di Emilio Asti
Caratterizzato da profondi mutamenti, che hanno trasformato gli equilibri mondiali e paiono aver chiuso un’epoca, il 1989 è stato testimone di una sequenza di eventi rilevanti, dalla rivolta degli studenti cinesi sino al crollo del Muro di Berlino e dei regimi comunisti dell’Europa orientale. Sono ormai trascorsi 30 anni da quei fatti, le cui conseguenze riesce tuttora difficile valutare pienamente.
Proprio nell’ ´89 ebbe inizio una nuova storia per il continente europeo, grazie soprattutto a Gorbaciov, la cui politica permise agli Stati satelliti dell’URSS di decidere liberamente il proprio destino. Venne meno infatti la divisione dell’Europa in due blocchi sancita al termine del secondo conflitto mondiale e prese corpo la speranza di un’Europa in cui tutti i suoi abitanti potessero vivere in pace e libertà. Inoltre in quell’anno le ultime truppe sovietiche lasciarono l’Afghanistan, invaso un decennio prima, e il cui ritiro, in seguito ad una sconfitta politica e militare, era iniziato l’anno precedente.
In quel tempo anche la Cina, fece parlare molto di sé a motivo delle proteste degli studenti in piazza Tian An Men, che volevano farsi promotori di un cambiamento democratico.
Immobilismo burocratico e corruzione diffusa a tutti i livelli caratterizzavano il sistema politico cinese e molti, anche nelle classi dirigenti, avevano ormai constatato il fallimento dell’utopia maoista, in nome della quale erano stati commessi abusi di ogni tipo.
Se, per molti aspetti, in un primo momento, la ribellione studentesca in Cina è apparsa sorprendente, essa è il risultato di vari fattori. Nel 1989, 40 anni dopo l’instaurarsi del comunismo, soprattutto tra gli intellettuali, molti dei quali ormai non credevano più negli ideali maoisti, e i giovani, che costituivano un’alta percentuale della popolazione, serpeggiava un profondo malcontento.
L’apertura al resto del mondo aveva diffuso informazioni che rischiavano di mettere in crisi il monopolio del partito comunista e le riforme economiche avevano generato aspettative di libertà politica. Le proteste studentesche affondavano le radici anche in una frattura generazionale. I giovani infatti, insofferenti verso la struttura autoritaria dello Stato, nutrivano convinzioni diverse da quelle dei loro padri e rivendicavano uno Stato di diritto, mettendo in discussione il ruolo dirigente del Partito Comunista.
A differenza della Rivoluzione Culturale, durante la quale i giovani si erano mossi manovrati dall’alto, gli studenti dell’ ’89, dopo la morte di Hu Yaobang, in cui avevano riposto le speranze di una svolta democratica, diedero vita a proteste pacifiche.
L’enorme piazza Tien An Men, cuore di Pechino e dell’intero Paese, abitualmente scenario di imponenti manifestazioni organizzate dal governo, divenne teatro di qualcosa di completamente nuovo ed inaspettato, in quanto la società cinese non era abituata a manifestazioni pubbliche che mettevano in discussione la legittimità del potere politico. Un sistema totalitario, consolidatosi da decenni, venne apertamente contestato da un gruppo di giovani, decisi a portar avanti le loro legittime richieste.
Profondamente convinti di lottare per una causa giusta, i ragazzi si illudevano che il governo avrebbe prestato loro ascolto, accogliendo alcune loro richieste. La repressione del governo cinese fu estremamente dura e la protesta finì in un bagno di sangue con la brutale uccisione di centinaia di studenti e il ferimento di molti altri.
Parecchi giovani, accusati di complotto controrivoluzionario, furono condannati a dure pene detentive, alcuni addirittura alla pena capitale. Tuttora si ignora la sorte di molti studenti che parteciparono alla rivolta, alcuni dei quali poi fuggirono all’estero. Venne imposta la legge marziale e successivamente ebbe luogo un giro di vite su tutti i settori della società al fine di annientare i residui focolai di resistenza.
Occorre considerare che la ribellione studentesca contribuì ad approfondire la frattura tra le diverse fazioni del gruppo dirigente e in tale contesto gli studenti vennero usati come pedine nel gioco spregiudicato del potere; mancano informazioni attendibili al riguardo, ma si può dedurre che la protesta studentesca all’inizio avesse goduto di qualche appoggio all’interno del governo. Il protrarsi della rivolta giovanile tornò utile a Deng Xiaoping e a quelli che come lui volevano usare la mano dura, temendo che in Cina potesse ripetersi lo scenario sovietico.
Le condanne internazionali furono molteplici, ma nonostante l’ondata di simpatia verso gli studenti da parte dell’opinione pubblica internazionale, l’atteggiamento dei governi è stato molto prudente e l’embargo decretato alla Cina durò solo poco tempo. Costituendo la Cina già allora un grande mercato, il mondo ben presto volle dimenticare il massacro degli studenti, piombato poi nel silenzio mediatico, senza dimenticare che l’Occidente aveva tutto l’interesse a sostenere la stabilità della Cina, messa a rischio dalla rivolta studentesca. Al fine di giustificare agli occhi dei paesi occidentali l’intervento dei carri armati contro gli studenti Deng Xiaoping affermò: “Vi abbiamo salvato. Se la Cina fosse precipitata nel caos politico, milioni e milioni di persone si sarebbero riversate fuori dai nostri confini e vi avrebbero invaso.”
Al di là di ciò che hanno scritto i giornali la repressione da parte dello Stato obbediva anche all’antica tradizione confuciana, secondo la quale i giovani sono tenuti all’obbedienza incondizionata nei confronti delle autorità e degli anziani. La protesta studentesca, oltre a rappresentare un grave affronto agli anziani detentori del potere, ebbe luogo in presenza di un ospite importante come Gorbaciov durante la sua visita a Pechino. Secondo gli anziani dirigenti ciò non poteva rimanere impunito.
Dopo i fatti di Tien An Men, sui quali è sceso il silenzio ufficiale, in Cina nulla fu più come prima, anche se tutto parve continuare come un tempo.
La dura repressione non ha fermato il processo di modernizzazione, ma le libertà politiche sono ancora congelate, anche se sarà sempre più difficile soffocare il dissenso. La libertà religiosa, soprattutto per la minoranza cristiana, spesso vittima di vessazioni, è ancora limitata.
La stabilità del Paese, mantenuta con metodi repressivi, rimane prioritaria per lo Stato e la censura continua ad impedire la diffusione di notizie critiche nei confronti del regime.
Nessuno oggi può rimanere indifferente al destino della Cina, oggetto di analisi e giudizi contrastanti, che a 30 anni dalle vicende di Tien An Men rappresenta ancora, per vari aspetti, un enigma, che rende difficile prevederne gli sviluppi futuri.
Nonostante la forte crescita economica e il ruolo rilevante che svolge in tutta l’area estremo-orientale, la Cina presenta diverse vulnerabilità politiche e molteplici problemi tuttora irrisolti, la cui soluzione richiederebbe un’apertura alle esigenze di maggior libertà.
Pur avendo abbandonato il fervore rivoluzionario e gli ideali egualitari del passato, il Partito Comunista continua a mantenere il monopolio del potere, ma il suo ruolo appare destinato, prima o poi, ad essere messo in discussione. Le tensioni covano sotto la cenere, attendendo solo l’occasione propizia per manifestarsi.
Quando si parla della Cina generalmente si pensa a un Paese omogeneo, ma la realtà è ben diversa. Bisogna infatti tener presente che dentro i confini politici dello Stato cinese vivono popoli diversi, unificati con la forza dal regime maoista, che ha sempre represso con la violenza le aspirazioni di autonomia di questi popoli, assimilati con la forza e sottoposti a continui attacchi di pulizia etnica, ridotti poi ad una minoranza nel proprio territorio, sebbene la propaganda governativa continui ad occultare ciò. Varie rivolte, come quella dei Tibetani nel 1959 e degli Uiguri negli anni successivi, vennero soffocate nel sangue. Wuer Kaixi, uno dei più popolari leader studenteschi della rivolta del 1989, apparteneva alla minoranza etnica uigura, di religione islamica, che abita nel Turkestan Orientale, chiamato Xinjiang dal governo cinese. In questa zona, come anche nel Tibet, in cui la repressione politica e culturale è tuttora dura, la situazione rimane tesa ed è motivo di preoccupazione per il governo centrale.
La Cina, parecchie zone della quale sono rimaste tagliate fuori dallo sviluppo, nasconde ancora sacche profonde di miseria, per non parlare dei gravi problemi ambientali, le cui conseguenze non possono essere sottovalutate.
Non si possono certamente ignorare i progressi compiuti dal Paese in questi ultimi anni, i cittadini infatti godono di un margine di libertà maggiore rispetto al passato, ma nonostante ciò l’apparato repressivo rimane la struttura portante del regime, che vigila per colpire le espressioni di dissenso e prevenire un’eventuale frantumazione dello Stato. I dirigenti cinesi si trovano attualmente di fronte a vari dilemmi, pur convinti che l’avvenire abbia in serbo un importante destino per la Cina, sulla base dell’antica convinzione della superiorità del loro Paese sul resto del mondo.
La strada verso un nuovo assetto della Cina non sarà sicuramente facile. Può essere forse azzardato fare previsioni a riguardo, considerando la complessità dei fattori in gioco, ma verrà sicuramente il tempo in cui anche la Cina potrà sperimentare un sistema democratico.
L’abbattimento del Muro di Berlino, evento di rilevanza straordinaria, va inquadrato nel contesto generale di crisi del comunismo, iniziata anni addietro; nel 1953 Berlino Est fu la prima capitale comunista in cui si verificarono estesi moti di rivolta, poi duramente repressi dalle truppe sovietiche. Già negli anni Sessanta iniziava a spirare anche sull’Europa dell’Est un vento nuovo che, anche se stroncato dall’intervento sovietico a Praga nel ‘68, si ripresentò successivamente.
I paesi dell’Europa orientale, che, loro malgrado, furono inglobati nella sfera di influenza sovietica, erano sottoposti ad una sorta di colonialismo da parte dell’URSS, le cui truppe, presenti sul loro territorio, esercitavano un ruolo intimidatorio. Era già in atto un progressivo sgretolamento del sistema, nonostante il controllo sui mezzi d’informazione e la censura in atto, era già in atto un progressivo sgretolamento di un sistema, basato sull’arbitrio e la menzogna; il numero di coloro che cercarono rifugio in Occidente era andato aumentando di continuo. In questi Stati, che nascondevano gravi situazioni di povertà e disuguaglianze le classi dirigenti, trincerate dietro i loro privilegi, rimanevano insensibili agli appelli di rinnovamento lanciati da più parti. Diversi dirigenti di questi Paesi non vedevano di buon occhio la politica di Gorbaciov, il quale non ostacolò in alcun modo i profondi cambiamenti in atto nei Paesi satelliti.
L’ URSS, alcune repubbliche della quale rivendicavano la propria sovranità, aveva iniziato a disgregarsi e l’ondata che nel 1989 spazzò via i regimi comunisti europei si concluse due anni più tardi con la caduta della stessa URSS.
Nel contesto internazionale erano maturate condizioni favorevoli al crollo del comunismo. Emblematico è il caso della Polonia, in cui il processo che avrebbe poi portato alla fine del comunismo era iniziato già nel 1956 quando la città di Poznam fu teatro di violente manifestazioni contro le truppe sovietiche. Alla fine degli anni ’70 i lavoratori polacchi avevano sfidato il regime con gli scioperi. La nascita di Solidarnosc, il primo sindacato indipendente all’interno del blocco sovietico, messo fuorilegge e poi finalmente legalizzato, fu l’evento che aprì la strada ad un rinnovamento totale. La nomina di un Papa polacco sicuramente contribuì ad accelerare lo sgretolamento del comunismo in Europa.
Le elezioni del 1989 segnarono il definitivo passaggio della Polonia alla democrazia. In Cecoslovacchia la rivoluzione pacifica contro il regime portò poi al potere Vaclav Havel, noto dissidente ed intellettuale, che fu uno dei fondatori del movimento per i diritti civili “Charta 77”. Il vento della libertà raggiunse poi anche la Romania, dove un’insurrezione armata pose fine al regime tirannico di Nicolae Ceausescu, e l’Albania, che per oltre 40 anni aveva sofferto sotto un regime stalinista.
Già dal mese di Ottobre dell’ ’89 la Germania comunista, i cui dirigenti, convinti che Gorbaciov avesse imboccato la strada sbagliata, volevano resistere al vento del cambiamento da lui avviato, stava vivendo giorni turbolenti con manifestazioni di protesta quasi quotidiane e pareva che il governo volesse stroncarle con la violenza.
Col crollo del Muro nel Novembre di quell’anno, che rappresentò la fine di una dolorosa divisione, pareva aprirsi una pagina nuova per il futuro del mondo. Nessuno infatti avrebbe potuto immaginare, anche dopo l’avvento al potere di Gorbaciov, un crollo così repentino del Muro, che poi rese inevitabile la riunificazione della Germania, ratificata l’anno successivo e Berlino riacquistò il suo ruolo di capitale dell’intero Paese, ora lo Stato più popoloso d’Europa.
L’integrazione tra le due Germanie non è stata semplice, ma ha richiesto un impegno considerevole da parte di tutto il popolo tedesco, che ha saputo gestire bene tale processo, nonostante i molteplici e complessi problemi che ciò ha comportato.
La Germania, il cui peso politico era nettamente inferiore alla sua potenza economica, si presenta come un Paese deciso a perseguire la pace, alla ricerca di una definizione del proprio ruolo sulla scena europea, considerando la sua posizione strategica tra la Scandinavia e il Mediterraneo. Forte del suo maggior peso internazionale la Germania ha allargato la sua sfera d’influenza e le truppe tedesche possono operare anche fuori dai confini della NATO per missioni di pace.
Nei paesi dell’Europa orientale la transizione verso la democrazia, sovente accompagnata da conflitti e tensioni, si rivelò più difficile del previsto. La pesante eredità del passato comunista non ha potuto essere liquidata rapidamente, in quanto non è stato semplice uscire da decenni di immobilismo politico e riformare il sistema produttivo. Spinte nazionaliste, a lungo soffocate, riesplosero con veemenza e l’apertura delle frontiere degli Stati dell’Est, che divennero terreno fertile per formazioni criminali, ha provocato intensi movimenti migratori. Sulla scena europea entrarono nuove entità politiche formatesi in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia e alla perdita di territori da parte dell’ex URSS, in un quadro di crescente instabilità.
Il crollo della Cortina di Ferro e la dissoluzione del Patto di Varsavia hanno poi determinato l’allargamento a Est dell’Alleanza Atlantica, con inevitabili ripercussioni sugli equilibri strategici, suscitando le apprensioni di Mosca, la quale teme un accerchiamento da parte dell’Occidente.
Dopo l’iniziale euforia per la ritrovata libertà è sopravvenuta una certa disillusione, in quanto il sistema capitalista, nonostante le illusioni suscitate inizialmente, si è dimostrato incapace di assicurare il benessere generale. L’ateismo comunista pare esser stato sostituito da un nuovo materialismo, ora predominante nel mondo, che mira a ridurre l’essere umano al solo soddisfacimento dei bisogni materiali, a scapito dei valori umani.
La fine del comunismo è un processo ancora incompiuto, in quanto il cambiamento delle dirigenze politiche ha rappresentato solo l’inizio. Le società vissute per molti anni sotto un regime comunista, che ne ha forgiato i modi di pensare e di vivere, hanno bisogno di tempo per abituarsi ai meccanismi dell’economia di mercato.
Alla prova dei fatti il sistema comunista, a cui pochi ormai riconoscono la capacità di garantire progresso e libertà, si è rivelato un’esperienza fallimentare in tutti i campi ed ora non ha più alcun modello di cui proporre l’imitazione. Con la pretesa di creare un uomo nuovo i regimi comunisti si sono resi responsabili della morte di parecchi milioni di persone. Ora il comunismo, a cui molti aderirono nella speranza di una società più giusta e solidale, viene generalmente identificato con oppressione e miseria. Anche per i partiti comunisti occidentali, che già avevano preso le distanze dal sistema sovietico, il crollo del comunismo rappresentò la fine delle certezze su cui si basava la loro politica.
A distanza di alcuni anni possiamo dire che le analisi politiche fatte allora avevano tratto delle conclusioni eccessivamente ottimistiche. La fine della Guerra Fredda non ha infatti significato la sparizione dei conflitti nel mondo. Il lungo cammino verso la libertà e la pace, sebbene lento e disseminato di ostacoli, non potrà essere arrestato.
In un’epoca come l’attuale, di fronte a problemi di portata planetaria, la cui soluzione richiede un impegno globale, è indispensabile superare le barriere nazionali per abbracciare una visione più ampia. In questo l’Europa, attingendo al patrimonio spirituale dei suoi popoli, può resistere all’assalto dei nuovi imperialismi economici e politici, dedicandosi all’edificazione di una società migliore, che possa servire d’esempio al resto del mondo.
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