31 dicembre 2016

LA RIVISTA DI STUDI POLITICI INTERNAZIONALI

di Antonio Saccà

La Rivista di Studi politici Internazionali, Nuova Serie, fascicolo 331, Luglio-settembre 2016, diretta da Maria Grazia Melchionni, contiene testi ampi su vari argomenti, di interesse generale e di larga visuale. Nel fascicolo uno scritto di Mark Entin e d Ekaterina Entina sull'Eurasia, segnatamente sulla Russia come ponte tra Europa ed Asia, e anche “luogo” di valori spirituali, religiosi, comunitari... Ancora sulla Russia, precisamente dell'Unione Sovietica scrive Roberta Alonzi, considerando la determinazione dell'Unione Sovietica a riconoscere all'Italia, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale un ruolo nel Mediterraneo. Antonio Saccà considera i rapporti internazionali tra Russia, Europa e Stati Uniti, auspicando un riavvicinamento, non solo economico, tra Russia ed Europa e la fine della tensione tra Stati Uniti e Russia che suscita incertezza e rischiosi confronti locali: Ucraina, Siria... Eugenio Campo scrive sull'Accordo di Parigi in merito al clima, Flavio Silvestrini scrive della crisi della democrazia riferendola al realismo cosmopolitico di Kant. Rubriche, recensioni, segnalazioni completano il consistente fascicolo.

La fine del valore/lavoro
Ormai l’ipotesi che Robot, Intelligenza Artificiale, Informatica, e tutto ciò che ne deriva, condizioneranno economia ed esistenza sta diventando un argomento manifestato giornalmente, sebbene pochissimi colgono l'enormità dell'evento. Infatti. Abbiamo una delega delle facoltà umane alle macchine. Questo è l'evento enorme. C'è di mezzo la mente dell'uomo. Dunque non soltanto la fatica corporea ma l'attività mentale. L'uomo delegherà alle macchine l'inventiva. Evidente, non sarà una delega totale, e sarà l'uomo a creare macchine creative. Ma, ecco l'inaudito, saranno macchine creative. Non c'è da dubitare che inserendo in una macchina migliaia e migliaia di parole, poniamo, esigendo una rima, migliaia e migliaia di combinazioni, usciranno versi fantastici, e così per la musica, e così per figure e colori, e la macchina 3D ci ridarà l'arte più estrema. Ecco il punto ancora inesplorato delle innovazioni tecnologiche, le quali vengono reputate esclusivamente o soltanto come forza lavoro. Facciamo delle ipotesi, ormai realistiche. Ipotizziamo l'ottenimento di energia presso che inesauribile con la fusione nucleare, e tutte le altre modalità di avere energia; ipotizziamo le evenienze di ottenere materie prime da altri pianeti, meteoriti, fondi marini; ipotizziamo macchine onnivalenti; che resta da fare all'uomo? Che posto ci sarà per l'uomo? Il valore del lavoro che è da sempre la base del valore delle merci e dello stesso uomo, non sarà più il metro di valutazione. Addirittura: non potremo calcolare l'apporto dell'uomo a seconda della produttività, ridicola convinzione ancora esistente. Si giungerà a quanto un antico mirabile filosofo, Aristotele, affermava duemila e quattrocento anni passati: le macchine sostituiranno gli schiavi; ed un filosofo ed economista moderni prefiguravano, il primo, Nietzsche, certo che l'uomo avrebbe lavorato assi meno, il secondo, Marx, sostenendo che il lavoro sarebbe limitato alla sorveglianza delle macchine ed a premere bottoni. Nel mio testo, del 1983, “Marx contro Marx”, Dino Editore, consideravo questa affermazione di Marx... contro Marx: se non è il lavoro il criterio di valore delle merci, esse non spettano al lavoratore, ed il marxismo distrugge da sé la tesi che il proletariato determina il valore delle merci quindi ha diritto ad appropriarsene, la famosa espropriazione degli espropriatori. Sia che sia, di fatto il lavoro vivo, la forza lavoro, sono sconfitti dal lavoro morto, le macchine: che fine ha il lavoratore? C'è una tesi piuttosto cretina: che creeremo nuove evenienze di occupazione. La opinione ha una dignitosa paternità, fu Emile Durkheim a ritenere che lo stimolo si sopravvivenza esalta il reperimento di nuove attività. Ma Durkheim non assisteva ad una così estesa proliferazione tecnologica. Un’ulteriore convinzione, verosimile, ritiene che assisteremo ad una progressiva diminuzione dell'orario di lavoro. Anch'io sostengo tale opinione, ma con una esiziale nota: vi sarà un punto in cui la diminuzione dell'orario di lavoro cozzerà con il salario. Ale a dire: il capitalista vorrà pagare minimamente il lavoratore a causa della diminuita quantità di lavoro dell'operaio. Ma il capitalista avrà molto profitto essendo aumentata la produttività e essendoci l'impiego maggiore delle macchine. A tal punto l'operaio si troverà sostanzialmente non pagato, e reclamerà maggior salario poiché produce di più anche con minor lavoro. È questo conflitto che metterà fine al capitalismo. Perché; se prevale il capitalista, avremo lavoratori sottopagati ed una società moralizzata; se vincono gli operai avremo un capitale poco soddisfatto; se l capitalista va in fondo con l'uso delle macchine avremo disoccupazione di massa; se impiega stranieri fuorilegge avremo disoccupazione nazionale e sottooccupazione straniera; se si apriranno nuovi mercati, nuovi consumatori, nuove zone produttive il discorso non cambia anche vi sarebbero più sbocchi; se i capitali si spostano dove il lavoro costa meno, alcune nazioni si depaupererebbero; se si cerca di aiutare l'investimento in casa con la detassazione, i Robot esisterebbero comunque. Le vie di uscita sono: remunerare l lavoratore al di là dell'apporto di lavoro orario ma secondo la produttività e produzione il che significherebbe debilitare il profitto, così come sarebbe debilitare il profitto diminuire l'orario di lavoro mantenendo fermi i salari. L'altra alternativa è prendere atto che ormai la produzione dipende dalle macchine massimamente e distribuire alla società la produzione al di sopra del rapporto salario/ quantità di lavoro, e soprattutto considerare l'impresa non fonte di profitto del capitalista ma di occupazione. Tutto questo se riusciamo a penetrare negli effetti irrimediabili per l'occupazione con le nuove tecnologie. Se ci si illude che tutto procederà con armoniche diminuzione dell'orario di lavoro, con nuovi lavori, con nuovi mercati, con la redistribuzione, detassazione, avremo di sicuro forme autoritarie che cercheranno di impedire la rivolta di sottopagati e disoccupati. Una sana corrispondenza tra mezzi di produzione e rapporti di produzione induce a diminuzione di orario ma non di salario, impresa per l'occupazione e non per il profitto. Ma sarà un cammino accidentatissimo. Per salvare il profitto vi saranno marchingegni e violenza. Ma è inevitabile, il profitto cozza con occupazione e provoca disoccupazione e sotto occupazione, ormai la remunerazione del lavoratore non ha rapporto con il lavoro ma con la produzione. Se quest'ultima “novità” viene intesa, tutto si risolverà.
A titolo informativo sintetizzo una ricerca di Citigroup e della McKinsy riguardante le nuove tecnologie, tutte efficaci nel non creare posti di lavoro, ripeto: nel non creare posti di lavoro. Esemplifico, la lista sarebbe sconfinata, ed ovviamente crescerà giorno dopo giorno. La stampante a 3D ci riprodurrà ogni oggetto in modo assolutamente identico; sensori ci avvertiranno dell'arrivo di un mezzo di trasporto, di situazioni dubbie della salute, con Internet mobile saremo connessi ovunque e con chiunque e sempre, con “Internet delle cose” avremo la conoscenza di ciò che occorre, dello stato, poniamo, dei cibi, dei vestiti, da dove vengono, il riconoscimento vocale  insieme al BIG DATA permettono informazioni totali,  i Robot sostituiscono i lavoratori, la stampa a 3D ,accennata, rifarà prodotti artigianali raffinatissimi, con la medicina personalizzata secondo il nostro DNA e la Nanotecnologia possiamo intervenire su zone minime e come è opportuno individualmente, da aggiungere che avremo energia sempre a minor costo in specie con il fotovoltaico, e con i nano materiali e il grafene potremmo avere batterie fenomenali, e, sarebbe sconvolgente, la fusione nucleare... Stupefacente che sia, secondo l'analisi di Citigroup  e McKinsy tutte queste innovazioni eliminano più che generare occupazione… Dal 1970 al 2010 è stato eliminato il 50 per cento di contabili, commessi, segretarie, telefoniste, dattilografe; e, sempre negli Stati Uniti, con i Robot e l'automazione il 30 per cento dei lavoratori delle fabbriche è dissolto. Al dunque, come scrivo da tempo, dovremo inventare formule per dare da vivere a chi non lavora o lavora poco, denaro al di là del lavoro, il ciclo del valore/lavoro è finito o è sul finire.

Il contenuto degli articoli dei collaboratori, esprimono il pensiero degli autori e non necessariamente rappresentano la linea editoriale che rimane autonoma e indipendente.

Nessun commento:

Posta un commento