23 novembre 2012

Un uomo solo al comando

La sua è stata la solitudine di chi prende responsabilità per gli altri, la solitudine di chi si trova per nascita, per mandato celeste e per decisione propria, in cima alla montagna, ad aprire la strada per gli altri.

di Giuseppe Calì
“Un uomo solo al comando” questo gridava al microfono il telecronista sportivo quando vedeva spuntare Fausto Coppi in cima alle montagne, lasciandosi dietro tutti gli altri, che non potevano resistere alla sua forza e al suo talento. Sono stato appassionato di ciclismo nella mia giovane età, perlomeno fino a che le sostanze dopanti non ne hanno oscurato la bellezza. Coppi è stato il mio mito e non solo perché vinceva, non solo per il suo straordinario talento, ma anche per la sua capacità di soffrire senza batter ciglio, la determinazione a vincere contro se stesso prima che con gli avversari. È stato, secondo me, l’incarnazione del vero atleta che si dedica anima e corpo all’ideale sportivo ed umano che sentiva suo e di cui si sentiva parte.
Ho sempre ammirato le persone così e per questo ho deciso parecchi anni fa di seguire il reverendo Moon. Lo sport è metafora della vita. La vita è spesso simile a un’impresa sportiva, a una lunga corsa, con momenti di sprint e momenti di crisi. Ci sfida ad affrontare gioie e sofferenze senza perdere noi stessi e gli obiettivi primari della nostra esistenza. Ci chiede tutto, ma anche ci da tutto, ci glorifica e nello stesso tempo ci umilia, ci rende vittoriosi ma anche ci schiaccia sotto un peso insopportabile. La costante è la forza interiore che ci spinge a cercare noi stessi, a cercare l’amore, a cercare la pace dentro e fuori di noi, anche se spesso confondiamo tutto ciò con una nebbia di cose inutili e senza senso, come atleti che deviano dal percorso. Chi poi decide di dedicarsi agli altri, decuplica l’impegno, perché non è più riferito soltanto a se stesso, non più responsabile soltanto delle proprie cose, ma gioie e dolori dipendono dalla relazione con l’ambiente ed il prossimo, dall’accettazione o dal rifiuto che inevitabilmente derivano dal perseguire le proprie convinzioni e la propria idea di vita. È in questo ambito che emerge il carattere vero di una persona, la sua forza, i suoi sentimenti. Non credo siano molti coloro i quali vivono veramente in questo modo. Oggi sappiamo bene che molte personalità pubbliche, in realtà di pubblico hanno ben poco e i modelli che trasferiamo potentemente ai nostri giovani sono perlopiù individualistici.
Il reverendo Moon è sicuramente uno di questi pochi, o meglio pochissimi. E per questo è stato a lungo “un uomo solo al comando”, nonostante la famiglia numerosa, il movimento di qualche milione di aderenti, le attività pubbliche numerosissime ed i continui viaggi fino all’età di ben 93 anni. Era da solo quando affrontava la morte e la tortura nelle varie prigionie e campi di concentramento, sotto il dominio giapponese prima e comunista poi; era da solo quando per qualche migliaio di dollari di evasione fiscale, tra l’altro non di sua diretta responsabilità, affrontava il carcere di Danbury nella terra della libertà religiosa, gli Stati Uniti d’America, per evidenti motivi religiosi, come riconosciuto dalla maggior parte dei gruppi cristiani e persino dal presidente Bush padre. Ed è stato solo quando doveva prendere decisioni difficili, 
di estrema importanza per il futuro del mondo, affrontando contemporaneamente la gelosia, l’ignoranza, la rabbia e l’ingiustizia altrui in prima persona. Non che non ci fossero persone intorno a cercare di sostenerlo. La moglie Hak Ja Han specialmente, che ora ha preso saldamente le redini del movimento, gli è sempre stata vicina in maniera esemplare con il suo affetto e il suo sostegno. Ma lui non è mai stato persona che abbia frapposto altri tra sé e le difficoltà. Ha sempre voluto affrontarle in prima persona, insegnando il Principio che il Cielo vede e provvede, che ogni torto subito con dignità e innocenza, viene prima o poi ripagato da una Benedizione del Cielo. È così che il suo movimento ha prosperato, trasmesso valori fondamentali e Principi di vita e raggiunto il livello mondiale che ora è il suo scenario più naturale. La sua è stata la solitudine di chi si assume responsabilità per gli altri, la solitudine di chi si trova per nascita, per mandato celeste e per decisione propria, in cima alla montagna, ad aprire la strada per gli altri.
Lui e sua moglie, non hanno avuto vita facile. Non sono vissuti nella bambagia nella quale spesso i leader laici o religiosi che siano, si adagiano e dalla quale pontificano e dirigono. La loro è stata una vita da “front line”. Il movimento che hanno fondato ha sfidato le teologie esistenti, i poteri forti, le lobby e le ipocrisie e le menzogne che infestano il nostro mondo odierno e per questo hanno pagato a lungo un prezzo di impopolarità veramente esagerato.
A questo proposito, vorrei, essendo italiano, rimarcare la notevole mancanza di rispetto e professionalità dimostrata da alcune nostre testate giornalistiche. Rispetto che si deve a una qualsiasi persona deceduta ed alla sua famiglia che ne soffre la mancanza; professionalità che si deve alla gente e alla verità delle cose. Anche questa volta non ci siamo smentiti nel nostro cinismo di bassa levatura e nel nostro essere approssimativi su tutto ciò che è importante. Non tutti i giornalisti ovviamente, ma troppi per non farsi cadere le braccia anche questa volta, come spesso accade da qualche anno a questa parte. Altre testate mondiali principali, provenienti ovviamente da altri pianeti rispetto all’Italia, tra cui menziono la BBC, leader nel mondo dell’informazione, hanno mostrato non solo quella dovuta “pietas”, ma anche professionalità nel riferirsi a fonti attuali e non a calunnie e pregiudizi ormai superati ere geologiche fa. E soprattutto riferendosi a fatti dimostrati e non a supposizioni, menzogne e pregiudizi. Non è che abbiano fatto favori a nessuno o evitato di menzionare le controversie, ma lo hanno fatto senza cadere in quella faziosità e quel livore in cui troppo spesso i nostri media sguazzano senza speranza, quasi fosse una qualità o espressione di libertà di stampa, che ovviamente è però tutt’altro. Mi sono indignato come tanti altri che veramente conoscono la realtà delle cose che circondano la vita e l’impegno del reverendo Moon. Ho anche scritto qualche lettera di protesta ai vari direttori, senza avere alcuna risposta, ma poi ho pensato che alla fine “Le vie del bene trovano sempre il modo di emergere” come Gandhi diceva. È la storia che alla fine condanna gli ignavi e comunque nel tempo di Internet e della comunicazione globale, è il popolo che gestisce l’informazione oramai. Tutti dobbiamo fare i conti con questa realtà. Le frottole hanno vita breve. È un po’ come con la prova televisiva nel calcio. Puoi anche ingannare l’arbitro temporaneamente, ma poi la realtà ti condanna. Tutti saremo costretti a essere più onesti, specialmente nel campo dell’informazione.
Bisogna riconoscere, oltretutto, che negli ultimi anni, tutto questo sacrificio vissuto dai coniugi Moon è stato riconosciuto da un numero veramente grande di personalità oltre che da milioni di persone di tutto il mondo. C’è da ricordare che i personaggi che hanno vissuto con un tale Carisma, sono sempre stati perseguitati mentre erano in vita, persino dalle istituzioni religiose da cui provenivano. Sfidare l’establishment con idee nuove che possano rivoluzionare gli equilibri esistenti, non è mai stata cosa facile per nessuno, Gesù Cristo stesso in testa a tutti. Il reverendo Moon non ha fatto eccezione. Lui ha lottato per cambiare tante cose alla radice, con l’intento di liberare l’uomo e la donna dall’ignoranza e dalla divisione.
È quindi comunque un risultato straordinario che alla fine siano arrivati tanti riconoscimenti e ci sia stata una partecipazione così grande alla cerimonia di addio delle sue spoglie mortali. Duecentoquarantamila passaggi nei tredici giorni in cui il corpo è stato esposto, tra cui personalità importanti persino della Corea del Nord che è cosa veramente insolita. Quattrocento messaggi da capi di stato e di governo, parlamentari e personalità politiche e religiose. Infine settantamila persone circa alla cerimonia finale che si è tenuta il giorno 15 settembre 2012.
Io ero li, in Corea, per celebrare insieme a tutti loro, non soltanto una cerimonia di addio, ma una vita dedicata a Dio e al prossimo. La cerimonia di “Seung Hwa” o “Ascensione in Armonia”, come, secondo la tradizione della Chiesa di Unificazione viene chiamato il funerale, è stato un evento spirituale e grandioso allo stesso tempo. Il suo significato può essere riassunto con le parole del reverendo Moon stesso:

“La cerimonia di Seong Hwa non è un momento triste, ma gioioso. Al momento della morte il nostro spirito dovrebbe sentirsi più sereno e felice di quando gli sposi iniziano a vivere insieme per la prima volta. Non c’è dubbio che il mondo spirituale esista. Esiste di sicuro e poiché noi siamo nati dal mondo spirituale, dobbiamo ritornare là. Dove ritorniamo? Non in un cimitero. Ritorniamo al nostro luogo di origine. Il luogo da cui partiamo, non è un cimitero. Significa ritornare attraversando le vaste distese della storia, persino al di là della sua origine. Ritorniamo al mondo originale che ha generato gli antenati dell’umanità. Che cosa significa questo? Poiché esiste un Creatore, ritorneremo nel luogo dov’è quel Creatore. È lì che abbiamo avuto origine e perciò è lì che ritorniamo”.

Ora ci manca. Ci mancano i suoi richiami burberi a seguire una vita coerente di Principio e amore verso il prossimo. Ci mancano le sessioni interminabili di “hoon dok hae”, di studio della parola di Dio e del Suo Principio, durante le quali ci parlava della vita, della morte, del senso ultimo delle cose, anche per una giornata intera senza fermarsi. Ci mancano le lacrime che versava ogni volta che pregava. Ci manca il volto sorridente e speranzoso che mostrava ogni volta che sapeva che stavamo affrontando una nuova difficoltà. In ogni caso ciò che ci ha lasciato non finirà; anzi sono sicuro cha da lassù continuerà ad aiutare gli uomini come ha fatto per tutta la sua vita, con rinnovato vigore, fuori dai limiti del suo oramai vecchio e logoro corpo fisico. Ne sentiremo parlare ancora e vedremo presto il frutto del sacrificio di tutta la sua vita fiorire e dare ancora pace e amore a milioni e milioni di persone. Il suo sorriso non si è spento né si spegnerà mai.

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