1 novembre 2007

Mario Furlan e i suoi CITY ANGELS

Operano per la solidarietà e la Sicurezza

Mario Furlan ha fondato nel 1995 l'associazione di volontariato dei City Angels. Basco blu e giubba rossa, operano come volontari di strada d'emergenza. Distribuiscono cibo e vestiti ai senzatetto, soccorrono gli emarginati, i tossicomani, gli etilisti. Dai City Angels è nata la cooperativa Angel Service, che procura lavoro a chi avrebbe molta difficoltà a trovarlo.
Nati a Milano, gli Angels sono operativi anche a Roma, a Torino e in Albania, a Tirana, dove si occupano soprattutto di assistenza ai bambini di strada. Svolgono anche una funzione di deterrenza della criminalità: addestrati alle arti marziali, scortano anziani che ritirano la pensione, donne sole e chiunque, attraversando una zona malfamata, possa aver bisogno di un Angelo. E intervengono direttamente in caso di scippo, borseggio, rissa o aggressione, chiamando la Polizia.
L'età media dei City Angels è dai 18 ai 40 anni. Sono per due terzi uomini e un terzo donne. E appartengono a 13 nazionalità: ci sono Angels marocchini, rumeni, albanesi, peruviani, avoriani, nigeriani, filippini, russi, ucraini, moldavi, macedoni, polacchi, egiziani, tunisini: razze, etnie e religioni diverse unite da un unico scopo: essere volontari in prima linea al servizio dei più deboli.

Chi sono e come operano gli “Angels” nelle zone più a rischio
delle città dove operano

Intervista di Alberto Zoffili

D: Quali sono le domande alle quali i giovani non trovano risposte?
R: Sono le domande di base, quelle esistenziali che gli uomini si sono sempre posti.
Cosa voglio veramente nella mia vita? Cosa mi rende felice, che cosa mi da soddisfazione? Per che cosa vale la pena vivere?
In genere gli uomini cercano di rispondere a queste domande o con una fede religiosa, o con una specie di religione laica nell’uomo o in se stessi. Tanti giovani d’oggi non hanno nè una fede religiosa nè una forte convinzione interiore e morale per cui sono allo sbando e non riescono a dare una risposta a queste domande.

D: In un mondo di giovani sempre più spinti verso il proprio interesse e tornaconto, quali sono le leve sulle quali riesci a lavorare come formatore per tirar fuori il meglio che è in loro?
R: Cerco di aiutarli a guardasi dentro, perché i giovani vanno avanti per forza d’inerzia. Quasi non si rendono conto di quello che fanno: fanno certe cose perché gli amici fanno così, perché è normale fare così, perché c’é una pressione sociale a fare così. Quindi cerco di aiutarli a fermarsi e a riflettere chidendosi: “quello che sto facendo è veramente quello che voglio fare” oppure “mi aiuta veramente a raggiungere quello che voglio nella mia vita?”
“Adesso sono qui, ma tra 1 anno, 2 anni, 5 anni, dove vorrò essere? Con chi vorrò essere? Cosa vorrò fare?” Insomma, cerci di aiutarli principalmente a riflettere e a guardarsi dentro.

D: Secondo te c’è ancora un desiderio o una predisposizione da parte dei giovani a guardarsi dentro per quanto difficile ciò possa essere?
R: E’ una spinta presente in tutti i giovani, molti non ascoltno questa esigenza che viene dal cuore, fanno finta di niente e vanno avanti come se nulla fosse, ma sono domande che fanno parte di tutti gli esseri umani e in particolar modo dei giovani. Sono i giovani quelli che hanno la vita davanti e che quindi più degli adulti e più degli anziani si pongono la domanda: “Dove sto andando? Ho la vita davanti e cosa ne voglio fare di questa vita?”

D: La nostra società ci prospetta vari modelli di famiglia, quale tipo di appeal ha ancora la famiglia nei confronti dei giovani e soprattutto che tipo di ruolo può rivestire la famiglia per le nuove generazioni?
R: La famiglia è la base della società e al di là di quello che può sembrare, la famiglia ha ancora un fortissimo appeal per i giovani checché se ne dica, perché c’è bisogno di una stabilità familiare, sentimentale. C’è bisogno di costruire qualcosa di vero e di duraturo nel tempo con la persona amata. La famiglia è un’istituzione che non tramonterà mai, può cambiare in alcuni suoi aspetti, cambiare negli anni, però la famiglia come base della società non morirà mai, ci sarà sempre e questa è un’esigenza che rimane viva anche nei giovani persino in quelli che non sembra pensino a un futuro familiare, a farsi una famiglia, poi il fatto che si sposino o non si sposino, questo è secondario. Il fatto che stiano con una persona con la quale vivere e avere dei figli, questa è una cosa che prima o poi tutti sentono.
Quali reali cambiamenti sono avvenuti tra i giovani di oggi e quelli della tua generazione?
Dipende a quale tempo si guarda; negli anni sessanta e settanta i giovani erano politicizzati e ribelli, invece negli anni ottanta e novanta i giovani erano idealisti e pensavano al guadagno e famiglia, mentre i giovani d’oggi mi sembrano spaesati, chiusi in se stessi e insicuri. Non sanno cosa vogliono o dove vogliono andare, sentono che vengono meno i punti di riferimento. Però c’è d’altra parte la riscoperta dei valori forti da parte dei giovani, l’incremento dell’interesse religioso fra i giovani in Italia che tocca molte religioni, non solo il cattolicesimo ma anche il protestantesimo ad esempio e anche l’Islam. Certo, anche nei loro aspetti negativi, per esempio l’Islam fondamentalista ha anche molto appiglio sui giovani, sopratutto in occidente. I fondamentalisti islamici in Europa sono ragazzi dai venti ai trent’anni, non i cinquantenni o sessantenni e questo ci dimostra quanto sia importante la presenza di punti di riferimento chiari e precisi.

D: Ritieni che essere giovani oggi sia più difficile rispetto a qualche generazione fa?
R: Tutto sommato direi di sì, perché oggi c’è tanta insicurezza economica. Fino a qualche tempo fa era facile per un giovane trovare lavoro, mentre adesso anche per un giovane laureato che ha fatto tre master è molto difficile trovare un lavoro. Questo evidenzia quanto dicevo poco fa in merito alla mancanza di punti di riferimento sicuri anche nella famiglia e tutto ciò mina il senso di sicurezza dei giovani. Come fa un ragazzo a progettare un futuro sicuro se non ha lavoro stabile?

D: Com’è nata l’idea dei City Angels? Che strada hai percorso per realizzarla?
R: L’idea è nata perché a un certo punto della mia vita lavoravo a tempo pieno come giornalista alla Mondadori, e non ero contento della vita che facevo, non volevo più raccontare delle cose che succedevano nel mondo ma piuttosto volevo migliorarle. E così ho fondato i City Angels, anche sulla spinta di un momento di crisi personale, un momento di incoscienza che poi alla luce dei fatti, col senno di poi, si è rivelata provvidenziale.

D: Quando ti muovi con il tuo gruppo dei City Angels come affronti il “branco”, le situazioni di tensione? Che ruolo svolgi e che tattiche usate per farvi ascoltare, per intavolare un discorso con queste persone?
R: Queste persone le conosciamo e riusciamo a instaurare un rapporto con loro quando riusciamo a far capire che non siamo lì per punirle ma per aiutarle. In genere se tu lo fai con l’attitudine giusta, dopo un attimo di perplessità iniziale, queste persone capiscono.


D: Dove siete localizzati? Dove operate?
R: Siamo a Milano, Torino, Roma e Varese e operiamo nei punti più a rischio delle città, dove c’è bisogno della presenza di “angeli”. Quindi operiamo generalmente nelle zone delle stazioni, che sono quelle tipicamente più brutte. A Milano nella zona della Stazione Centrale, a Torino generalmente nella zona di San Salvario che è un quartiere multi-etnico con parecchie difficoltà. A Roma siamo nella zona della Stazione Tiburtina e a Varese che comunque è più tranquilla rispetto alle altre città operiamo per esempio nella zona della Stazione Nord che è magari quella più agitata. Andiamo sia nelle zone più a rischio di borseggi che in zone dove ci sono i senzatetto, i poveri, o i balordi. Ovunque ci siano persone da proteggere e persone da aiutare.

D: Il vostro intervento è solo in direzione di attenuare i disagi oppure operate anche preventivamente affinché non accadano?
R: E’ sopratutto preventivo. I nostri ragazzi girano in divisa in modo che siamo visibili e le persone, sopratutto donne, chiedono di essere accompagnate da noi perché hanno paura di andare a casa o di andare in giro da sole sulle strade nelle ore notturne. Segnaliamo situazioni particolari alla polizia e interveniamo nei casi in cui sappiamo che è nel nostro potere, garantendo l’incolumità dei nostri volontari che per noi è la cosa più importante.

D: Con il tuo messaggio riesci anche a raggiungere i ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori?
R: I City Angels sono ragazzi dai 18 anni in su, quindi, sì Agiamo in alcune delle scuole superiori.
Ci sono anche i City Angels Juniores, che ovviamente fanno attività diverse, non quelle per strada. Sono i ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori: fanno attività di compagnia agli anziani nelle case di riposo.

D: Come ti vedono questi ragazzi e quali sono le domande più ricorrenti che ti pongono?
R: A volte mi vedono come un personaggio dei fumetti. Magari i City Angels fanno pensare ai Charlie’s Angels, quindi forse come una specie di super-eroi. Chiedono com’è la nostra attività e sono curiosi di sapere com’è la situazione in strada, magari la violenza. All’inizio hanno le idee un po’ confuse perché hanno una visione un pò cinematografica e poi invece quando conoscono la situazione dell’emarginazione e della violenza per strada sono un pò più sull’attenti ed è un modo per sensibilizzarli e aiutarli a forgiare il loro senso civico insegnando loro che è nostro dovere di esseri umani essere solidali con chi ha bisogno.

D: Secondo te è colmabile il gap generazionale?
R: Credo che sia più risolvibile oggi di quanto non fosse fino a qualche tempo fa. Negli anni della contestazione cioè gli anni sessanta e settanta c’era un gap gernerazionale enorme fra i giovani e quelli che venivano considerati i “matusa”. Addirittura un motto del tempo diceva di non fidarsi di nessuno che avesse più di trent’anni, perché era di un’altra generazione, un’altra mentalità. C’era la contestazione verso la famiglia, le istituzioni, e le regole dei vecchi. Oggi non vedo questa stessa contestazione, anzi mi sembra che i giovani abbiano generalmente buoni rapporti con la loro famiglia di origine anche perché stentano ad andarsene di casa. Magari c’è incomprensione, quello sì, ma contestazione no.

D: Come giornalista, quale ruolo positivo dovrebbero svolgere i Mass-Media, secondo te?
R: Penso che i mass media dovrebbero dedicarsi di meno allo “scoop”, meno alla notizia eclatante, gonfiata che ha scarsa aderenza alla realtà. Dovrebbero usare più notizie verificate e vere. Sono putroppo al serivizio di un “padrone” e soprattutto nell’occidente è un fatto vero e presente, i giornali, televisione, mezzi di informazione partono con un preconcetto: devono assolutamente dimostrare una tesi. Certi giornali e televisioni schierati non parleranno mai male di un certo personaggio ect...

D: I mass media potrebbero avere anche una funzione formativa?
R: Io penso di sì. Penso che potrebbero svolgere la funzione formativa ma senza rivestire il ruolo di educatori nel senso stretto della parola ma semplicemente mettendo in risalto quelle cose che non vanno, ma anche quelle che vanno, le persone che si impegnano, notizie positive e notizie che danno speranza, non soltanto i pugni nello stomaco. Notizie educative, messaggi di speranza ect... perché non proporre con più attenzione anche questi?

D: Come genitore, come te lo immagini il mondo nel quale vivranno i tuoi figli? E soprattutto quale contributo pensi sia necessario che ognuno di noi dia per far sì che questo mondo migliori?
R: Io penso che si tratta di guardare oltre il proprio naso. Il mondo sta andando probabilmente verso la catastrofe ecologica perché gli uomini non sanno guardare al di là del proprio naso. Probabilmente l’emergenza più grande dei prossimi anni sarà quella ambientale. Però alla base c’è un’emergenza più grande, quella della sensibilità degli uomini. Perché l’emergenza ambientale potrà essere risolta se prima gli uomini capiranno che l’ambiente e la terra sono cose che ci riguardono tutti. Quindi c’è l’esigenza di avere un’apertura di mente e di cuore e di andare al di là del proprio particolare. Questo vale non solo per l’ambiente ma per tutti gli aspetti che riguardono la civile convivenza.

D: Quali sono i tuoi progetti futuri?
R: Nel mio piccolo, vorrei riuscire a lasciare una traccia positiva che resterà anche quando non ci sarò piu’. Quindi queste tracce positive sono, da una parte le mie figlie e mi auguro di poter essere un buon esempio per loro, e dall’altra parte una specie di figlio: i City Angels che mi auguro si possano espandere in Italia e all’estero e che con gli anni possano diventare un grande simbolo di solidarietà e di speranza.

D: Quindi avete anche l’intenzione di espandervi all’estero?
R: Sì, siamo già in Albania, Tirana e spero che anche attravero la UPF sarà possibile collaborare al livello internazionale.

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