14 luglio 2014

Mandalay, violenze confessionali: arrestate 362 persone, ma i colpevoli sono ancora liberi

AsiaNews/Agenzie | 08 luglio 2014
 
Fermate centinaia di persone, molte delle quali per violazione del coprifuoco. Altre 16 in stato di fermo per possesso abusivo di armi. Tuttavia, i responsabili dei due omicidi sono a piede libero. Il presidente birmano minaccia censure sui media se verrà compromessa la “stabilità” nazionale.
 
Yangon -- Le autorità birmane hanno arrestato almeno 362 persone, in seguito alle violenze della scorsa settimana fra buddisti e musulmani a Mandalay, seconda città del Myanmar, che hanno causato due morti, decine di feriti e l'imposizione del coprifuoco. Fonti della polizia riferiscono che la maggior parte dei fermi sono dovuti proprio alla violazione del coprifuoco, tuttora in vigore dal tramonto all'alba. Altre 16 persone sono in stato di arresto per coinvolgimento a vario titolo nei disordini divampati ai primi di luglio, oltre che per possesso illegale di armi fra cui bastoni e spade.

Le forze dell'ordine hanno avviato un'indagine per chiarire le cause degli omicidi ma, dagli ambienti investigativi, emergerebbe che "i principali sospettati [...] non risultano fra le persone finora arrestate" e restano a piede libero. La polizia e le autorità locali della città hanno voluto ringraziare quanti si sono spesi, "senza fare distinzioni di razza o religione", per "fornire assistenza" in una situazione "delicata" e carica di tensione.
 
Tuttavia, restano alcuni dubbi e domande circa il ruolo giocato da amministratori locali, funzionari di polizia e monaci buddisti nelle violenze dei giorni scorsi; fonti locali parlano di rivoltosi "ben organizzati" e provenienti "da fuori città".
 
Sulle violenze fra buddisti e musulmani è intervenuto ancora Thein Sein, che lancia avvertimenti ai media. Il capo di Stato avverte che la recente libertà di stampa "concessa" a tv e giornali potrebbe essere "limitata", se vi saranno "minacce" alla "stabilità" del Paese. Il presidente, nel mirino della critica per non aver saputo arginare le tensioni confessionali, promette "tolleranza zero" contro gli autori dei disordini; al tempo stesso, punta il dito contro media e siti internet che diffondono materiale in grado di fomentare violenze e disordini. "Se, invece di aiutare la nazione, la libertà di stampa diventa fonte di minaccia per la sicurezza - aggiunge - noi agiremo in base alle normative vigenti".
 
Il Myanmar, nazione a larga maggioranza buddista, dal 2012 è tetro di una lunga serie di violenze di natura confessionale che hanno causato sinora oltre 280 morti e almeno 140mila sfollati; la maggior parte delle vittime sono musulmani Rohingya, nello Stato occidentale di Rakhine, epicentro dello scontro, finiti nel mirino di estremisti buddisti.
 
Nel 2011 l'ex Birmania ha archiviato decenni di dittatura militare con la nascita di un governo semi-civile peraltro sostenuto dai vertici dell'esercito. Tuttavia, il processo di transizione a un modello più democratico è minato da violenze confessionali. I musulmani sono il 4% su un totale di 60 milioni di abitanti.

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