1 novembre 2007

Non solo Birmania

di Giorgio Gasperoni

Sono in molti a chiedere che a livello internazionale gli scambi commerciali o culturali e i dialoghi politici avvengano in armonia e collaborazione, in accordo al principio della pari dignità tra stati e soprattutto tra persone, e che l’ONU diventi l’organo di mediazione sovrano. Però, se consideriamo i fatti recenti che accadono nell’ex-Birmania, vediamo che la realtà delle nazioni Unite è molto diversa. Per spiegarmi meglio riporto qui di seguito due riflessioni, prese tra le tante pubblicate sulla faccenda birmana.
Il primo è ripreso dal sito web “Libmagazine.eu” dove è messa enfasi sulla contraddizione in cui ci troviamo al momento attuale: “... probabilmente è ancora presto per trarre conclusioni definitive, ma il prevedibile fallimento della comunità internazionale nella gestione del caso birmano manda un segnale sinistro ad ogni popolo che rivendichi la propria libertà e dignità attraverso la nonviolenza. Si chiede Vaclav Havel, che qualcosa ne sa: “Ogni giorno, nel corso di dibattiti e conferenze a livello mondiale, ascoltiamo dotte discussioni sui diritti umani ed sentiti proclami per la loro protezione. Allora com’è possibile che la comunità
internazionale sia incapace di una risposta efficace per dissuadere il governo militare
birmano dall’uso della forza dispiegato a Rangoon e contro i templi buddisti?”.
Urge risposta a Havel ma soprattutto a tanti piccoli grandi uomini capaci di non
confondere la mitezza interiore con la rinuncia a lottare per il diritto ad essere persone”.
Il secondo contributo viene da Luca Meneghel su “L’Occidentale - orientamento quotidiano” in cui sono riportate le varie posizioni delle grandi potenze sulla situazione birmana: “…Sul fronte diplomatico, oggi, alla presenza dell’inviato Gambari, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunisce per discutere della questione birmana: al centro del dibattito, come sempre, le misure da intraprendere contro il regime. L’Europa starebbe valutando l’ipotesi di un inasprimento delle sanzioni: ogni decisione in questo senso verrà presa nella riunione del 15 ottobre prossimo. L’iniziativa europea giunge in seguito all’impossibilità di azioni condivise a livello internazionale: l’ambasciatore cinese all’ONU Wan Guangya, infatti, ha esplicitamente dichiarato ai giornalisti che “ci sono problemi in Myanmar, ma questi problemi sono ancora, noi crediamo, fondamentalmente interni. Una soluzione imposta a livello internazionale non può essere d'aiuto alla situazione... vogliamo che sia il governo (di Myanmar) a gestire questa vicenda”. Tra gli ostruzionisti, anche Russia e India. Il filosofo francese Bernard Henry-Lèvi, a proposito della mancata collaborazione della Cina, ha sottolineato a gran voce “quanto sia difficile concepire che le Olimpiadi abbiano luogo nella capitale di un Paese che incoraggia un regime il cui sport nazionale sembra sia diventato quello di prendere al lazo, picchiare, deportare, torturare, e alla fine assassinare uomini che hanno, come unica arma, una ciotola di lacca nera rovesciata”.
L’Unione Europea non esclude inoltre l’invio di un proprio rappresentante in Birmania: lo hanno ribadito ieri Javier Solana e il premier francese François Fillon. “Domani Gambari farà il suo rapporto all'ONU. A partire da quel momento, prenderemo decisioni, forse invieremo qualcuno”, ha detto Solana. Dietro all’iniziativa, la volontà di Nicolas Sarkozy: il “superpresidente” francese non riesce proprio a stare con le mani in mano, e insieme al ministro degli Esteri Bernard Kouchner è in prima linea nella lotta a favore di sanzioni dure contro Than Shwe e la sua giunta.
La storia si ripete, chi protegge l’establishment in Myanmar parla di problemi interni al paese, chi vuole intervenire, giustamente, fa riferimento al rispetto della Carta dei Diritti Umani, documento accettato e firmato da quasi tutti i paesi del mondo. Ma … morale della favola, la storia si ripete e gli errori storici si ripetono, perché se non si crea una vera unità d’intenti tra i maggiori paesi della comunità internazionale il popolo birmano ha una sola prospettiva continuare a soffrire nella repressione fintantoché il regime non collasserà. Quanti popoli hanno vissuto questa tragedia? Quanti ancora dovranno viverla?
Per ricordare, per non dimenticare, Voci di Pace pubblica l’intervento di Carlo Alberto Tabacchi sull’Armenia. Il popolo armeno ha subito un genocidio spietato, prima di quello ebraico e anche a causa del popolo ebraico: La Comunità internazionale allora non è intervenuta e, da errore si è generato errore, pochi anni dopo c’è stato lo sterminio ebraico. Ai giorni nostri la situazione in cui è inserita l’Armenia è molto complessa. Tabacchi ci fa notare come “…il Caucaso resta complesso ed instabile: babele di lingue, mosaico etnico, differenze religiose, accesi nazionalismi, rivendicazioni territoriali.
In conclusione questa area diventerà una regione sempre più rilevante per la presenza di medie potenze (Turchia ed Iran), risorse energetiche e passaggio di strategiche pipe-lines (oleodotti e gasdotti) tra Asia ed Europa ed il conseguente forte interesse di USA e Russia”.
Voci di Pace, grazie all’intervento del Professor Lombardi ci riporta in un’altra regione dai conflitti dimenticati. Lombardi scrive che: “…il disastro del Kashmir evidenzia l’imbelle incapacità delle Nazioni Unite a proporsi come una seria associazione di nazioni capace di dire la sua nel mondo globale; mostra le spinte economiche e commerciali che guidano la politica degli imperi; richiama ciascuno di noi all’impegno che insieme, forti di una consapevolezza individualmente assunta, dobbiamo produrre per promuovere la pace nei valori che condividiamo”.
Le Nazioni Unite invece di portare soluzioni ai problemi e ai conflitti nel mondo, sono fonte di problemi perché c’è conflittualità all’interno dell’ONU e, soprattutto, del suo Consiglio di Sicurezza. L’UPF riconosce all’ONU il suo importante contributo alla pace. Nondimeno, all’incirca, verso il 60° anniversario delle Nazioni Unite, nel 2005, c’era un largo consenso, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione, sul fatto che essa deve ancora scoprire la strada per realizzare gli scopi per la quale era stata fondata. Il numero degli stati membri sono circa 200, ma i loro uffici fanno poco o niente se non difendere i propri interessi. Sembrano incapaci di risolvere i conflitti e raggiungere la pace.
Per questo motivo, in particolare, voglio concludere il mio editoriale con il riconoscimento che Thomas Matron fa dell’azione di Gandhi: “la politica è fondata interamente su una religiosa interpretazione della realtà della vita e della condizione dell'uomo nel mondo”.

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