1 giugno 2010

Dodici anni e mezzo di segregazione

Il 5 novembre del 2009 un giapponese di circa quaranta anni uscì da una casa in Tokyo e gli parve di essere finito in un mondo che non era quello che conosceva: le auto erano completamente diverse da come le ricordava, la gente vestiva abiti mai visti prima… dopo qualche minuto di disorientamento cominciò a camminare faticosamente verso un indirizzo che sapeva di dover raggiungere. Nel suo cammino osservava la gente, e vedeva che anche alcuni dei loro comportamenti gli erano incomprensibili. La cosa che più lo colpì fu il vedere che molti prendevano dalla tasca un oggetto piccolo e piatto, premevano dei tasti sulla sua faccia superiore e poi lo riponevano dove l’avevano preso: non riusciva a capire che oggetto fosse. Tante cose in effetti erano cambiate negli oltre dodici anni in cui era rimasto lontano dal mondo.
Quello era infatti il primo giorno di libertà di Toru Goto, il primo giorno dopo dodici anni e cinque mesi di vera e propria prigionia. All’età di trentuno anni era stato rapito da suo padre e dai suoi fratelli, che non accettavano la sua fede unificazionista. Per tutto quel tempo era stato costretto a subire lunghe ore di indottrinamento da parte di varie persone, che ridicolizzavano il Movimento dell'Unificazione, il suo fondatore, le sue tradizioni.
Era divenuto una delle migliaia di persone che negli ultimi decenni sono state rapite in Giappone e sottoposte ad indottrinamento forzato, per costringerle ad abiurare alla propria fede. Queste persone sono unificazionisti o membri di altri movimenti religiosi non socialmente accettati. Per quanto riguarda il Movimento dell’Unificazione, sette persone su dieci di quelle che subiscono la deprogrammazione abbandonano la loro fede. Questo a seguito della terribile pressione fisica e psicologica alla quale sono sottoposte.
Goto ad esempio, appena rapito era stato portato in una casa di proprietà della sua famiglia in Tokyo dove veniva costretto ad ascoltare, giorno dopo giorno senza interruzione, per quattro o cinque ore di seguito, la lettura di documenti contraffatti che avevano lo scopo di dimostrare la falsità della fede unificazionista e delle motivazioni spirituali del suo fondatore. Questo trattamento gli veniva praticato da gruppi di persone, che a volte raggiungeva addirittura il numero di dieci: i suoi fratelli, alcuni deprogrammatori professionisti e numerosi ex membri della sua fede. Resistere a questa pressione era estremamente difficile; nel periodo più duro la sera, prima di addormentarsi, arrivò a pregare Dio di farlo morire perché sentiva di essere al limite della sopportazione.
Ad un certo punto decise di iniziare, per protesta contro il trattamento che subiva, un digiuno di trenta giorni. Questo suo gesto non intenerì il cuore dei suoi carcerieri, né portò ad una diminuzione delle pressioni. Alla fine di quel periodo informò i suoi fratelli che avrebbe ricominciato a mangiare, ma gli fu concesso solo di bere dell'acqua in cui il riso era stato messo in ammollo e degli integratori liquidi. Questo per settanta giorni; in quel periodo, a volte riusciva ad entrare in cucina non visto e cercava qualcosa da mangiare ma trovava solo riso crudo e qualche condimento. Questa fu la sua dieta per molto tempo. Poi gli fu concesso un po' di riso cotto e qualche vegetale. In ogni caso, alla sua fuga pesava appena 39 chili: ben poco, a fronte di un'altezza di 1 metro e 82 centimetri.
Trovava la forza per resistere nella preghiera e, paradossalmente, negli scritti cristiani che gli lasciavano nella stanza per dimostrare la falsità della sua fede. In effetti i suoi fratelli, alcuni dei quali sono cristiani, pregavano e leggevano la Bibbia di fronte a lui perché si convertisse. Tra l'altro uno dei deprogrammatori era un pastore protestante. Per mantenere la fede Goto si concentrava spesso su una frase del Rev. Moon sulla persecuzione: “Chi segue la via del Cielo deve aspettarsi la persecuzione. Nel momento in cui subite grandi persecuzioni, dovete sapere che vi aspetta un periodo di grande sviluppo. La strategia del Cielo è vincere attraverso la persecuzione”.
Nella preghiera prometteva la propria dedizione incondizionata a Dio e ne sentiva la vicinanza.
All’inizio della sua prigionia veniva trattato abbastanza bene; Gesù afferma: "Amate i vostri nemici", e questo facevano i suoi fratelli cristiani. Dal momento però che non cedeva le buone maniere vennero meno, ed i fratelli cominciarono ad accusarlo: “Stai rovinando le nostre vite!”. In effetti non potevano lasciarlo solo in casa; era necessaria la presenza costante di qualcuno; situazione che rendeva prigionieri anche i suoi carcerieri.
Cominciarono anche a picchiarlo, ad insultarlo; l’amore per il nemico si era trasformato in odio, fino a giungere alle situazioni che ho descritto all'inizio. Possiamo immaginare in effetti il livello di disperazione al quale i suoi famigliari erano giunti: il piano prevedeva alcune settimane di “rieducazione” dall’esito praticamente certo, ma i mesi, gli anni, passavano senza che Goto cedesse. L’espressione di serenità che quest’ultimo si imponeva contribuiva ad esasperare i suoi carcerieri. Ricordando le parole sulla persecuzione, Goto sapeva che, se avesse accettato le sue sofferenze di buon grado, alla fine sarebbe stato lui il vincitore. La pazienza dei suoi carcerieri diminuiva con il tempo. Un giorno uno dei fratelli che lo sorvegliavano a turno, non potendone più di quella situazione di limitazione della propria libertà, e di fronte alla serenità di Goto, perse completamente il lume della ragione, lo afferrò e lo gettò letteralmente fuori casa.
Una volta libero, con i pochi abiti che indossava, scese in strada e poco dopo vide un poliziotto, al quale chiese di indicargli la strada per la sede della Chiesa di Unificazione (Goto si era diretto verso la sede che conosceva ma che nel frattempo era stata trasferita). Il poliziotto però non gli fu di nessuna utilità, e non si pose nessuna domanda vedendolo in quello stato. Proseguì, e chiese indicazioni ad una ragazza. Per un caso fortunato questa era un membro della Chiesa di Unificazione, e fu in grado di aiutarlo. Si concludeva così una vicenda terribile, che ha però il merito di aver portato di nuovo in evidenza in tutto il mondo il problema della "deprogrammazione".
Sono in corso ora azioni di pressione sul Giappone perché ponga fine a questi numerosissimi episodi di rapimento. Non appena libero Goto, con il supporto della sua Chiesa, ha presentato querela nei confronti del pastore cristiano che lo ha sottoposto alla deprogrammazione, Toridechi Matsunaga, e contro il deprogrammatore professionista Shun Miyamura.
Nel dicembre del 2009 la magistratura giapponese ha respinto la richiesta di incriminazione di queste persone per “insufficienza di prove”: questa è la motivazione con la quale viene in genere respinta la richiesta di intervento da parte delle vittime; un'altra motivazione è che questi rapimenti sono un "affare di famiglia" in cui la giustizia non può intervenire; e ciò nonostante i rapiti siano tutti maggiorenni.
Questa decisione è quindi solo la prova dell'assenza di volontà da parte del governo giapponese di affrontare un grave problema che riguarda tutte le minoranze religiose ed i diritti umani in generale. Siamo certi comunque che la mobilitazione mondiale su questo caso farà sì che il governo di Tokyo prenda seriamente in esame questa tragedia.

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