ABSTRACT
Matteo Luigi Napolitano è storico e diplomatico; è capo della cattedra di diplomazia e storia internazionale presso l’Università degli Studi del Molise e Campobasso; inoltre è direttore esecutivo del WEI ovvero il World Evolution Institute ed è delegato internazionale del Comitato Pontificio di Scienze Storiche presso la città del Vaticano.
Si vis pacem para pacem, è il titolo del mio intervento. In realtà, ho trasformato in latino una frase che era di un grande diplomatico vaticano,
Agostino Casaroli il quale, non ancora cardinale, par- tecipò ai negoziati per la conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa. Nel suo inter- vento a Helsinki, Casaroli disse esattamente questo: si vis pacem para pacem, se veramente si vuole la pace bisogna prepararsi alla pace.
Perché parlo di Casaroli? Perché la CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa) è stata rievocata il 13 dicembre dello scorso anno come un’idea per recuperarne il patrimonio come modello di pace anche per i giorni nostri; idea ripresa dal Segretario di Stato vaticano, card. Parolin, durante una conferenza che abbiamo tenuto all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede.
Parto da un punto fondamentale. Non è chiaro che cosa noi intendiamo per “pace”. Tanto per cominciare, secondo Vladimir Putin non esiste uno stato di guerra. Per cui, se uno cercasse di convocare una conferenza della pace invitando formalmente il governo russo a parteciparvi, il governo russo rifiuterebbe perché non esiste alcuno stato di guerra; quella russa, per i russi, è un’operazione militare speciale; non è mai esistita, quindi, una conferenza di pace che chiudesse un’operazione militare speciale. Di conseguenza, ci troviamo di fronte a un fatto obiettivamente nuovo.
Detto questo, la guerra che la Russia ha ingaggiato contro l’Ucraina è anche una guerra culturale, cioè una guerra che prevede la cancellazione di ciò che c’era in precedenza: una guerra di cancellazione culturale, di cancellazione della memoria storica, e una guerra di propaganda. Siamo peraltro davanti a un conflitto in cui persino la Storia viene rivisitata, revisionata, ammaestrata per assecondare i disegni politici. C’è a Mosca un istituto di storia contemporanea, creato a tal fine proprio da Putin e dai suoi amici.
Siamo di fronte a una ridiscussione e revisione di tutta la storia russa. E non parlo soltanto della storia sovietica, ma della storia russa nel suo insieme. Ma, paradossalmente, essendo tale revisionismo storico intriso di nazionalismo, se la guerra dovesse finire oggi, aprirebbe molti fronti, così come nel 1918 - 19; sarebbe cioè una guerra che, una volta conclusa, farebbe emergere molte istanze di autodeterminazione nei confronti della stessa Russia.
Un’altra questione che spesso emerge nei dibattiti su questa guerra è il “cessate il fuoco” da molti invocato, auspicato, desiderato, reclamato. Ora, il “cessate il fuoco” non è uno strumento semplice e irenico. Esso prevede anzitutto la cessazione delle ostilità, e soprattutto implica la separazione delle forze in campo, un attento loro monitoraggio e una continua azione di supervisione.
A ciò dobbiamo aggiungere che ciascuna delle parti coinvolte in un “cessate il fuoco” non di rado ne ha una concezione “sartoriale”, ossia vuole adattarlo alle proprie esigenze e alla ricerca di propri vantaggi.
A questo punto noi dovremmo chiederci: qual è la concezione di guerra che ha in mente Putin, e qual è la concezione di guerra che ha in mente Zelensky? Nella misura in cui lo si voglia “cucire” addosso alle proprie esigenze, il “cessate il fuoco” inevitabilmente verrebbe adattato alle esigenze di continuazione della guerra, anziché a quelle di pace. Ecco perché la tregua delle armi dev’essere amministrata da un terzo soggetto in grado di farla rispettare e di renderla perfettamente simmetrica, in modo che nessuna delle parti se ne avvantaggi e se ne serva per ammantare eventuali scopi bellici.
Si sarà compreso che a questo punto entra in gioco un terzo elemento, cioè il mediatore. Qual è il suo ruolo? Come può obbligare le parti a far tacere le armi? Di quale forza dispone per impedire che le armi riprendano a tuonare? Chi è, quindi, il mediatore? Questo è un addendum molto importante. La parte terza ha, in questo caso, compiti specifici e determinanti. Essa deve anzitutto delineare, in maniera molto esatta, anche dal punto di vista geografico, le linee di demarcazione che nessuna delle parti deve oltrepassare. Ma in questo momento, un tale compito (uno dei principali di un mediatore) è reso impossibile dal fatto che i russi ritengono ormai il Donbass parte integrante della Russia. Per quanto un mediatore possa indicare diritti, obblighi di ciascuno dei belligeranti, l’aspetto geografico e geopolitico prevale quindi sulle aspirazioni a un rapido “cessate il fuoco”, giacché nessuna delle due parti vorrà mai riconoscere le conquiste dell’altra, e nessuna vorrà abbandonare il campo.
Sussiste poi un altro problema che spinge a ritenere sia più “economico” continuare a combattere. Fra Russia e Ucraina ogni “cessate il fuoco” sarebbe giocoforza asimmetrico: armi convenzionali, dal campo ucraino, contro armi convenzionali e armi atomiche, dal lato russo. Sussisterà sempre uno squilibrio produttivo della situazione seguente: la parte svantaggiata (ossia l’Ucraina), per avere un “cessate il fuoco”che sia il più riequilibrato e paritetico possibile, sarà sempre costretta a ricorrere ad “alleati” esterni, specialmente dal punto di vista della fornitura di armamenti. Ciò produce un paradosso: inviare armi all’Ucraina diventa l’unico metodo e il più sicuro creare condizioni di riequilibrio in un eventuale “cessate il fuoco”, qualora si riuscisse ad imporlo alle parti.
Siamo tutti amanti della pace, è chiaro. Ma occorre convincersi che la pace è un concetto politologico oltre che etico; è un concetto con regole precise di funzionamento, a cominciare dal dispiegamento di forze che separino le parti contendenti. È, questo, un altro problema, poiché ogni “cessate il fuoco” prevede il dispiegamento di forze di interposizione che siano in grado di far rispettare, come dicevamo, le linee di separazione tra le parti. A questo punto, chi potrebbe rivestire il ruolo di mediatore tra Russia e Ucraina?
L’ORRORE BRUTALE DELLA GUERRA
Probabilmente l’unica istanza in grado di intervenire è, in questo momento, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, cioè la figlia della conferenza di Helsinki e della CSCE.
Perché? Perché si tratta di un organismo che raccoglie sostanzialmente tutti i Paesi europei più Stati Uniti, Canada e, ovviamente, Russia e Ucraina. Un modello “OSCE+Paesi terzi” (per esempio, la Cina) potrebbe essere un tentativo suscettibile di qualche successo. Ma perché l’OSCE? Perché al momento è l’unica organizzazione che, per quanto chiaramente disapprovi dall’attacco russo all’Ucraina, a differenza di ONU, NATO e Unione Europea non è stata percepita come potenziale aggressore, giudice o complice da Mosca; e potrebbe essere un’istanza accettabile anche per Kiev.
Quello che, comunque sia, serve oggi alla comunità internazionale e alla diplomazia è un’invenzione inaspettata e rivoluzionaria: quello che è stato l’IPhone per la tecnologia telefonica e telematica. Servirebbe una formula nuova che superi le vecchie e stantie formule con cui si è cercato di risolvere le crisi e i conflitti internazionali.
Ma per ora questa formula è ancora da inventare, mentre noi, in questo momento, stiamo assistendo a questa guerra che, consumando risorse e vite, sta erodendo la coesione europea.
QUAL È IL RUOLO DEL MEDIATORE? COME PUÒ OBBLIGARE LE PARTI A FAR TACERE LE ARMI?
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