1 novembre 2010

I GUARDIANI DEI FARI

CARLO ALBERTO TABACCHI

"Il faro era allora una torre argentea, nebulosa, con un occhio giallo che si apriva all'improvviso e dolcemente alla sera." (dal libro di Virginia Woolf 1882-1941 "Gita al faro").

I fari sono luci seminate in mezzo al mare che nascondono storie ed aneddoti fatti di salvataggi, isolamenti forzati, diari ingialliti, luoghi cari a famiglie cresciute tra le stesse mura che hanno coltivato per generazioni la stessa passione.
Il farista accudisce con cura la sua lanterna, in modo che nella notte non venga meno quella luce importante ai naviganti per schivare i pericoli e le insidie del mare. E' un mestiere unico quello dei faristi, una categoria professionale che vanta anche un Santo Patrono, San Venerio, celebrato il 13 settembre; era un monaco eremita, originario dell'isola del Tino, vicino La Spezia ed era noto per accendere fuochi notturni tra il 6 e il 7 secolo, per segnalare i rischi ai propri concittadini. Una piccola luce era affidata ad un uomo, monaco ed eremita, a testimonianza che questi fuochi portavano e portano con sé un significato sacro, una metafora di vita e di destino, la forza di una luce eretta contro i pericoli della notte e del mare, fin dai tempi del faro di Alessandria.
Fari costruiti su alture, a materializzare qualcosa di sacro, acropoli marine e appunto genius loci come dicevano gli antichi Romani che furono costruttori anche di fari. Il fatto che nelle Sette Meraviglie del Mondo vengono menzionati due fari (quello di Alessandria e il Colosso di Rodi) appare alquanto singolare e significativo e conferma l'importanza di questi stessi nella cultura e nella memoria del mondo antico.
Nell'antichità, i guardiani erano sacerdoti che provvedevano, spesso in condizioni estreme, ad accendere e spegnere i fuochi curandone il loro esercizio e manutenzione. Nel diciannovesimo secolo non era previsto che i familiari dei faristi potessero vivere nelle strutture; successivamente, si comprese invece l'importanza dell'equilibrio familiare anche come presenza sussidiaria a quella del farista stesso.
Il mestiere non godeva di un inquadramento professionale e pertanto si giudicavano idonei a sostituire il guardiano in caso di necessità anche i suoi familiari , figli compresi.
Ai giorni nostri, è necessario che il farista abbia lo spirito di un eremita: una forza
d'animo per superare lo sconforto che isolamenti e disagi aumentano sovente al di
sopra delle possibilità e delle capacità umane, una solitudine da riempire con la sacralità e la ripetitività dei gesti quotidiani, dove il tempo della notte si trascorre a imparare a leggere nelle stelle "i comandamenti dei Dio".
La solitudine, raccontano i faristi, è "un brutta bestia", una realtà che ti può fare scivolare nella tristezza e nella depressione.
I fari con le loro torri maestose sono dei monumenti costruiti spesso a picco sul mare; in un faro si conduce una vita semplice, come semplice e puri sono gli elementi della natura che lo circondano, l'aria, l'acqua, la terra e il fuoco.
Vengono evidenziate alcune emozioni della vita: senso di libertà, fuga dalla routine della vita di città, immersione nei misteri e nelle sorprese che riserva quotidianamente la natura, disponibilità ad affrontare la vita con avventura. Il mestiere del farista va amato, preso con passione e spirito di servizio, pronto a misurare sé stessi con l'imprevisto, l'ignoto, l'accidentale.
In Italia si è deciso di non eliminare del tutto la figura del guardiano del faro, anche se le scarse risorse e l'aumento dell'automazione hanno drasticamente ridotto la presenza dei faristi, allontanandoli dai fari più isolati. Il compito principale consiste nel mantenere in efficienza il sistema ottico-lenticolare, fare piccole riparazioni, controllare insomma che tutto funzioni. L'automazione, le nuove tecnologie hanno modificato le loro mansioni ed abitudini; una volta, il guardiano svolgeva i principali compiti attraverso meccanismi manuali, caricando ad esempio il sistema ad orologeria che garantiva la rotazione della lampada: un' incessante preoccupazione, ripetuta normalmente ogni 4 ore, ogni notte.
Inoltre, a causa di situazioni di isolamento, dovute principalmente alle avverse condizioni metereologiche, i collegamenti con la terra ferma erano complicati costringendo gli abitanti dei fari a lunghi periodi di isolamento; per tale motivo, molte strutture erano dotate di un ampio forno, un'aia per gli animali da cortile, un orto e la cisterna per la raccolta dell'acqua piovana e quegli uomini dovevano sapere essere all'occorrenza anche panettieri, allevatori e contadini.
La figura del farista è destinata a scomparire, chi va in pensione difficilmente viene sostituito. Si ricorda che è un libero professionista che deve gestire i tempi e gli impegni garantendo la buona funzionalità dell'impianto che gli è stato assegnato. Che cosa spinge le persone a sognare di diventare guardiano del faro? Da sondaggi e da commenti sui forum emerge l'idea di trovare, un senso di libertà, fuggire dalla routine, stare soli, vivere a contatto con la natura. Un mestiere che presuppone alcune qualità fondamentali come calma, tranquillità, propensione alla solitudine e al rapporto con la natura; oltre, ovviamente, alle opportune conoscenze tecniche e capacità professionali per intervenire sugli impianti.
Moderni eremiti, quindi, lontano da tutto e da tutti: vivere in simbiosi con il faro, prendersene cura, rappresenta una preziosa occasione di riflessione sulla propria esistenza. Senza fretta, senza caos. E forse ognuno di noi .... dovrebbe cominciare a vivere così.

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