ETICA E SOCIETA’
FAILED STATES
di Carlo Alberto Tabacchi
Sviluppo ineguale e delegittimazione dello stato rappresentano i principali segnali di un paese prossimo al fallimento. E' necessario che gli Stati riusciti insieme alle organizzazioni regionali si impegnino maggiormente per arginare questo destabilizzante fenomeno.
Dal 1989 i cosiddetti failed states (stati falliti) hanno cominciato ad occupare un posto di rilievo nelle discussioni internazionali e nelle strategie di sicurezza di molti paesi. Ali' indomani dei tragici avvenimenti del settembre 2001 che hanno visto un paese fallito coinvolto negli attentati terroristici, diverse nazioni prendono piena coscienza dell’emergenza e della necessità di doverle affrontare.
Non esiste una definizione universale del termine. Probabilmente i primi a impiegare il concetto furono nel 1993 Gerald Helman (diplomatico statunitense) e Steven Ratner (politico canadese e giornalista e storico), che lo considerarono come " un fastidioso nuovo fenomeno legato a uno stato incapace di auto-sostenersi nell’ambito della comunità internazionale".
Secondo una statistica del 2007 del Fund for Peace il Sudan risulta il paese maggiormente instabile, seguito dalla Somalia; nelle prime IO posizioni sono comprese ben 7 nazioni dell' Africa sub-sahariana. Al contrario, la regione più stabile è quella scandinava.
Uno stato arriva al fallimento per motivi storici, economici e sociali sia interni che esterni.
CAUSE ENDOGENE.
Soprattutto in Africa sistemi politici a partito unico e dittature militari talvolta degenerano in tirannia; l enorme concentrazione di potere politico ed economico può trasformare il paese in stato illegale. Le istituzioni diventano ostaggio di una ristretta cerchia di uomini che si arricchiscono, lasciando il resto della popolazione nella povertà, malnutrizione, vessazione ed, in generale, nella totale assenza di beni che dovrebbero essere garantiti dalle autorità politiche.
Certi conflitti degenerano spesso in vere e proprie guerre interne che portano lo stato al fallimento; l' origine è comunemente legata allo sfruttamento delle risorse concentrate nella zona contesa. Caso emblematico resta il Sudan, sconquassato da movimenti indipendentisti sia nella regione meridionale che nel Darfur dove i pastori stanziali si sono ribellati al governo, egemonizzato da gruppi arabi.
CAUSE ESOGENE.
E' parere di molti analisti che il primo fattore esterno sia stato il colonialismo, durato sufficientemente da distruggere le strutture sociali tradizionali, tua non abbastanza da sostituirle con forme costituzionali democratiche e con una effettiva identità.
Negli anni 90 si e sviluppato il fenomeno della globalizzazione che, per quanto produca evidenti benefici, ha effetti diversi nel vasto panorama internazionale. Naturalmente, gli stati più fragili rimangono esclusi dal commercio, alcune nazioni si isolano, diventando instabili e sempre più povere con perdita progressiva di potere ed evidenti manifestazioni di difficoltà nel controllare i flussi commerciali, movimenti finanziari, comunicazioni e trasferimenti di tecnologia. Ed il tracollo rappresenta anche una malattia contagiosa, quasi un cancro che non si ferma ai confini di uno stato, ma coinvolge paesi limitrofi con un humus favorevole che rende il collasso inevitabile. Le migrazioni di massa per sfuggire dalla miseria di uno stato fallito nascondono anche gruppi di facinorosi tra le fila dei rifugiati. Il Sudan costituisce un efficace esempio avendo " esportato " verso il Ciad e la Repubblica del Centroafrica ribelli che, spesso fomentati e finanziati dallo stesso governo di Khartoum, hanno portato gravi difficoltà negli stati ospitanti.
MINACCIA ALLA SICUREZZA INTERNAZIONALE.
Come ha evidenziato l' ex-presidente Usa Jimmy Carter, i failed states possono diventare rifugio per leaders terroristici e suoi affiliati: terreno fertile per traffico di droga, riciclaggio di denaro, diffusione di malattie infettive, propaganda ideologica, degrado incontrollato dell' ambiente, flusso di masse di rifugiati ed immigrazione clandestina.
Certi gruppi terroristici -Al-Qaeda e movimenti affini- trovano negli stati falliti un involontario complice, sfruttando lo scarso controllo sui territorio per stabilire rifugi, basi operative, connessioni con la criminalità organizzata, traffici illegali, oltre a reclutare adepti tra giovani disperati senza lavoro e con povera educazione, trovando forza e sicurezza all' interno di organinnzioni terroristiche
Il concetto di failed states entra nei concetti strategici elaborati dalle nazioni e dalle organizzazioni internazionali, soprattutto sotto la voce sicurezza. Anche l' Italia fornisce il proprio apporto alle N.U., alla NATO., all' U.E. partecipando ad operazioni di prevenzione e gestione delle crisi per garantire pace, stabilità e legalità internazionali.
Se gli Stati Uniti e I" Europa guardano gli stati falliti come una minaccia per la propria tranquillità, differente è l' atteggiamento di Russia e Cina. La politica estera di Mosca è orientata ad esercitare una certa influenza sui paesi che una volta erano membri dell' Unione Sovietica, assicurando una cintura di sicurezza attorno ai propri confini e quindi nessun impegno per ora nei confronti dei failed states.
Invece, il globo nel suo insieme resta la strategia di Pechino: vede negli stati falliti dei potenziali clienti con cui intrecciare vantaggiosi rapporti soprattutto economici. In forte espansione gli scambi commerciali in Africa: Sudan, Etiopia, Nigeria, Zimbabwe, paesi non proprio paladini dei diritti umani.
CONCLUSIONI.
Quando e come la comunità internazionale dovrebbe intervenire? Ovviamente non esiste una ricetta universale ed ogni situazione merita un' analisi circostanziata ed attenta delle cause, delle forze e degli interessi in gioco. E' necessario intervenire sia per fermare I" emorragia umanitaria e sia per arginare i devastanti fenomeni collaterali che crescono in uno stato non riuscito e che si allargano a macchia d' olio oltre i suoi confini.
Mentre l' Assemblea Generale ed il Consiglio di Sicurezza hanno più volte evidenziato difficoltà interne rallentando il processo decisionale, l' Unione Africana non sembra in grado di assicurare la necessaria stabilità nei paesi dove e intervenuta. Le iniziative dovrebbero partire dalle grandi potenze, Stati Uniti ed Europa in primis. attraverso:
- un supporto alle N.U. come state builder e peacekeeper, con I' invio di personale sotto egida Onu piuttosto che in coalizioni ad hoc;
- una più stretta cooperazione tra organizzazioni regionali, quali NATO., UL., C.A. per evitare inerzia e perdita di tempo prezioso.
Se prima l' attenzione dei Potenti era rivolta a chi accumulava il potere, ora e la sua assenza a preoccupare.
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