25 gennaio 2020

La nostra eternità è il nulla

di Eraldo Pittori

Da decenni leggo del prof. Antonio Saccà i suoi libri, le cui pagine - sempre problematiche - pongono parecchi “perché” e aprono un lungo discorso sulla dimensione del nulla esistenziale, capace di dare autenticità all’agire dell’uomo. In questa sua nuova opera: “Quel che resta del nulla” eleva l’orizzonte del nulla allo stesso orizzonte del fondamento dell’essere e distingue l’uomo esistenziale dall’uomo sociale. Parlando dell’uomo tuttavia bisogna evitare l’astrattismo quasi esistesse un “uomo universale” platonico. Esistono i singoli uomini, le singole persone. D’altra parte è anche un astrattismo parlare solo di individui, come se non esistesse altro che una moltitudine di monadi. Non corrisponde alla realtà neppure la concezione - diffusa nell’illuminismo - che ammise l’unità tra vari individui soltanto come frutto di un “contratto sociale”. La vita sociale è un’imposizione reciproca, come osserva Saccà,
costatando come scopo della democrazia è l’apprezzare quel che non vale e negare quel che vale. Per salvarsi dal nulla, il dilemma qual è? isolarsi o stare in società? Il grido di Saccà diventa struggente: “dateci il vento del lavoro, l’oceano dell’azione, l’orgoglio della Patria, l’onore della fatica” dove però occorre “farsi vento da se stessi e remare con le mani” e la conclusione è amara perché tutto è illusione, data l’inspiegabilità dell’esistenza. Esiste l’universo, esistiamo noi ma ignoriamo il come. “Vivi la vita che puoi vivere, inventa la vita che non vivi” diventa uno slogan per una morale umana in cui “la felicità è spartire la gioia non la sofferenza”. L’esperienza umana è sempre necessariamente storica, sempre temporale, sempre finita, contingente. Da qui si dipartono due strade: quella metafisica che prova a trascendere l’esperienza in direzione di un fondamento e di una salvezza di ordine teologico e quella che giudicando impossibile ogni trascendenza si consegna al nulla. Questa seconda strada percorre Saccà che chiede alla filosofia di non scimmiottare la teologia. Noi valutiamo la morte da vivi e perciò l’autenticità dell’uomo è nella vita e per la vita. “Vivere è sentire e volere”: questo è l’assioma di Saccà. L’esistenza essendo identica alla libertà creatrice, l’uomo esiste soltanto se il suo atto libero è un inizio assoluto e se nessuna essenza ne precede l’esistenza. Se scopo della vita è la felicità e scopo della società è la civiltà, infelice sarebbe per Saccà l’esistenza per non tentare di volere la felicità e squallida sarebbe la società se non forgiasse la civiltà. Ma a quale scopo, se la realtà è il nulla? Esiste l’universo, esistiamo noi: questa è la nuda constatazione ma ignoriamo il come.  Inspiegabile è per Saccà l’esistenza. Diventa così una follia credere all’immortalità dell’anima e dei corpi perché quel Dio increato e quindi eterno da dove spunta? È strabiliante identificarlo con un Dio che suscita la natura, perché la natura esiste prima dello spirito. Il monoteismo ritiene esistente un solo Dio, totale, creatore, distinto dal male ma per Saccà l’uomo non fonda ma sceglie il male: infatti l’albero del bene e del male esisteva ed era stato fatto da Dio.  
Qualcuno dice che il male è mancanza di bene. Saccà si chiede: esiste come mancanza o non esiste? Se esiste come mancanza esiste; se non esiste non c’è peccato. L’equivoco è tra mancanza e inesistenza. Mancanza è l’esistenza di una privazione, dunque esistenza. L’inesistenza è quanto non è mai esistito. Come può esistere la mancanza di bene se Dio è totalità di bene? Il male esiste o non esiste? E se esiste, com’è concepibile se Dio è totalità di bene? L’idea di un Dio creatore malvagio avrebbe un senso più realistico di un Dio buono in un mondo malvagio. Inoltre se Dio è eterno ed è tutto, com’è concepibile un mondo fuori di Dio e del tempo? Cade anche l’obiezione di un Dio che concede all’uomo la libertà di compiere il bene e il male, altrimenti lo asservirebbe obbligandolo al bene. Dio per Saccà è il volto umanizzato del nulla e la nostra esistenza è un viaggio nel deserto per raggiungere la città del nulla. La morte non dà il senso alla vita. Esiste la mia vita e per me vale ciò che sento: me stesso tra finito e nulla. La coscienza non è mai separata dal sentire: o rifiuti o vivi. Mai vivere - esorta Saccà - rifiutando di vivere. La morte è l’incarnazione visibile del nulla e il nulla oltrepassa la morte e noi diverremo nulla eterni, eterni nel nulla, perché la nostra eternità è la nullità.

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