di ANTONIO SACCÀ
Pur essendomi occupato ampiamente di Dante e della “Divina
Commedia”, di recente l'Associazione Culturale Spazio Tiburno, di Federica De
Marco e Francesco Mucci, mi ha proposto un Seminario, anche per celebrare il
Settecento cinquantesimo anniversario della nascita del nostro Poeta Nazionale.
Ho avuto un gruppo di frequentatori che non hanno avuto ostacoli d’intemperie,
per essere presenti. Li nomino: Maria Adele Vecchiarelli, Ettore Calì, Rosa
Massullo, Sabrina Tutone, Pietro D'Auria, Elisa Sachespi, Giovanni Mercogliano,
Maria Luisa Marino Mercogliano, Paolo Mercogliano, Ferdinando Salustri,
Patrizia Salustri, Fabrizio D'Agostino, Sandro Matini.
La “Divina Commedia”: un linguaggio di
getto primario, sgraffiantissimo o lievissimo, personaggi scolpiti di netto,
elevatissima, pugnace tensione morale, traversie nel viaggio dalle passioni più
abiette dell'Inferno, alle passioni moderate del Purgatorio, alle passioni
veementi per nobili scopi, nel Paradiso, tutto ciò che è umano è in Dante.
Leggere Dante è vivere la vita in ogni diramazione:
dall'amore che tanto è
attraente da continuare nell'aldilà (Paolo e Francesca), all'eroico e
osteggiato Farinata degli Uberti, allo scaltro e smodato di voglia conoscitiva
Ulisse, all'infelicissimo Conte Ugolino, figure dominanti nel cupo Inferno; alla
dolente Pia de' Tolomei, nelle tenue luci del Purgatorio; allo sfarzo luminoso
del Paradiso, fino all'immedesimazione
di Dante in Dio. E Virgilio, e Beatrice, e bestie e demoni che tentano di
fermare il viaggio di Dante. E angeli e santi che lo sospingono. Mai uomo osò
tanto giungendo a tanto. L'Inferno, il Purgatorio, lo stesso Paradiso sono
passaggi del cammino, ostacolatissimo, in quanto l'inferno Dante lo ha in sé,
quelle tremende alterazioni davanti a lui, golosi, assassini, mentitori,
falsificatori, traditori, violenti, lussuriosi sono le possibilità dell'uomo,
anche di Dante, egli le danna come
possibilità da sottomettere, le vive negli altri per escluderle da sé, e
tuttavia le soffre, le patisce, in quanto uomo nulla gli è estraneo. Questo
rende poesia la Cantica, il coinvolgimento nelle traversie dell'umano,
diversamente Dante sarebbe soltanto uno scrittore morale, molto di più, è un
Poeta morale, sente ed esprime, sente e giudica. Ma giudica sentendo, ed è nel
sentire che il giudizio diventa poesia. Sente, giudica e ascende. E il cammino,
bisogna fingere di considerarlo reale, macigni, fiumi, dirupi, guardiani,
ostacoli, dicevo, proprio perché è difficoltosissimo liberarsi dall'orrore
umano. Dante congiunge l'ostacolo interno, il Male, con l'ostacolo esterno, il
viaggio accidentato e impedito, è un viaggio drammatico. E certo, in questo
viaggio incontra le “figure” che di solito vengono considerate preminenti, ed
invece sono secondarie al “viaggio” personale di Dante.
Nella metà degli anni dell'esistenza,
trenta, trentacinque anni, allora, XIII/XIV secolo, Dante si ritrova in una
selva oscura, tre bestie lo minacciano, Leone, Lonza, Lupa, mentre egli credeva
di superare la selva, è perduto, no, lo soccorre un'Ombra Uomo, gli suggerisce
il cammino di salvezza, si svela, è Virgilio, inviato a Dante per intercessione
di Beatrice che, in Paradiso, ha visto Dante intricato nella Selva dell'umano
terreno. Virgilio, Virgilio, Virgilio! Dante, assetato di paternità suprema,
esemplare, al sapere che quell'Ombra è Virgilio, si prosterna e coniuga, è e
resterà un'ossessione, il mondo romano al mondo cattolico, il credentissimo
Dante non rifiuta un accento del mondo romano antico e fa del mondo cattolico
una prosecuzione di quello romano. Virgilio! Ora cammineranno insieme, Virgilio
lo condurrà finché potrà, alle soglie del Paradiso, nell'Inferno vedranno e
Dante “vivrà” i dannati, nel Purgatorio
coloro che si redimono , infine, la conquista, per Dante, del Paradiso.
L'Inferno è disposto secondo i
“peccati”, a ciascun modo di “peccare”, una sede. Canto V dell'Inferno, i
lussuriosi. Dante incontra Paolo e Francesca, dannati non tanto per l'essersi amati
appassionatamente, piuttosto perché Francesca era coniugata. Ma l'amore prevale
su tutto e, in certo senso, va oltre la pena dell'Inferno. Meglio l'Inferno
amando, che vivere non amando? Un vento rapina Francesca e i molti dannati,
turbinandoli, Paolo è avvinto a Francesca. Chi sa, forse ad entrambi non
importa dell'Inferno, se rimangono insieme!
Continuiamo il viaggio. Canto X,
Inferno, i non credenti, Farinata degli Uberti. Indimenticabile. Orgoglioso e
desolato, eroico difensore della Città che però lo esacra, insieme alla
famiglia, per le stragi di cui Farinata è incolpato dai fiorentini, bandito dalla
“patria” amatissima! Anche stavolta Dante vive in Farinata se stesso.
Siamo al XV Canto, il suolo è
infiammato, una schiera di Anime lo percorrono, Una lo riconosce, il Padre, un
Padre ancora, il Padre che insegnò a Dante come l'uomo si eterna, Brunetto
Latini. Fu un letterato maestro di Dante che tolse al libro di Brunetto, il
“Tresor”, molti versi, un uomo che Dante giustamente amò e stimò, e Brunetto a
sua volta amò e stimò Dante e lo prefigurò quel che divenne, e di questo amore
e stima è vivo il Canto, come sempre appena Dante scorge “padri” o amici.
Canto XXVI, Inferno, incontro di
Dante con Ulisse, l'uomo dell'avventura e della conoscenza, Ulisse,
l'oltrepassatore di ogni limite, anche a costo della morte, il fondatore
dell'Europa faustiana, conoscenza mai fede, mai fermarsi, mai considerarsi
giunti ad un punto ultimo, avanti, l'uomo vale per quanto osa, tenta. E se va incontro alla morte? Dante è
tratto da questo Ulisse che dopo anni di guerra non smette di combattere e si
spinge con i pochi superstiti ancora a navigare, e supererà i luoghi fino a quel momento conosciuti, in
un mare ignoto, aperto . Sarà l'ultima conoscenza! E se va incontro alla morte?
Conoscerà la morte. E navigherà ancora, Ulisse? Dove?
Canti XXXIII e XXXIV dell’Inferno, abbiamo accompagnato Virgilio
e Dante, quest'ultimo, in carne ed ossa di parole, patisce buio, calura, rocce,
minacce dei satanassi demoniati, ma Virgilio è imperterrito, il “viaggio” è
imposto da Dio, e Dio, chiaro, sovrasta anche l'Inferno, a tale Nome i diavoli
disarmano, Virgilio, Dante, e noi, andiamo, triboliamo ma avanziamo.
Una plaga ghiaccia, uomini conficcati, a volto in giù, a capo
indietro, e vediamo un UomoOmbra il quale rode la cervice ad un UomoOmbra,
chiediamo che sia accaduto di tanto sottoumano da suscitare odio ferigno da
rodere addentando l'uomo un uomo. Risponde, il divoratore, chi non lo conosce? È
il Conte Ugolino della Gherardesca, e il morsicato è l'Arcivescovo Ruggeri,
narra, bocca insanguinata, Ugolino:
L'Arcivescono Ruggeri fece morire di fame Ugolino ed i suoi discendenti,
ritenendo Ugolino un traditore. Chiusi, figli e nipoti, giorni privi di cibo,
giorni e giorni, Ugolino comprende la sorte, i “figli” ad un gesto disperato di
lui, si offrono a pasto, infine l'inedia dà la morte. Non termina, Ugolino, la
parola, che addenta ancora, e lo farà eternamente, la cervice maledetta del
maledetto Arcivescovo Ruggeri. È il
Canto più estremo del Poema, un odio, una vendetta immortale, Dante è uomo
tragico, vertiginoso nell'amare e nell'avversare.
Il Canto XXXIV è anch'esso un Canto estremo, i traditori
per eccellenza, degli uomini e di Dio, Bruto, Cassio, Giuda e infine il
traditore decisivo: Lucifero. E' il Dante giustiziere, il Dante che s’identifica
con il rigore assoluto di Dio. Bruto, Cassio e Giuda, e Lucifero? I traditori
del Sovrano mondano sono da pareggiare ai traditori di Cristo e di Dio? Cesare,
il Sovrano, l'Imperatore è, nella sua sfera, non sottomesso ad altra autorità,
è il Dio della Terra. Accennavo: Dante eredita totalmente la forma imperiale
romana e vuole affiancarla, non sminuirla, al Pontefice. La Chiesa non può, non
deve sostituirsi o prevaricare o considerarsi maggiore dell'Impero. Roma Antica
e Roma Cattolica.
L'Impero... e la Patria!
Siamo in Purgatorio, un uomo se ne sta chiuso in sé, Virgilio gli domanda la
via, l'uomo vuol sapere chi chiede, e basta che Virgilio cominci a dire “Mantova”
e l'Ombra esplode forsennata e con Virgilio sono abbracci di Ombra, entrambi
mantovani. “Ahi serva Italia... ”, un'esclamazione celeberrima forse più che il
“Va pensiero...” La poesia, l'arte
raggiungono l'apice nello spirito religioso e patriottico. Dante fu per
l'Impero e per la Patria. E per Dio. Impero, Patria, Comune, non soltanto
Impero...
L’Undicesimo Canto del Purgatorio è tra i massimi dell'intero
Poema. Dante giunge al luogo, dove i superbi espiano la condanna e liberandosi
salgono al Paradiso, vede i superbi gravati da macigni, loro che si innalzarono
vengono abbassati, domati. È l'aspetto evidente, facile da cogliere. Il
fondamento del Canto è in ben altro: i peccatori superbi hanno ,in Purgatorio,
compreso i limiti della gloria umana, e che nell'infinità del tempo non soltanto
la grandezza è minima ma anche l'estrema gloria vanisce, e non solo l'estrema
gloria degli uomini vanisce ma la stessa Terra è cosa da poco. Sembra un’anticipazione
di Pascal, e di Leopardi, anche se Dante e Pascal vedono il nulla dell'uomo in
confronto a Dio; e Leopardi vede il nulla dell'uomo in confronto al Nulla del
Tutto.
Nel Purgatorio abbiamo abbracciato, Dante, Casella, amico della
vita, suona. Casella, canta, una poesia di Dante, amici nell'al di qua e
nell'aldilà, gli amici, la “figura” paterna, sempre nell'animo di Dante, odia
ed ama. Pia de' Tolomei passa come l'Ombra di se stessa, lieve, fugace, un
sospiro di pena, reclusa, uccisa lentamente dal coniuge; Buonconte di
Montefeltro, rimpiange d'aver sbagliato via di fuga, e sembra il rimpianto dei
nostri errori... Virgilio lascia Dante, oltre il Purgatorio, lui pagano, non
gli è consentito il viaggio, in vero neanche Inferno e Purgatorio gli dovevano
essere concessi, Dante è troppo “romano” per curarsi di ossequienza, insisto:
il mondo cattolico continua non esclude il mondo “classico”, in Dante. Ma
perduto il Padre ecco l'ulteriore fantasma mentale di Dante, la Madre,
Beatrice, severa, amorevole, sempre attenta a che il “figlio” Dante si mostri
degno del Paradiso, e Dante, infantilmente si sforza per gradirle, si ritiene
un uomo da niente rispetto all'Universo, ancor meno rispetto a Dio, è talmente
superiore da comprendere la infimità umana commisurata all'infinito o a Dio.
Come ogni mente educata alla Scolastica, Dante ha cercato di
capire con la ragione il massimo possibile, ha risposto con ossequio teologico
cattolico all’interrogazione dei Santi sulla fede, ora, nel XXXIII Canto del
Paradiso è al cospetto visivo con i Dogmi, li deve intendere vedendoli: la
Trinità, la natura umana e divina di Cristo, l'uomo e la Trinità...Il XXXIII
Canto del “Paradiso” conclude il viaggio di Dante. Pochi uomini hanno faticato
quanto e come Dante. L'intero “Inferno”, l'intero “Purgatorio”, l'intero
“Paradiso”, tuttavia ha una insoddisfazione inguaribile, non gli basta aver
sofferto con i dannati, espiato con i redenti del Purgatorio, inneggiato con
gli eletti del Paradiso, non gli basta aver sofferto le passioni umano qual è,
risposto agli interrogativi sulla fede, no, no, non gli basta, sa che la fede è
un atto volontario, vogliamo credere, edifichiamo sulla fede quanto non
comprendiamo e non spieghiamo, la fede contiene in sé il dubbio sormontato con
la...fede, e vuole dunque ancora e ancora e ancora e ancora comprendere, perché
Dio, la Trinità siano conquiste certe, dimostrate non soltanto stabilite per
fede. Si accanisce allo spasimo. Capire la Trinità, l'Incarnazione, la ragion
d'essere dell'essere... E' prossimo a Dio ma non capisce. Crede in Dio ma non
oltrepassa il credere... Trinità, Incarnazione, Dio rivelatevi, fatevi
comprendere... Perché, come mai sussistete? Ma non comprende. Basta. Si
abbandona in Dio, vuole credere, ama credere, e si lascia trarre al Mistero Dio,
e in Lui infine chiude la mente come un bambino che si addormenta sulla spalla
del Padre! “All'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgea 'l mio disio e 'l
velle,/ si come rota ch' igualmente è mossa,/ l'amor che move il sole e l'altre
stelle".
Dio o Infinito, Impero, Cattolicesimo Romano, Roma Antica, Roma
Medioevale, Civiltà non soltanto Società.
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