trovare dei punti di riferimento più elevati dai quali riuscire a guardare con maggiore obiettività sia al passato che al futuro, al fine di orientarsi e riuscire ad interpretare correttamente i fenomeni che la società manifesta in continuazione. Un pensiero alla nostra storia, in questo caso, ci aiuta ad inquadrare meglio la situazione.
Gli ideali della democrazia, che hanno ispirato i nostri padri, hanno portato in tutto il mondo il vento potente della nuova era e forgiato il modello dell’uomo nuovo, libero e consapevole. Ma la storia è sempre una cosa molto complicata, mai veramente lineare ed ogni progresso costa sempre sacrifici e sofferenze pesanti. Tra un picco e l’altro, l’uomo attraversa spesso vallate di penombra che di volta in volta assumono nomi diversi: guerra, ingiustizia, oppressione, miseria, malattia. Fu così che l’Italia, mossa dai grandi ideali di libertà del risorgimento, mentre stava nascendo come nazione unita e le promesse di uno stato razionale, moderno ed efficiente sembravano concretizzarsi, dovette affrontare il secolo più drammatico della storia, quello con il numero di vittime di guerra più elevato. Grazie a Dio, anche le guerre finiscono ed è importante comprendere il carattere del tempo susseguente e le possibilità e le sfide che esso porta con sé. Si è detto da più parti, dopo le ultime elezioni, che siamo finalmente usciti dal dopoguerra. Un commento felice che condivido appieno perché abbiamo bisogno di evolverci culturalmente ed approdare a concezioni nuove e più libere. Riflettiamo però un momento su cosa sia stato per noi italiani, questo ultimo dopo guerra.
Nel 1946 in Italia avevamo due popoli, due fazioni che uscivano dal disastro della guerra, nemiche tra loro, costrette a vivere da separate in casa; ognuna cercando di conquistare la propria parte di dominio, in attesa di tempi migliori in cui appropriarsi del tutto. Il clima era di tregua più che di pace. Attraversavamo così il periodo della guerra fredda che stava condizionando il mondo intero. I grandi statisti nostrani di allora, De Gasperi e Togliatti, si destreggiavano con abilità tra delicati equilibri, riuscendo a non far sfociare il confronto in conflitto. Avevamo già rischiato parecchio con il contestato referendum tra monarchia e repubblica e solo grazie alla rinuncia ad ulteriori insistenze di Re Umberto II, che pure aveva il sostegno delle forze armate, l’Italia era uscita indenne da questo drammatico e contestato passaggio.
Esisteva tra l’altro, anche un’altra spaccatura in Italia: quella tra nord e sud. L’Italia era stata riunificata sotto la monarchia Sabauda da appena 85 anni, iniziando un processo di unificazione che aveva la meta di superare la divisione politica e culturale che aveva ereditato da tempi ben più lontani. La linea gotica aveva però diviso nuovamente l’Italia in due, con la conseguenza che a differenza del Nord, tra le altre cose, il Sud non aveva quasi conosciuto la resistenza. L’approccio al dopo guerra è quindi sostanzialmente diverso. Tra Bologna, Modena e Reggio, il tristemente noto “triangolo della morte”, per esempio, nei mesi successivi alla liberazione vengono uccise migliaia di persone, tra agricoltori, piccoli industriali, benestanti, sacerdoti e partigiani dissidenti. Il numero è ancora imprecisato ma secondo le stime di Ferruccio Parri le vittime di questa “pulizia politica” sono state ben trentamila.
Molte le ferite e le spaccature quindi, ideologiche, territoriali, culturali. Il paese è devastato, lo Stato in pezzi e la ricostruzione è condizionata pesantemente dalla situazione internazionale, soprattutto da Stati Uniti e Gran Bretagna, che dettano le loro condizioni. In questa situazione De Gasperi è l’uomo della fiducia, colui che è chiamato a ricollegare ogni cosa: interno ed estero, nord e sud, destra e sinistra. Miracolosamente, questo grande statista, che oggi rimpiangiamo, riesce a far quadrare il cerchio e dare all’Italia una base solida su cui impostare un futuro prospero nel rispetto dei valori fondanti della nostra cultura, quelli cristiani. Riesce, inoltre, senza colpo ferire, a tenere l’Italia nell’orbita atlantica. Restituisce così al nostro popolo dignità e immagine, anche nei confronti delle potenze straniere che riacquistano fiducia ed iniziano ad investire nel nostro Paese, anche se principalmente soltanto in una parte del nostro Paese.
La valutazione degli esperti di allora era che sarebbero occorsi almeno dieci anni per ricostruire l’Italia e riportarla a condizioni di vita accettabili. In realtà, i tempi della ripresa furono molto più rapidi e si raggiunse questo traguardo in soli cinque anni. Merito soprattutto degli italiani che vissero quel periodo di rinascita con lo spirito giusto, una gran voglia di lavorare ed una capacità di iniziativa che sorprese il mondo intero.
In questi pochi decenni, da allora, la società italiana è cresciuta in un relativo benessere, come una delle maggiori potenze economiche mondiali, ha imparato ad essere libera e si è maggiormente unita nello stile di vita. È un processo che ha avuto fasi alterne, ma siamo divenuti una democrazia compiuta. Il rovescio della medaglia, l’ostacolo maggiore, è stato la corruzione e la proliferazione di poteri criminali ed occulti, che spesso intrecciandosi con la politica, ha portato al degrado delle istituzioni. Il problema è ancora attuale e se vorremo costruire un sistema che possa funzionare adeguatamente non potremo prescindere da un risanamento morale ed istituzionale.
La storia del dopoguerra può essere vista dunque come un esempio di impegno per risanare le divisioni ed uscire dalla conflittualità dualistica che ha contraddistinto tutto il secondo millennio. Una lotta che coinvolge gli uomini da sempre come individui e come popoli, sia verticalmente, che orizzontalmente e direi in modo anche trasversale. Esiste un conflitto atavico radicato nel cuore dell’uomo e che condiziona le sue capacità sociali: quello che la Bibbia riconduce a Caino ed Abele e che la storia ha visto ripetere senza fine. Il nostro dopoguerra non sfugge a questo modello, ma ne è anzi una rappresentazione emblematica. Così come non sfugge ad esso la situazione attuale. Caino ed Abele, alias governo ed opposizione, sono sempre due fratelli che devono abbracciarsi e fare insieme l’offerta. È l’unico modo in cui Dio può accettarla da entrambi. L’ingiustizia apparente, per cui c’è sempre un vinto ed un vincitore, deriva dalla disunità. In realtà potremmo e dovremmo vincere tutti, evitando così che si arrivi inevitabilmente al fallimento del progetto complessivo a cui tutti aspiriamo: la costruzione di una società di pace in cui siano possibili prosperità condivisa e giustizia sociale ed in definitiva un po’ più di felicità, quella che Kant auspicava fosse la meta della politica.
Nella Bibbia è scritta una frase che Dio rivolge a Caino, prima che gli eventi diventino irreparabili e la logica del “mors tua vita mea”, ancora anima della nostra vecchia politica machiavellica, prenda il sopravvento:
“Perché sei tu irritato? E perché hai il volto abbattuto? Se fai bene non rialzerai tu il volto? Ma se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri sono volti a te; ma tu lo devi dominare!” Gen. 4: 6-7
Come trasporre questo avvertimento antico nella storia moderna? Di quale peccato si tratta? Caino avrebbe dovuto accettare suo fratello e riconoscere la benedizione che Dio aveva dato a lui ed Abele avrebbe dovuto abbracciare e confortare suo fratello, chiamandolo a partecipare della Grazia che Dio gli aveva concesso.
“Quando cerco nei diversi tempi, presso i diversi popoli qual è stata la causa che ha portato alla rovina le classi di governo, vedo sì il tal evento, il tal uomo, la tale causa accidentale o superficiale, ma, credetemi, la causa reale, la causa vera che fa perdere agli uomini il potere è che sono divenuti indegni di esercitarlo”. Alexis De Toqueville (1805-1859)
Ciò che in realtà non ci rende degni, è l’eccessiva conflittualità che ci porta ad usare la gente per vincere le nostre battaglie, a non valutare attentamente le esigenze e le richieste legittime della controparte che ci fa dimenticare infine del motivo per cui abbiamo il potere, che non è fine a sé stesso, ma funzione di un servizio che abbiamo il dovere di compiere. Per cui infine ci troviamo con tanti Caino, che sacrificano gli altri e nessun Abele, cioè qualcuno capace di sacrificare se stesso per il bene comune. Quando un popolo ha trovato unità di intenti e condivisione di responsabilità ha sempre prosperato, ma quando si è perso in conflittualità sterili, si è avviato sulla strada della rovina.
È importante, ora che le elezioni sono finite, che si trovi un po’ di pace politica e spirito di popolo, simili a quelle che noi italiani siamo stati capaci di trovare nel primo dopoguerra, permettendoci così di ricostruire la nazione. Perché di questo si tratta, di una nazione da ricostruire e di una identità da ritrovare.
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