A metà ottobre i parlamenti di Sudan e Sud Sudan hanno ratificato l’accordo di cooperazione siglato a fine settembre. Secondo la comunità internazionale, che ha accolto positivamente l’intesa raggiunta, l’accordo pone alcune basi per risolvere pacificamente le questioni rimaste insolute dopo l’indipendenza del Sud Sudan.
I dettagli dell’accordo. Tra i principali punti previsti vi è l’istituzione di una zona neutrale demilitarizzata a 10 km lungo la linea di confine tra i due stati, teatro di sanguinosi scontri. Questa misura dovrebbe garantire maggiore sicurezza e stabilità soprattutto alla popolazione civile. L’accordo segna un passo in avanti anche sulla rovente questione petrolifera. Prevede, infatti, il pagamento di circa 3 miliardi di $ in tre anni da parte del governo sudsudanese alla controparte sudanese, come forma di risarcimento per la perdita delle rendite petrolifere subite in seguito all’indipendenza del Sud Sudan. E’ stata inoltre fissata a 9 $ al barile la tassa per il trasporto del greggio sudsudanese attraverso gli oleodotti del Sudan, questione che aveva fatto precipitare le relazioni tra i due stati e aveva portato il Sud Sudan a bloccare le estrazioni petrolifere lo scorso gennaio [vedi Newsletter 93 febbraio 2012].
Le reazioni a Juba. A Juba l’accordo ha ricevuto piena approvazione da centottantanove parlamentari; quindici membri del Parlamento hanno invece espresso riserve sulla questione del “14° miglio”, una zona al confine tra lo stato sudanese del Sud Darfur e lo stato sud sudanese del Bahr el Ghazal del Nord. Si tratta di un’area molto fertile contesa tra la comunità locale, sudsudanese, e i gruppi di pastori nomadi sudanesi che rivendicano l’appartenenza dell’area al Sudan. All’indomani della ratifica dell’accordo da parte del parlamento sud sudanese, si sono verificate proteste nella capitale dello stato, tra le forze di polizia e civili. In una lettera indirizza ai rappresentanti delle principali istituzioni nazionali, ai membri permanenti del Consiglio Onu e ai rappresentanti dell’Unione Africana, la comunità della contea di Aweil oltre a ribadire l’appartenenza storica della zona allo stato del Bahr el Ghazal del Nord ha chiesto che l’area venga esclusa dalla zona neutrale e ha sottolineato che questa decisione è stata presa senza il coinvolgimento della popolazione locale ai processi decisionali. Il presidente Salva Kiir ha affermato che si tratta solo di un malinteso dovuto alla non corretta informazione. “Non ci sono dubbi che l’area appartenga alla comunità locale sud sudanese e il suo inserimento nella zona neutrale non significa che è passata sotto il controllo del Sudan…si tratta di una misura di sicurezza temporanea a tutela prima di tutto della stessa popolazione civile”.I dettagli dell’accordo. Tra i principali punti previsti vi è l’istituzione di una zona neutrale demilitarizzata a 10 km lungo la linea di confine tra i due stati, teatro di sanguinosi scontri. Questa misura dovrebbe garantire maggiore sicurezza e stabilità soprattutto alla popolazione civile. L’accordo segna un passo in avanti anche sulla rovente questione petrolifera. Prevede, infatti, il pagamento di circa 3 miliardi di $ in tre anni da parte del governo sudsudanese alla controparte sudanese, come forma di risarcimento per la perdita delle rendite petrolifere subite in seguito all’indipendenza del Sud Sudan. E’ stata inoltre fissata a 9 $ al barile la tassa per il trasporto del greggio sudsudanese attraverso gli oleodotti del Sudan, questione che aveva fatto precipitare le relazioni tra i due stati e aveva portato il Sud Sudan a bloccare le estrazioni petrolifere lo scorso gennaio [vedi Newsletter 93 febbraio 2012].
Rimane insoluta la questione di Abyei. Nessuna intesa è invece stato raggiunto su Abyei, una delle zone petrolifere più contese e motivo di sanguinosi scontri tra le due parti. L’Unione Africana, che ha mediato i negoziati di settembre, ha proposto alle due parti che il referendum sullo status della regione, già previsto dal Trattato di pace del 2005 ma mai svoltosi per la mancanza di un accordo sulla titolarità del diritto di voto, sia condotto sotto la supervisione di rappresentanti della comunità internazionale per garantirne il corretto e sicuro svolgimento. Il governo sudanese ha però giudicato la proposta un’ingerenza negli affari interni dello stato e un affronto alla propria sovranità nazionale.
Secondo Juba gli unici aventi diritto di voto sono gli appartenenti alla comunità stanziale dei Dinka; Khartoum sostiene invece la partecipazione al referendum anche da parte del gruppo nomade di origine araba Misserya che tradizionalmente si reca nella zona per usufruire di pascoli e fonti d’acqua.
da Campagna italiana per il Sudan
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