ABSTRACT
27 FEBBRAIO 2023
Marco Respinti è giornalista, saggista e conferenziere.
Direttore responsabile di “Bitter Winter”, quotidiano online in inglese su libertà religiosa e diritti umani, e del periodico accademico “The Journal of CESNUR”, incentrato sulle nuove religioni, ha partecipato a diversi eventi, anche internazionali, di UPF, di cui è ambasciatore di pace.
Ringrazio dell’invito rivoltomi a svolgere questo tema giacché mi consente di condividere con voi alcune riflessioni. È sempre un piacere partecipare alle attività di UPF in Italia e all’estero. E non lo dico solo perché sono ospite di UPF: gli amici di UPF sanno che le mie sono parole sincere. Trattando oggi di libertà religiosa, o di liber- tà di religione, declinerò queste espressioni nel modo in cui vengono intese a livello internazionale attraverso l’acroni- mo, FoRB, cioè «Freedom of Religion or Belief», in italiano «libertà di religione e di credo», che è diventato canonico anche in ambito scientifico.
[...] L’articolo 18 della «Dichiarazione Universale dei Diritti Umani» esprime la sostanza di quella formula: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». È dunque questo il senso con cui, sul piano accademico così come sul piano giornalistico, uso l’espressione «libertà di religione».
[...] Non vi può del resto essere libertà pubblica piena della persona se non partendo dalla libertà principale, che è la libertà di ognuno di potere liberamente, sovranamente, senza alcuna intromissione e senza l’interferenza da parte di alcuno, sia esso un individuo o un qualsivoglia gruppo organizzato di impostare il rapporto esistenziale fondamentale, quello che fonda ogni altra dimensione umana: il rapporto fra sé e l’Essere supremo, qualunque nome si attribuisca a questi, sia esso il Creatore, il regolatore dell’universo o quant’altro, ovvero Dio così come lo definisce la filosofia greca. Perché è questo il rapporto fondante più originario? Perché dietro di esso si staglia un’altra questione. Tutte le fedi, tutte le religioni, tutti i credi, in qualunque modo chiamino Dio, persino quando non lo nominano affatto o quando lo definiscono in modi davvero peculiari, ritengono Dio essere la questione iniziale e ultimativa, principiale e ultima. E se Dio è la questione principiale ed ultima di tutto, da questa questione deriva il modo con cui l’essere umano imposta la propria vita. Ne viene cioè una morale, ne discendono i criteri in cui viene definito ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bene e ciò che è male, il modo appropriato per fare il bene, come evitare di compiere il male, e così via. Si potrebbe riassumere l’intera questione nel modo seguente. Io essere umano desidero poter credere in Dio e poter credere che Dio, qualunque nome io gli attribuisca, esista o non esista,
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