11 luglio 2022

La democrazia sta subendo una crisi di identità, tocca alla diplomazia culturale salvarla da tale crisi

Autori: 

Leonardo Cherici, Direttore di Redazione – Mondo Internazionale APS Post

Kaitlyn Rabe, Direttrice di Ricerca – Mondo Internazionale APS G.E.O.

Con l’invenzione di Internet, si è affermato il sospetto che questa forma di comunicazione allontani gli esseri umani l’uno dall’altro. Inoltre, la nascita dei social network con i suoi messaggi virtuali, sembra sacrificare i nostri rapporti umani, trasformandoci in esseri isolati, depressi e incapaci di convivere con gli altri abitanti della terra.

In tempi più recenti, si è riflettuto su quanto questa distanza tra gli esseri umani possa influenzare il mondo anche a livello macro, al di là dei singoli individui. Con la nascita della comunicazione digitale, è aumentata la condivisione di informazioni, spesso non verificate o controllate. Questo fenomeno, etichettato in vari modi come “fake news”, “propaganda”, “disinformazione”, ha l’obiettivo di catturare l’attenzione del lettore nel tempo più breve possibile.

A beneficiarne maggiormente sono le figure più controverse, spesso, da un punto di vista politico, vicine al populismo, le cui idee si sovrappongono a quelle più complottiste e autoritarie. Le conseguenze di questo fenomeno sono ben visibili e negli ultimi anni hanno portato in posizioni di potere leader e movimenti populisti. Il culmine di questo processo è stato l’attacco di Capitol Hill del 17 gennaio 2021. In quei mesi, secondo un’inchiesta della BBC (2022) il 17% dei cittadini americani credeva alla teoria complottista di QAnon.

La domanda sorge spontanea: cos’è andato storto nel sistema democratico? Come si è arrivati al punto in cui metà della popolazione degli Stati Uniti (ma non solo) non comprendeva l’altra metà, non voleva comprenderla, aumentando il rischio di innescare una profonda crisi del sistema democratico? 

Per rispondere a questa domanda dobbiamo estendere la nostra analisi al tipo di retorica e argomentazione che vengono spesso presentate dai movimenti populisti. Ciò che li accomuna, infatti, è la caratteristica di utilizzare sempre una distinzione noi e loro che può essere estesa a tutti gli ambiti dell’azione politica. Il noi potrebbe rappresentare il gruppo di cittadini di un Paese che deve distinguersi, ad esempio, dai migranti. Il noi, però, può anche essere il popolo che deve difendersi da una élite finanziaria che danneggia gli interessi dello Stato e dei suoi abitanti. Si possono fare innumerevoli esempi, ma ciò che conta è comprendere il meccanismo retorico che sta alla base del ragionamento.

Se prestiamo attenzione, questo schema è comune a tutte le esperienze populiste sia europee sia americane. È un discorso pericoloso che mina direttamente le fondamenta delle nostre democrazie occidentali che si riconoscono nei valori nati dalle prime esperienze rivoluzionarie inglesi, francesi e americane fino a consolidarsi con la fine della Seconda guerra mondiale e la costruzione di quello che è stato definito “ordine liberale internazionale”. 

La retorica populista, però, deve poter trovare un appiglio per cattura l’attenzione delle persone e indirizzare le loro preferenze politiche. Troppo spesso si bollano coloro che sostengono questi movimenti come ignoranti, approccio discriminatorio che rischia di inasprire le tensioni invece di aprire al dialogo. Dovremmo ragionare in termini di conoscenza e consapevolezza. Comprendere le ragioni dell’altro, legittimare le sue paure e, argomentando democraticamente, sfatarle è uno degli approcci che potrebbe riportare questa estrema conflittualità politica che si sta affermando all’interno degli schemi democratici. Se da una parte alcune persone alzano dei fossati, noi dobbiamo essere così pazienti da costruire dei ponti per superarli e riconoscerci come membri di uno stesso Stato o di una stessa comunità internazionale.

È qui che entra in gioco la Diplomazia Culturale.

La democrazia, soprattutto dal punto di vista statunitense, non sta soffrendo solo di disinformazione e mancanza di conoscenza dei fatti, ma soffre anche di una mancanza della consapevolezza della propria cultura e di quella dei concittadini. Già nel 1980, in un saggio per The New Yorker chiamato “Within the Context of No-Context”, il sociologo George W.S. Trow ha ipotizzato che gli americani avessero solo due identità, due sensi di appartenenze: quello intimo, legato al nucleo familiare, e quello nazionale. Fra questi due Trow trovava una distanza molto ampia.

In sostanza, tra i cittadini americani manca un senso di appartenenza alle comunità locali, della chiesa, delle squadre di sport e di altri centri di aggregazione sociale. In questo modo viene a mancare anche la comunicazione con i sottogruppi che caratterizzano queste comunità. Non confrontandosi con i concittadini, il risultato è una mancanza di consapevolezza non solo della cultura altrui ma anche della propria cultura. Da quando questo saggio è stato scritto, i social network e la tendenza di questi network a farci vedere solo “informazioni” che confermano le nostre opinioni ed i nostri bias, ha solo aumentato la distanza tra l’individuo e le comunità che gli sono più vicine. 

La diplomazia culturale viene definita da Milton Cummings come “lo scambio di idee, informazioni, valori, sistemi, tradizioni, credenze e altri aspetti della cultura, con l'intento di promuovere la comprensione reciproca”. Si tratta di una pratica che può portare dei benefici sia in contesti internazionali sia in contesti domestici, specialmente nelle nostre democrazie occidentali dove spesso convivono fra loro culture provenienti da diverse parti del mondo. Concretamente, serve l’educazione per svolgere la diplomazia culturale in contesti quotidiani, con persone oltre al nucleo familiare, per tornare a chiederci: quali sono i miei valori? Quali sono i valori altrui e, di conseguenza, i nostri valori comuni? E infine, come possiamo applicare questi valori comuni al concetto della democrazia?

Sicuramente in ogni nazione esiste una 'cultura' definita dalle idee e dai comportamenti sociali predominanti di un certo gruppo, ma esistono anche tante diverse culture locali che variano in ogni regione, in ogni città, in ogni paese e in ogni nucleo familiare, fino ad arrivare alla dimensione più intima della persona. Assumere consapevolezza di questi aspetti è il primo passo per avviarsi verso una convivenza pacifica e dove i diversi interessi trovano espressione all’interno delle regole democratiche. Una corretta educazione scolastica è il primo passo nei confronti di questa direzione. Conoscere la storia, l’educazione civica e il funzionamento dei nostri sistemi politici è fondamentale per poter formare una classe di futuri cittadini che si riconoscono pienamente nelle idee democratiche e che siano disposte a proteggerle quando queste sono minacciate. Per definizione il contesto scolastico deve essere il più inclusivo possibile, un luogo dove le differenze e le diseguaglianze vengono comprese e risolte.

Serve, inoltre, impegnarsi ad aiutare i cittadini a distinguere la verità dalla non-verità, insegnare a valutare l’affidabilità delle fonti e a diffidare di chi propone soluzioni semplici a problemi complessi. Le società moderne, connesse grazie ad Internet e alla globalizzazione, sono molto più stratificate di quelle del passato e necessitano di un approccio educativo diverso, dove la Diplomazia Culturale può giocare un ruolo di primo piano. In questo modo possiamo aiutarci tutti insieme a superare la crisi d’identità che le nostre democrazie stanno affrontando.

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