Teatro di una serie di tragiche vicende, sullo sfondo di un’aspra contrapposizione tra Est e Ovest, l’Indocina, nonostante le molte ferite del passato, pare ormai avviata verso nuove prospettive di sviluppo.
di Emilio Asti
Adottato in epoca coloniale, quando Vietnam, Cambogia e Laos formavano parte dell’Unione Indocinese, creata dalla Francia, il termine Indocina, è poi rimasto ad indicare questa regione in cui vengono spesso incluse anche la Thailandia e il Myanmar.
Pur racchiudendo popolazioni diverse tra loro l’Indocina non è una semplice espressione geografica, ma nell’area del Sud-Est asiatico, costituisce un mondo a sé.
Le analisi sociopolitiche su questa regione, che ha sempre avuto una notevole importanza strategica, compiute alcuni anni addietro, che spesso ne proponevano un’immagine riduttiva, sono ora superate dalle nuove dinamiche politiche ed economiche, che vedono la rottura di vecchi equilibri e la formazione di nuove alleanze.
Rispetto ad alcuni anni fa l'Indocina, che in passato ha rappresentato un terreno di scontro tra l’Occidente e il mondo comunista e divenne teatro di parecchie vicende belliche, le cui ferite non sono ancora completamente rimarginate, appare profondamente cambiata. Già da diversi anni si sono verificati profondi cambiamenti politici e sociali e la modernizzazione ha comportato l'abbandono di molti valori tradizionali, portando con sé anche un aumento della criminalità e della disgregazione famigliare. Soprattutto i giovani, che costituiscono la maggioranza della popolazione, appaiono sempre più attirati dai modelli occidentali e carichi di aspettative. Gli investimenti stranieri sono in aumento e le città, gonfiatesi a dismisura, mostrano estese periferie degradate. La prostituzione minorile e il traffico di esseri umani e il commercio di droga, sfuggono al controllo dei singoli Stati, i quali paiono impotenti a trovare una soluzione a tali piaghe sociali, per contrastare le quali molte misure adottate, il più delle volte, si sono rivelate inefficaci. La corruzione dilagante e una persistente povertà affliggono questi Stati e rischiano di metterne in crisi le stesse strutture. Come in molte zone del Sud del mondo, il tasso di mortalità infantile rimane generalmente alto e i diritti lavorativi di base non vengono rispettati; persistono, anche se in misura minore rispetto ad altri Paesi, diverse forme di discriminazione nei confronti delle donne, le quali sono tuttora poco rappresentate nelle istituzioni.
I confini politici, più volte messi in discussione, non coincidono con quelli etnici, dando luogo a frequenti tensioni.
Stanziati principalmente nelle zone montuose, diversi gruppi etnici minori, che conservano caratteri culturali arcaici, rimangono separati da frontiere politiche e sentono minacciata la loro identità; in alcune zone sono presenti focolai di guerriglia.
Il Vietnam, lo Stato più esteso e popolato dell’area, una volta uno dei punti caldi del mondo, il cui nome evocava i fantasmi della guerra, appare oggi come un Paese che cerca di dimenticare il passato e di modernizzarsi per stare al passo con il mondo globalizzato. La nuova politica del governo, che ha permesso l’iniziativa privata in diversi settori ed abolito molte restrizioni, promuovendo gli investimenti stranieri, ha tolto dalla povertà una cospicua fetta della popolazione. Anche i vietnamiti emigrati all’estero stanno dando un contributo notevole alla loro patria, divenuta un importante mercato, definito da molti una nuova “Tigre asiatica” dove ora operano diverse imprese multinazionali. Sia la capitale Hanoi, abbandonata l’austerità di un tempo, che Ho Chi Minh City, che ancora nasconde i vizi della vecchia Saigon, appaiono in continua espansione.
Sebbene la sua storia sia stata marcata dalle lotte contro le nazioni che cercavano di dominarlo, dalla Cina, che in 10 secoli di occupazione ha lasciato un’influenza profonda, al Giappone, e poi alla Francia, senza dimenticare l’intervento americano, il Vietnam è riuscito a salvaguardare la propria individualità.
In seguito ad accordi internazionali, che però non tennero conto della volontà del suo popolo, nel 1954 venne sancita la divisione del Vietnam in due Stati lungo la linea del 17º parallelo, i quali successivamente seguirono cammini diversi in campo politico ed economico. Sotto la guida di Ho Chi Minh, il cui mausoleo si trova tuttora ad Hanoi, il Vietnam del Nord, chiuso in un sistema comunista autarchico, cercava di mantenere buone relazioni sia con Mosca che con Pechino, mentre il Vietnam meridionale, legato all’Occidente, aveva adottato un sistema economico capitalista. L’intervento militare americano, che ha provocato enormi danni umani e materiali, nonostante il massiccio impiego di mezzi, non riuscì ad impedire l’avanzata dei Vietcong, che nel 1975 occuparono il Vietnam meridionale. La vittoria dei Vietcong, da alcuni temuta e da altri sperata, non portò la soluzione dei problemi né tantomeno la libertà e il benessere promessi. Dopo la riunificazione del Paese, condotta in modo affrettato e con metodi dispotici, gli abitanti del Vietnam meridionale, molti dei quali, accusati di aver collaborato con il governo precedente, vennero inviati in campi di rieducazione, si sono trovati a dover cambiare totalmente condizioni di vita e di lavoro.
Trovatosi privo del principale sostegno economico in seguito al crollo dell’URSS, con cui aveva stretto forti legami politici ed economici il Vietnam, colpito anche dall’embargo da parte degli USA, ha dovuto dipendere dagli aiuti internazionali e la sua immagine divenne sinonimo di profonda miseria.
All’interno del partito comunista vietnamita si aprì poi una fase di profonda revisione che portò alla messa in discussione di diversi postulati ideologici. Già a metà degli anni ’90, la normalizzazione diplomatica con gli USA, il riavvicinamento alla Cina, oltre all’ingresso nel 1995 nell’ASEAN, l’importante organizzazione che raggruppa gli Stati dell’Asia sudorientale, avevano aperto nuove prospettive. Sono molti in Vietnam e all’estero, quelli che si chiedono se fosse valsa la pena combattere una lunga e dura lotta in nome di un ideale che si è poi rivelato fallimentare.
La liberalizzazione economica non è stata però accompagnata da quella politica; infatti, le riforme in ambito economico non hanno messo in discussione il potere del partito comunista, il cui ruolo guida è ribadito nella costituzione. Il dissenso aperto non è tollerato, ma, nonostante ciò, molti non rinunciano a far sentire la loro voce di protesta, pur non mettendo apertamente in discussione il sistema.
Ben diversa è la realtà della Cambogia, monarchia costituzionale con un sistema multipartitico. La Cambogia, che è stata uno dei paesi più poveri del mondo, pur avendo dimostrato una notevole capacità di ripresa, deve tuttora fare i conti con il retaggio di un passato tragico. Nonostante alcuni miglioramenti, per una grossa fetta della popolazione il benessere rimane ancora un sogno lontano; gli emarginati, costretti a vivere in condizioni drammatiche, sono numerosi, soprattutto nelle zone rurali dove permane una situazione di profonda miseria, che si inserisce in un contesto politico già di per sé molto instabile. Grazie all’impegnativo e costante lavoro di alcune ONG straniere, molto apprezzato anche da vari esponenti governativi locali, alcuni problemi sono stati avviati a soluzione, ma molta strada resta ancora da percorrere. Un grave problema è rappresentato dal gran numero di disabili resi tali dalle molte mine sparse in tutto il Paese, che tuttora continuano a provocare vittime.
La mancanza di materie prime condiziona lo sviluppo, in nome del quale sono stati purtroppo compiuti gravi danni ambientali, vasti tratti di foresta sono già spariti a causa del taglio indiscriminato degli alberi e diverse zone, contaminate da gravi forme d’inquinamento, continuano a subire danni notevoli. Hun Sen, l’attuale Primo Ministro, già al potere da 30 anni, leader del Cambodian People’s Party, sebbene, per vari motivi, non sia riuscito a mantenere tutte le promesse fatte, è riuscito a garantire una certa stabilità, pur in una situazione irta di difficoltà che richiede spesso scelte coraggiose, dimostrando una visione politica lungimirante.
Erede di un passato glorioso il regno Khmer, che nel momento della sua massima espansione esercitava il dominio anche su vaste aree dei Paesi limitrofi, fu portatore di una cultura raffinata, che ha trovato espressione nei grandiosi templi, ancor oggi oggetto di ammirazione, fatti edificare da alcuni sovrani di quel tempo.
Una figura molto importante ed emblematica nel panorama politico cambogiano, il quale ha fatto spesso parlare di sé anche all’estero, fu Norodom Sihanouk, figura imprevedibile ed avvolta in un alone leggendario. Definito “un uomo a più facce”, a motivo delle sue ambiguità, salito al trono nel 1941 e più volte Primo Ministro, Sihanouk ha continuato a svolgere un ruolo importante. Morto una decina di anni fa a Pechino, aveva abdicato a favore di suo figlio Norodom Sihamoni.
Per un certo tempo la Cambogia, pur in mezzo a conflitti interni, grazie all’abilità politica di Sihanouk, era riuscita a salvaguardare la propria neutralità. Coinvolta nella guerra del Vietnam, la Cambogia, il cui territorio venne utilizzato dai Vietcong per rifornire i propri infiltrati nel Vietnam meridionale, si è trovata a subire gravi conseguenze. Le truppe degli USA e del Vietnam del Sud entrarono in Cambogia, che fu poi bombardata dagli USA, che avevano organizzato un colpo di Stato, ponendo a capo il generale Lon Nol, il cui regime, nonostante l’aiuto militare americano, venne rovesciato dai Khmer Rossi.
Il periodo più terribile della sua storia rimane legato al famigerato nome di Pol Pot, divenuto tristemente famoso, artefice di una rivoluzione che voleva sancire l’inizio di una società completamente nuova, rurale ed autarchica, completamente isolata dal resto del mondo. Tutto il paese si era trasformato in un enorme campo di lavoro, ogni attività era stata collettivizzata e la popolazione fu costretta a lavorare giorno e notte nelle campagne. Perfino la circolazione del denaro era stata abolita.
Appoggiato dalla Cina, Pol Pot aveva instaurato un regime di terrore; gli abitanti delle città vennero obbligati a lasciare le loro case e a trasferirsi nelle campagne. Durante quel terribile periodo, a cui l’intervento armato vietnamita pose fine nel dicembre del 1978, si calcola che oltre un milione di cambogiani vennero uccisi ed oltre mezzo milione morirono di fame e di malattie. I sopravvissuti e coloro che riuscirono a fuggire conservano ricordi terribili: parecchi di loro sono affetti da malattie mentali a motivo delle enormi sofferenze subite.
Il meno conosciuto tra i Paesi di questa regione, il Laos, sottopopolato e rimasto a lungo escluso dai processi di sviluppo, spesso ostacolati dalle profonde divisioni tra i vari gruppi etnici, anche a motivo della conformazione del suo territorio, la maggior parte del quale è montuoso e senza sbocco al mare.
Anche il Laos, dove nel 1975 il partito comunista, dopo alcuni anni di governo di coalizione, prese il controllo dello Stato, si è aperto all’economia di mercato. Rispetto ad altri Stati, il Laos accusa un notevole ritardo e molti laotiani continuano a vivere al di sotto della soglia di povertà. Sono stati emanati vari provvedimenti volti a favorire gli investimenti stranieri e la cooperazione con le nazioni vicine. Nel 1994 venne inaugurato un ponte sul Mekong che collega il Laos alla Thailandia.
Non bisogna dimenticare che una porzione del Laos fa parte del famoso “triangolo d’oro”, area che comprende anche parti del Myanmar e della Thailandia, dove viene coltivato il papavero da oppio, che per molti rappresenta la principale fonte di reddito.
Al di là delle differenze politiche e delle disparità economiche gli Stati dell’Indocina dopo decenni di conflitto ed instabilità si trovano ora di fronte a sfide impegnative, con nuovi complessi problemi che si profilano all’orizzonte. Tuttora le loro società obbediscono a norme basate su rapporti gerarchici ben definiti, anche all’interno della famiglia oltreché nelle istituzioni. I valori ai quali si ispirano privilegiano un modello di sviluppo che cerca di combinare i vantaggi del sistema collettivista con il libero mercato. Tale modello mette enfasi sull’impegno dell’individuo in favore del bene comune. Secondo questa concezione i diritti individuali devono essere subordinati al bene dell’insieme.
È indubbio che il rispetto dei diritti umani, intesi in senso lato, nonostante alcuni progressi, lasci ancora a desiderare. La libertà del singolo viene sacrificata per mantenere la stabilità del sistema e la democrazia, come la conosciamo in Europa, almeno per ora, non rappresenta un’opzione praticabile, in quanto, secondo l’opinione dei dirigenti locali, potrebbe favorire spinte destabilizzanti e centrifughe.
Takeshi Umehara, autorevole filosofo giapponese, ha affermato che: “I nuovi principi per l’epoca postmoderna dovranno essere cercati nelle culture non occidentali. Sarà la cultura asiatica a fornire un motore e un cuore nuovo al mondo del futuro con i suoi valori di mutualismo e di ciclicità”.
Nel più ampio quadro del Sud-est Asiatico, in cui rimane aperto il contenzioso per le isole Spratly, situate nel Mar Cinese Meridionale, di superficie esigua, ma i cui fondali sono ricchi di petrolio, l'Indocina sta emergendo come un nuovo polo di crescita, trovandosi inoltre a svolgere un ruolo importante per controbilanciare la potenza cinese. La Cina, la cui penetrazione economica in quest'area è stata costante e massiccia, continua a rappresentare un partner commerciale di notevole importanza, suscitando però notevoli preoccupazioni, a motivo della sua politica.
Contrariamente al passato si avverte l'esigenza di attuare iniziative volte non solo al progresso economico, ma anche a raggiungere un rapporto equilibrato tra popolazione e risorse, che rappresenterebbe una garanzia di stabilità. I problemi sociali restano acuti e saranno necessari ancora diversi anni per far raggiungere migliori condizioni di vita alla popolazione, garantendo nuove possibilità di lavoro e di benessere per tutti.
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