1 giugno 2010

La Serbia ammessa nella zona Shengen IL RITORNO A CASA

Cosa significa tutto questo per la Serbia e per i serbi?
La risposta a questa domanda dipende a quale Serbia e a quali serbi è stata rivolta.


di Rada Rajic Ristic

Finalmente la Serbia è nella zona Shengen e i cittadini della Serbia possono uscire dai confini di questa terra dopo diciotto lunghissimi anni, desiderosi di respirare anche l'aria al di fuori del loro paese.
Cosa significa per i cittadini della Repubblica di Serbia, ho voluto chiedere ad una scrittrice e giornalista serba, Zivoslavka Isailovic che da anni si interessa di questa problematica dolorosa e storica di un paese e di una nazione, duramente colpiti da molteplici fattori: "Il giorno di San Nikola 2009, la festa ortodossa che i serbi festeggiano in gran numero, ricorderemo anche per un volo insolito, esattamente a mezzanotte dall'aeroporto Di Surcin”, Nikola Tesla", ai passeggeri per Bruxelles dopo due decenni per la prima volta non serviva il visto d'ingresso nei paesi dell'Unione Europea. La Serbia è da quel giorno di nuovo sulla cosiddetta lista bianca Shengen.
Cosa significa tutto questo per la Serbia e per i serbi?
La risposta a questa domanda dipende a quale Serbia e a quali serbi è stata rivolta.
Tuttavia, la risposta è all'unisono sia della “semplice” Serbia che di quella che rappresenta l'èlite politica e tutte le altre e anche di quello schieramento nazionalista, come anche di quello di schieramento europeo, sarebbe il ritorno sulla lista bianca dello Shengen come il ritorno a casa. La Serbia è stata e sarà sempre parte dell'Europa, nella storia è stata un significativo fattore e il “ghetto” in cui siamo stati chiusi, a causa delle guerre, sanzioni e bombardamenti, avrebbe dovuto prima o poi finire, forse non avrebbe dovuto neanche durare così tanto e se questo sarà segnato e ricordato come una macchia della vergogna di quella stessa Europa che aveva messo la Serbia in questo ghetto, oppure della Serbia come eventuale colpevole per il burrascoso dramma balcanico, tutto ci dice che questo non si chiarirà per ancora un lungo periodo di tempo.
Il viaggio libero, senza visti, nei paesi dell'Unione Europea, oltre la possibilità concreta, per la maggior parte dei giovani, che per la prima volta esce fuori dai confini della Serbia (se riuscissero a reggere economicamente, vista la crisi economica che ha colpito la Serbia, già impoverita nella fase della transizione). Questo regime senza visti d'ingresso, significa anche un passo più vicino all'accoglimento della Serbia nella Unione Europea, però oltre tutto una vasta possibilità economica, culturale, finanziaria ed ogni altra collaborazione con i paesi dell'Europa. A questa collaborazione più forte e più ricca, in futuro potranno dare un'impronta anche i singoli individui ed i gruppi, indisturbati dai movimenti condizionati. E questo senz'altro non è da poco.

Su un piano generale quando si parla dell'integrazione euro-atlantica, il regime senza visti è qualcosa che viene dato per scontato, però non promette niente, ma neanche sulla veloce accoglienza della Serbia nell'Unione Europea, esistono delle opinioni diverse. La Serbia, quando si parla delle cose interne, è stata sempre divisa, è così anche quando si parla dell'Europa.
Quello che è certo è che ogni persona in Serbia dopo due decenni di regresso e di isolamento, senz'altro desidera il progresso ed una strada verso un futuro migliore. In questo senso la strada per l'Europa e la sua famiglia dello sviluppo e del progresso, anche per la maggior parte dei serbi, significherebbe una scelta logica, quando quella strada , almeno quando la Serbia è in questione, non fosse sbarrata e condizionata da tanti compromessi ai quali la Serbia è più o meno impreparata ad accettare. La collaborazione con il Tribunale dell'Aja, al quale la Serbia ha consegnato quasi tutto il suo vertice politico-militare dei tempi che furono, a lungo è stata la condizione per qualsiasi dialogo con il mondo. Le istituzioni serbe per anni hanno collaborato nella cattura degli accusati dell'Aja, però da Bruxelles arrivavano sempre nuove richieste. Adesso due accusati latitanti e non ancora catturati, Ratko Mladic e Goran Hadzic, semplicemente non rappresentano più una condizione alcuna, però la questione è: fino a quando?
Durante il periodo della consegna dei propri cittadini da parte della Serbia al Tribunale dell'Aja, è successo il caso Kosovo - sotto il protettorato e la benedizione di alcune grandi potenze mondiali, è stata strappata una parte di Serbia, si è autoproclamata e da quegli stati riconosciuta come stato autonomo. La Serbia ancora oggi, e non solo il suo popolo, ma anche l'intero governo non rinunciano al Kosovo e non vorranno mai riconoscere quell'indipendenza vergognosa, senza tenere conto dell'atteggiamento delle grandi potenze, riguardo a queste questioni e senza prendere in considerazione quale influenza potrebbe avere sul futuro cammino della Serbia verso l'Europa. Però, ultimamente, la questione del riconoscimento del Kosovo come stato indipendente, da parte della Serbia, come condizione per il dialogo con la Serbia - nessuno lo pone più ed è questo che confonde e sorprende. Si direbbe che le sofferenze della Serbia, quando si tratta di ricatti e condizioni, siano finite e che la strada per l'Europa sia largamente aperta.
Tuttavia chi sa se è così? E chi sa se l'Europa è l'unica scelta della Serbia?
Geo-strategicamente e politicamente , la Serbia è parte dell'Europa, ad essa più vicina e la questione di scelta non si dovrebbe porre nemmeno. Però quello che fa della Serbia uno stato specifico, anche nella storia ed anche oggi, è proprio quella sua posizione che è sempre stata tra l'Oriente e l'Occidente( in tutti i loro significati evolutivi) e ciò in tutti i segmenti: politici, etnici e culturali. Per questo sono anche i sentimenti dei serbi verso le scelte europee ambivalenti. I cronisti più precisi hanno già diviso la nazione serba in base a questo in “euro-scettici” ed “euro-ottimisti”. Addirittura si parla di referendum sull'ingresso nell'Unione Europea, anche se nessuno ha mandato un invito alla Serbia...
Contemporaneamente con la collaborazione con l'Europa in ogni questione e condizione possibile che ci è stata imposta, il Governo serbo non rinuncia alla collaborazione con la parte non europea del mondo. La collaborazione con la Russia si fortifica (anche se molti chiamano questo una specie di corteggiamento da parte del Governo serbo) ed i contatti con il cosiddetto terzo mondo sono uguali ai contatti con l'Europa. Forse con questo la Serbia desidera dimostrare all'Europa che andare verso di essa è una scelta logica, però non deve per niente essere l'unica scelta: chi lo sa?
Nella realtà, la transizione e la privatizzazione ha fatto si che in Serbia ci siano proprietari, ma anche capitale sia europeo che non europeo.”


Rada Rajic Ristic è nata in Serbia nel 1964 e si è laureata in letteratura jugoslava e lingua serbocroata presso l'Università di Belgrado. Lavora come traduttrice letteraria e mediatrice culturale.

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