18 luglio 2012

Società - Forte come un uomo


Si può affermare che il potere abbia un genere sessuale?

Di Pino Rotta

Generalmente associamo il termine potere al genere maschile. Una connotazione legata alla potenza sessuale, iconograficamente rappresentata dal simbolo fallico; cioè potere uguale: forza, virilità.
Secondo questo percorso il potere generatore non si associa all'intelligenza, alla gentilezza, alla tenerezza, all'amore ma appunto alla forza.
La storia dell'umanità ne sarebbe la dimostrazione con la continuità del predominio maschile fondato prima sulla forza fisica, poi sulla impersonificazione del monoteismo, istituzionalizzato nelle religioni su canoni maschili, ed infine sul denaro e gli strumenti per detenerlo e conservarlo che hanno pervaso e continuano a pervadere l'economia e la politica, dalla guerra alla criminalità.
In tutto questo si inserisce la figura femminile che, nella società occidentale, acquista potere pur rimanendo in questa sfera, minoranza, per lo più relegata nelle famigerate "quote rosa". La donna cioè conquista il diritto formale di partecipare al potere. In Italia questo principio passa per la prima volta dopo la caduta del fascismo quando finalmente anche alla donna viene riconosciuto il diritto di voto. Voto che però per molti anni è esercitato "sotto tutela" del padre, del marito e del parroco. Questo marchia profondamente la legislazione sociale e politica dei primi venti anni della neonata democrazia che, anche grazie alla colta e capillare presenza della chiesa cattolica, getta le basi per una politica di conservazione senza spazi liberali, nel campo sia civile che economico. Una base culturale che vede ancora il maschio padre, padrone, legislatore, giudice ed esecutore della forza di coercizione.
Gli anni sessanta del secolo scorso sono stati solo una parentesi, un'importante ma troppo breve parentesi. Con il favore dal benessere economico che ha concesso anche alle donne la disponibilità di denaro e di consumi anche di tipo voluttuario e culturale. Una importante e sconvolgente parentesi che ha messo, per un breve decennio, in discussione la concezione maschilista del potere e formato due generazioni culturalmente alternative. Due generazioni sono troppo poche per radicare nella società cambiamenti strutturali, ed alla fine la parentesi si è chiusa e la cultura del potere coniugata al maschile torna ad affermarsi in tutta la società occidentale ed in particolare in Italia dove appunto non si sono mai conosciute concezioni liberali.
Ma perché definiamo culturalmente alternative quelle due generazioni di persone nate tra la seconda metà degli anni cinquanta ed la seconda metà del decennio successivo? Innanzitutto, lo abbiamo già detto, lo sviluppo economico ha dato la possibilità a persone, soprattutto giovani, di disporre di beni di consumo, non primari ed essenziali per la sola sopravvivenza e di soddisfare anche bisogni di tipo intellettuale e artistico (non è un caso che gli anni sessanta sono gli anni della rivoluzione culturale che si esprime soprattutto nei primi movimenti ecologisti, nella musica con matrici indelebili quali Fabrizio De Andrè, Joan Beaz, Leonard Cohen, Jaques Breil, Lou Reed). Ma sono anche anni in cui, mentre matura una sensibilità democratica e umanistica, nel mondo continuano le devastazioni delle guerre, dalla Corea al Vietnam. La Seconda Guerra mondiale con tutti suoi orrori era ancora troppo vicina nella memoria e nei segni fisici della gente per non suscitare una reazione ed i giovani erano pronti a cogliere questa suggestione e reagire non solo alla guerra ma anche alla cultura del potere violento, sviluppando movimenti pacifisti improntati non sulla parità sessuale ma sulla comunanza dell'esistenza terrena come individui con il diritto di vivere liberi ed in pace. Ma liberi da che cosa? Per prima cosa dalle convenzioni sociali, strumenti potenti della cultura maschilista che legittimava l'uso della forza. A questo tentativo di trasformazione culturale si contrapposero due potenti armi di dissuasione di massa: la crisi economica cominciata negli anni settanta e protrattasi fino ad oggi e la cultura dell'individualismo edonista e consumista che hanno spostato il desiderio dall'anima al corpo, indotto dall'azione persuasiva della televisione. Si è rapidamente tornati dal Noi all'Io. Il messaggio che arriva negli anni ottanta e successivi è chiaro: con gli ideali non vai da nessuna parte! Pensa a te stesso ed approfitta di quello che puoi! Ritorna la forza fisica o economica ad essere status symbol del potere ed anche le donne che vogliono partecipare al potere devono sottostare a questa logica. Chi non ci sta è fuori, debole, diverso. Certo questo ritorno all'individualismo ha qualche controindicazione: violenza sessuale, razzista e xenofoba. Ma è un prezzo che il potere di genere maschile sente di potere accettare e gestire… con la paura!

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