24 novembre 2012

L'ira di Dio

La laicità come fondamento della pace

di Pino Rotta (direttore di Helios Magazine)

Si può uccidere nel nome di Dio? Secondo i teologi certamente no, ma la loro tesi è contraddetta dalle migliaia di pagine dei libri di storia che grondano sangue. Quindi a questa domanda, oggettivamente, si deve rispondere: sì, si uccide, da sempre, nel nome di Dio.
E' solo storia recente, sessanta anni circa, quella che vede una pace duratura e limitata all’Occidente. Sessanta anni senza guerre non sono certo dovuti al caso.
Nella modernità, in tutto l'Occidente (con un'anomalia tutta italiana) si sono instaurate democrazie in cui, tra i punti fondamentali sul piano costituzionale, vi è la separazione netta tra lo Stato e le Chiese. Libertà di culto ma divieto di ingerenza giuridica e, cosa non meno incisiva, principio di autofinanziamento delle chiese, tranne che in Italia, come si diceva, dove i soldi dei contribuenti, credenti e non credenti, elargiti a vario titolo alla Chiesa cattolica si aggirano (nessuna lo sa con certezza) a circa 8 miliardi di euro ogni anno.
Questa tradizione liberale, fondata su tre secoli di illuminismo, ha prodotto una coscienza civile in cui si è radicata la convinzione che, per quanto possano essere divergenti le proprie idee politiche e religiose rispetto a quelle degli altri, c'è un limite invalicabile: la mia libertà non può prevalere su quella di nessun altro.
Nei paesi in cui questi principi giuridici non si sono radicati, o addirittura non sono mai esistiti, come i paesi islamici o i paesi dell'ex Unione Sovietica, i diritti degli individui sono stati e, in molti casi continuano ad essere, sacrificati in nome di Dio (o dello Stato) e la violenza è la naturale evoluzione del conflitto.
Fino agli inzi del nuovo Millennio la Comunità internazionale si stava, seppur faticosamente, avviando verso un cammino di confronto multilaterale, con il ruolo centrale dell’ONU che mediava conflitti ed autorizzava interventi, ma dal 2003 tutto è precipitato nel vortice della scelta bellicosa ed unilaterale di George Bush.
Una scelta illegittima sul piano del diritto internazionale perchè adottata senza l’autorizzazione dell’ONU, ma anche devastante dal punto di vista del futuro politico ed economico dell’Europa e dei paesi che direttamente o indirettamente hanno interesse agli scambi euromediterranei.
Quella scelta, resa possibile dall’acquiescenza di governanti come Berlusconi, Asnar e Blair e del manipolo della cosiddetta coalizione dei “volenterosi” ha sancito un principio di fatto: non è il diritto a regolare i conflitti ma la predominanza militare.
Il risultato di quella scelta lo stiamo pagando tutti oggi in Occidente e nei paesi del sud Mediterraneo. Non solo per l’inefficacia della lotta al terrorismo, obiettivo peraltro poco credibile sin dal principio (si ricordi l’intervento all’ONU di Colin Powel che mostrava una finta fialetta di antrace per convincere il mondo del pericolo imminente!) ma per l’evidente risultato opposto della violenza che ha proliferato in tutta l’area che va dal nord Africa al Caucaso.
L’Europa uscita a pezzi politicamente da quella scelta è precipitata anche in una crisi economica grave ma diseguale anche all’interno della stessa Unione. Non a caso i paesi più forti ed oggi alla guida delle scelte europee per la ripresa sono proprio Germania e Francia che non accettarono di scendere in guerra in Iraq.
Ma gli effetti di questi anni violenti si stanno manifestando anche sul piano sociale con una pericolosa rinascita, praticamente in tutti i paese europei, di movimenti e partiti neonazisti, razzisti, exenofobi e, comunque, contrari all’unità politica dell’Europa.
La storia come sappiamo non si fa con i se e con i forse, ma immaginiamo come sarebbe stata la situazione con un’Unione Europea unita e forte e legata da comuni interessi di sviluppo e scambi culturali con la ormai moribonda Unione Africana.
(* - per approfondire: J. Habermas, L’Occidente diviso, Edizioni Laterza)

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