19 luglio 2022

Come sta la democrazia nel mondo? *

di Godwin Chionna

Secondo un sondaggio del Pew Research Center condotto nel 2018 e pubblicato nel 2020, il 51% dei cittadini di 27 paesi democratici è insoddisfatto del funzionamento della democrazia (contro il 45% che si è dichiarato soddisfatto). Uno studio simile effettuato nel 2021, sempre dal Pew Research Center, ha confermato i numeri rilevati 4 anni prima, pur con una grande variabilità tra i paesi esaminati (si va dal 17% di persone in qualche modo insoddisfatte della democrazia a Singapore, ai picchi di Italia e Grecia, con il 65% e il 68% di insoddisfazione).

In un ordinamento politico in cui la legittimità delle decisioni deriva dalla maggioranza, che ci sia una maggioranza (nel nostro caso italiano, una maggioranza qualificata di quasi due terzi della popolazione) insoddisfatta proprio circa lo stato di salute dell’ordinamento stesso è quantomeno un segnale a cui prestare attenzione e su cui porsi alcuni quesiti. 

Andando più in profondità nell’analisi delle risposte, i ricercatori hanno evidenziato alcuni fattori correlati all’insoddisfazione. 

In primo luogo, le prospettive sull’andamento dell’economia hanno un forte impatto sulla probabilità di dichiararsi insoddisfatto: in 24 dei 27 paesi coinvolti, chi ha una visione pessimista sullo stato dell’economia sarà più facilmente insoddisfatto. In particolare, coloro che hanno sperimentato personalmente difficoltà economiche sono maggiormente critici nei confronti del cosiddetto establishment.

Un altro tema significativo è la percezione sulla correttezza dei politici e la effettiva possibilità di cambiare le cose tramite le elezioni. Chi ritiene che i politici non siano veramente interessati a cosa pensa il cittadino medio sarà più probabilmente insoddisfatto, così come lo sarà chi pensa che la maggior parte dei politici sia corrotta (anche se questo nesso è meno forte). In aggiunta a questo, è stato rilevato che 6 persone su 10 ritengono che le elezioni non servano a cambiare le cose - anch’esso un segnale tristemente significativo. 

Infine, c’è una connessione statisticamente rilevante anche tra la percezione circa l’imparzialità del sistema giudiziario e il grado di soddisfazione sulla democrazia nel proprio paese. Chi ritiene che il sistema giudiziario non tratti tutti equamente sarà più probabilmente insoddisfatto sullo stato di salute della propria democrazia.

Ricapitolando, l’insoddisfazione è generalmente associata a:

-        Prospettive pessimistiche sull’economia;

-        Scarsa influenza percepita del proprio voto, a causa della corruzione della classe politica;

-        Fallimento percepito del sistema giuridico nel garantire il rispetto delle leggi (e quindi dello stato di diritto).

È interessante notare come ciascuno dei fattori evidenziati dal rapporto abbia in qualche modo a che fare con un restringimento percepito della sfera di azione e di libertà individuali. Per citare un altro dato emerso nel rapporto del 2018, in Italia, Spagna e Grecia solo 1 persona su 4 pensa che le persone abbiano prospettive di miglioramento individuali: non a caso, si tratta dei paesi con il maggior tasso di insoddisfazione in Europa. Il nostro desiderio di democrazia si fonda sul desiderio di libertà, intesa come capacità di modellare la realtà intorno a noi. Persa questa capacità, a che pro la democrazia?

La riflessione che segue è questa: le cause di insoddisfazione verso la democrazia qui descritte possono essere riassunte in un unico macro-sintomo, e cioè la progressiva riduzione del campo di azione dell’individuo e delle sue possibilità di cambiare la realtà circostante. Se non posso (e sento di non potere) influenzare la politica tramite le elezioni, se non posso migliorare la mia condizione economica, se finanche i miei diritti non sono adeguatamente tutelati, vengono sostanzialmente a mancare le motivazioni per cui desideriamo una democrazia: la libertà e la possibilità di migliorare la realtà circostante. Tolto questo senso di libertà, non è una sorpresa che molti comincino a dubitare dell’efficacia delle nostre democrazie.

Infatti, lo studio fin qui citato evidenzia come, tra le persone insoddisfatte della democrazia, ci siano più persone disposte a sostenere un regime politico non democratico, sia esso un regime militare o tecnocratico (“le persone più insoddisfatte della democrazia tendevano anche ad essere [..] più propense a sostenere opzioni di governance come governi tecnocratici, guidati da un leader forte o dai militari”). È un’apparente contraddizione in termini: pur desiderando maggior libertà d’azione personale, chi è insoddisfatto della democrazia si dimostra aperto all’idea di avere un governo autoritario. Come spiegare questo paradosso?

Una possibile risposta può essere elaborata in questi termini: nel momento in cui un individuo capisce, o percepisce, di non poter salvaguardare i suoi diritti individuali con le proprie forze (o con quelle date dagli strumenti istituzionali a disposizione), sente il bisogno di un leader “forte” che prenda su di sé più potere a patto di garantire protezione (effettiva o solamente percepita?) all’individuo, impotente di fronte a una realtà più forte di lui. In un certo senso, è successo qualcosa di simile con la risposta all’avvento del COVID: di fronte a una minaccia di difficile comprensione come quella portata da un virus sconosciuto, in molti paesi la maggioranza dei cittadini ha accolto di buon grado misure molto restrittive di alcune delle fondamentali libertà, spesso passate seguendo un iter meno rigido di quello naturalmente regolato dall’ordinamento democratico. A prescindere dalle proprie opinioni sulle politiche di contrasto al COVID, si tratta di un esempio di come l’essere umano, in una situazione di debolezza (reale o percepita), sia più portato ad accettare l’autoritarismo.

I dati raccolti dal Pew Research Center devono quindi servire da campanello d’allarme per la nostra democrazia, che non solo sta lasciando molti cittadini insoddisfatti sul proprio funzionamento, ma che con le proprie debolezze sta alimentando tendenze autoritarie, accelerate dal senso di fragilità che tanti hanno sentito negli ultimi due anni. Nei prossimi tempi, siamo tutti chiamati a riflettere su come il sistema paese potrà favorire l’empowerment dei propri cittadini (dal punto di vista personale, sociale e imprenditoriale), per far sì che non si sentano individui indifesi alla mercé della complessità del mondo, ma agenti attivi, in grado di modellare la propria vita e la vita democratica nel proprio paese. 

È una sfida enorme, che a mio parere deve ripartire dal ridare un senso all’idea di comunità (territoriale, religiosa o associativa). Un individuo che vive in una comunità di cui è diretto protagonista si sentirà forte; un individuo isolato, in un mondo sempre più complesso, sentirà invece il bisogno di un protettore autoritario. E quest’ultima è una strada che dovremo evitare con tutti i nostri sforzi.


* Fonti

Wike, Richard, et al. “Many across the Globe Are Dissatisfied with How Democracy Is Working.” Pew Research Center's Global Attitudes Project, Pew Research Center, 23 luglio 2020

DeSilver, Drew. “Despite Global Concerns about Democracy, more than Half of Countries Are Democratic.” Pew Research Center, Pew Research Center, 30 maggio 2020 

Wike, Richard, et al. “Citizens in Advanced Economies Want Significant Changes to Their Political Systems.” Pew Research Center's Global Attitudes Project, Pew Research Center, 22 marzo 2022

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