22 marzo 2021

LA PANDEMIA CI FORZA NEL RIDEFINIRE ALCUNI CONCETTI PSICOLOGICI

di Massimo Agnoletti*

Il nome coronavirus si riferisce al caratteristico aspetto, visibile naturalmente solo attraverso un microscopio, delle numerose strutture proteiche sulla superficie del virus che ricordano la forma appunto di una corona.

Le proteine di questa corona si legano solo a particolari strutture biologiche delle cellule dell’organismo umano determinandone l’infettività. 

Letteralmente, e paradossalmente, potremmo dire che maggiore sarà la nostra capacità come specie umana di agire collettivamente fortificando i nostri legami psicosociali al di là della nostra vicinanza fisica, minore sarà la possibilità del Covid ed altri coronavirus di intensificare i legami biologici con il nostro organismo.

La parola chiave ricorrente sia per il virus che per noi umani è “legami” intesa come relazione che possiamo stabilire nei confronti di ciò che consideriamo “altro” rispetto il proprio Sé.  

L’attuale emergenza è almeno in parte inedita per la combinazione di tre fattori principali:

• si tratta di un agente biologico non percepibile ai nostri sensi (se non attraverso specifici strumenti tecnologici) che ha la capacità di coinvolgere velocemente milioni di persone globalmente;

• drammaticamente abbiamo imparato che il comportamento e le regole adottate da individui e nazioni, anche diverse dalla propria, possono influenzare direttamente aspetti relativi la propria salute (anche in termini di sopravvivenza), oltre che la nostra qualità di vita;

• diversamente da tutte le altre situazioni emergenziali (terremoti, tsunami, incendi ecc.) dove la cooperazione sociale fisica è una risorsa imprescindibile, l’unica strategia ad oggi riconosciuta efficace (anche in presenza dei vaccini finora sviluppati) richiede un distanziamento sociale fisico o comunque una forte limitazione delle interazioni sociali fisiche rispetto a prima della diffusione del Covid.

Il particolare momento storico che stiamo vivendo, ci porta ad affrontare un tipo di stress psicosociale nuovo perché, se è vero che anche prima della diffusione del Covid era già presente ad esempio una diffusa incertezza economico finanziaria, la recente pandemia ha drasticamente accelerato la nostra difficoltà nel prevedere il futuro delle nostre vite e quelle dei nostri cari incluso l’aspetto sociale ed economico.

L’emergenza sanitaria iniziata ufficialmente nel Febbraio dell’anno scorso si trasformerà nel tempo sempre più in un prolungato periodo semi-emergenziale connotato maggiormente da un notevole impatto sia psicosociale che economico che modificherà drasticamente gli standard ai quali eravamo abituati in epoca pre-Covid.

Questo nuovo scenario è inedito per la combinazione di fattori sia squisitamente biologici che strettamente psicosociali ma sono convinto che, con il passare del tempo, assisteremo, anche grazie all’effetto della vaccinazione di massa, ad un periodo dove le conseguenze psicologiche saranno sempre più significative rispetto quelle biologiche influenzando grandemente i comportamenti, il benessere e l’economia globale.

Da una parte infatti, sappiamo ormai che la causa di questa pandemia è un virus con la capacità di infettare velocemente nel giro di pochi giorni centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, dall’altra siamo sempre più consapevoli che il comportamento di altri individui e le politiche adottate da intere comunità e nazioni, possono determinare la nostra salute individuale. 

Questa dinamica ha fatto emergere quasi forzatamente la consapevolezza della nostra vulnerabilità (sia biologica che psicologica) soprattutto nel contesto di un mondo iperconnesso commercialmente e informazionalmente (si veda in merito ad esempio l’impatto dei social media nella gestione della pandemia stessa) ma che non presenta una altrettanto estesa ed omogenea cultura in termini valori e politiche condivise.

La consapevolezza di essere tutti all’interno di uno scenario molto complesso e interconnesso, da una parte ci ha indotto un senso di fragilità e vulnerabilità derivante l’evidente mancanza di controllo che abbiamo, e stiamo percependo, rispetto la possibilità di essere contagiati (soprattutto nella fase iniziale della pandemia), dall’altra ci ha spinti a comprendere la necessità di agire collettivamente in maniera orchestrata per ridurre il rischio del contagio stesso e fronteggiare il virus su scala globale.  

L’attuale visione ottimistica attribuita alla diffusione dei vaccini ha un senso molto forte anche dal punto di vista psicologico perché intercetta il bisogno di ciascuno di noi di affrontare insieme un problema globale come il Covid-19 condividendone sia paure che speranze.

Il comportamento psicosociale adottato da intere nazioni durante la pandemia da Covid-19 ci testimonia infatti che da un lato il meccanismo di difesa fisiologico attuato nella prima fase di allarme nei confronti del Coronavirus è di chiusura nei confronti di ciò è “fuori” dai “nostri” confini (per guadagnare maggiore controllo della situazione), dall’altro ci siamo resi conto sempre più che la nostra salute a medio e lungo termine dipende dalla capacità globale di condividere collettivamente comportamenti e strumenti (si veda lo sviluppo in tempi record dei vaccini) con il resto delle persone che popolano questo pianeta.

In altri termini questo significa che con il tempo si sono spostati i confini delle nostre categorie psicosociali riferite al nostro “Sé” o al “noi” inglobando ed includendo almeno in parte ciò che ieri consideravamo “altro”.   

A questo riguardo, ad esempio, solo se sono convinto che indossare correttamente la cosiddetta mascherina possa essere prezioso ed utile anche e soprattutto verso ciò che considero “altro” rispetto me stesso, mi permetterà di adottare questa strategia con efficacia.

Diversamente, vincerà la mia egoistica convinzione derivante dalla falsa percezione che, sentendomi in salute ed in una situazione psicofisica ben lontana dai sintomi da Covid-19, posso anche fare a meno di portare correttamente la mascherina. 

La scarsa considerazione dell’ “altro”, non entrando qui a pieno titolo del processo decisionale della persona, conduce a comportamenti tanto comodi nel breve termine quanto pericolosi per la collettività (in ultima analisi anche per chi adotta queste pratiche scorrette) nel medio e lungo termine.

Abbiamo visto come questa tipologia di emergenza sanitaria sia particolare nel senso che, diversamente da altre emergenze, richiede una fase significativa dove instauriamo una sorta di drastica riduzione delle interazioni sociali fisiche per limitare il potere di diffusione del virus.

Rimanere lontani fisicamente gli uni dagli altri è una vera e propria sfida per noi umani che invece abbiamo tra i bisogni fondamentali naturali (al pari di altri bisogni fondamentali quali mangiare, muoversi, dormire, etc.) anche quello di coltivare attivamente la propria rete sociale e percepire l’appartenenza ad una comunità che condivide esperienze, abitudini e tradizioni.

Oltre alla limitazione di libertà percepita e l’elevata incertezza del futuro che ci aspetta, il distanziamento sociale è quindi uno dei fattori che determinano più fortemente la nostra qualità di vita quotidiana e la nostra salute nel lungo termine per questo è fondamentale preservare, celebrare ed essere grati anche delle poche ma significative interazioni fisiche delle quali possiamo ancora godere così come è altrettanto importante riuscire a coltivare relazioni sociali significative a distanza.

Va da sé che la tecnologia comunicativa risulta essere protagonista di questa seconda categoria di relazioni sociali basate anche in assenza di vicinanza spaziale/fisica e probabilmente stiamo sottostimando l’importanza del suo ruolo anche positivo nella gestione della pandemia.

Mi chiedo, cosa sarebbe avvenuto globalmente durate quest’ultimo anno in assenza di tecnologie comunicative che ci permettono di rimanere socialmente connessi anche in mancanza di compresenza fisica?

Tematiche quali la gestione psicologica dello stress psicosociale ed il riuscire a coltivare una sana socialità anche in assenza di prossimità fisica attraverso le nuove tecnologie comunicative, saranno aspetti sempre più importanti e strategici per vivere al meglio sia il presente che il futuro della nostra società.

In un recente articolo scritto insieme al prof. Phil Zimbardo (Stanford University) abbiamo sottolineato la necessità, in particolare in questo periodo di pandemia, di essere particolarmente disciplinati nel mantenere una routine giornaliera che segua corretti e regolari ritmi circadiani fisiologici (con le conseguenti indicazioni dal punto di vista alimentare, motorio e della qualità del sonno) e che integri uno stile psicologico caratterizzato dall’essere speranzoso e grato degli aspetti della vita dei quali comunque possiamo ancora beneficiare anche in questo sfidante, se non difficile, contesto storico.

* Massimo Agnoletti, Direttore del Centro Benessere Psicologico di Venezia e anche Ph.D., psicologo, cultore della materia, ricercatore esperto di Stress, Psicologia Positiva, Psicologia e Epigenetica e formatore/consulente aziendale.

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