3 gennaio 2020

Profitto per l'occupazione / profitto disoccupativo

di Antonio Saccà
Le società, presso che tutte, sono antisociali. L'individuo vive in società ma la società non vive per l'individuo. Non tutti sono protetti addirittura dalla fame. Quindi non vi è società, comunanza nello stare in società. Oggi, e massimamente in futuro, l'occupazione ossia la disoccupazione diverrà la questione sociale essenziale. Ad essa non si ripara con accorgimenti meno che mai con l'investimento di capitali. Abbiamo, tra i molti, questi fenomeni  innovativi: aumento estremo della potenza produttiva, macchine che utilizzano macchine, diminuzione della occupazione con problematiche incertezze sull'accrescimento di lavori in  settori  d'altra natura secondo una convinzione, forse inattuale, che il lavoro si propaga,  ma non si estingue, concentrazione colossale di imprese mondiali, difficoltà dei ceti medi, dei lavoratori, delle piccole e medie imprese, sconvolgimenti demografici per guerre, carestie, denatalità, fenomeni immigratori vasti, turbative ambientali, conflitti militari, conflitti economici, enfiamenti borsistici... Limitiamoci  al sistema produttivo.
Se continua come nel presente avremo gigantesche imprese, concentrazione di imprese, dicevo, profitti in mani di pochissimi, disoccupazione e sottoccupazione di masse. Ed il paradosso: maggior profitto, maggiore produzione con sempre più minore occupazione.
Occorre, dunque, concepire un'impresa il cui profitto non sia destinato al vantaggio del capitale (del capitalista) ma sia destinato alla sopravvivenza dell'impresa nella concorrenzialità, ed al mantenimento ed ampliamento possibile dell’occupazione: se si ha profitto si possono assumere altri lavoratori diminuendo l'orario di lavoro. Questa modificazione mai sarà fatta dal capitalista, il quale, anzi, riduce i lavoratori se ha maggiorata produttività con le macchine, sono i lavoratori e la classe media che devono socializzare la produzione e i sevizi rendendo il profitto non lo scopo ma il mezzo per il benessere della società. Una società che non abbia come scopo il profitto privato è concepibile se da gran tempo riteniamo il profitto lo stimolo a fare e perfino vantaggioso per la società intera? Se mai lo fosse stato, utile per tutti, oggi il profitto si ottiene contro il vantaggio sociale, non crea occupazione piuttosto quanto può, disoccupa. Abbiamo un fenomeno eversivo, maggior profitto con minore occupazione, ripeto. Nel tempo questo andamento sarebbe sconvolgente, non sostenibile. Quindi occorrerà volgere all'occupazione la finalità dell'impresa rinunciando al profitto personale, ciò che il capitalista mai attuerà. Lo facciano i lavoratori, se ne saranno capaci. L'impresa del profitto personale non dovrebbe essere abolita, assurdo togliere a chi vuole profittare l'evenienza. Essa manterrà i lavoratori opportuni. Ma per l’occupazione in grande non immagino che l'impresa per l'occupazione, appunto, quale scopo dell'impresa, impresa alla quale il profitto deve volgersi, il profitto ottenuto serva per nuovi occupati abbassando l'orario di lavoro. Il margine dell’occupazione si ha nel momento in cui vi è il rischio di non essere competitivi. Nella maniera più assoluta: non si tratta di una società egualitaria, di un regime di vita medio generalizzato. È un grande bene che vi siano ricchissimi, ricchi, gente media. L'unica uguaglianza sta nel considerare ciascuno per quel che è, nell'uguaglianza del giudizio nel riconoscimento della disuguaglianza. Valutare quali disuguali i disuguali è la perfetta eguaglianza di giudizio. Ciascuno secondo le proprie specificità. Uguale significa che per tutti si propone il criterio oggettivo della disuguaglianza soggettiva. È l’egualitarismo che disuguaglia, giacché tratta egualmente i diversi. Non rispettando la disuguaglianza la altera, la rende disuguale a sé stessa. Se due uomini di altezza variata li si considera uguali li ho disuguagliati da quel che sono... Al dunque, inevitabilmente, avremo una divaricazione nei sistemi economici, l'impresa per il profitto, l'impresa per il profitto ai fini dell'occupazione. Se i lavoratori non saranno in grado di forgiare quest'ultima impresa avremo turbamenti sociali gravissimi e la vittoria dell'impresa del profitto, con perniciose conseguenze. Vi è l’ipotesi: largire ai poveri quanto viene prodotto da chi lavora e quanto viene tolto ai ricchi, ma dare a masse improduttive oziose susciterebbe altre complicazioni.
Le imprese del profitto non a fini sociali avrebbero migliori condizioni per l’innovazione tecnologica disponendo di maggiori capitali? Sta all'impresa per l’occupazione stabilire le quote di profitto necessarie per l'innovazione tecnologica. Insomma, con chiarezza: i lavoratori ed il ceto medio devono auto proteggersi nelle imprese e nei servizi, il grande capitale ha una via diversa, profitto con il minimo di occupazione, le macchine glielo consentono, e l'intero pianeta, inutile lamentarsi, occorre una alternativa, l'impresa per l'occupazione ed i servizi, l'autoprotezione.

Il contenuto degli articoli dei collaboratori esprime il pensiero degli autori e non necessariamente rappresenta la linea editoriale che rimane autonoma e indipendente.

Nessun commento:

Posta un commento