18 luglio 2016

Da consumatori di pregiudizi, a produttori di visioni aperte e luminose

di Pasqua Teora

A proposito della tendenza di noi umani a produrre pregiudizi per difenderci dall'angoscia che la differenza può ingenerarci, osservo in questa vacanza che sto trascorrendo presso una famiglia giordano-palestinese in Amman, ciò che accade a me che ho il vizio di parlare a me stessa, rimanendo possibilmente aperta al dialogo con gli altri. Un'occasione molto interessante questa poiché nella famiglia osservante c'è anche una presenza laica (che parla italiano) e facilita il dialogo, senza bloccarci di fronte alla tentazione del pregiudizio reciproco. Posso così rendermi conto di quanto l'occidente (io stessa) ignori della cultura islamica e di quanti pregiudizi religiosi e culturali il mio mondo di provenienza abbia avuto bisogno di costruirsi per difendersi... Ma da che cosa?  
Forse sono immagini a priori, pregiudizi storici e al contempo antistorici, come l'idea che musulmani e cristiani non possano convivere e rispettarsi; che una donna che porti il velo si sottometta a qualcosa che intimamente non desideri; che noi donne occidentali siamo più libere di loro e questo per noi sia esclusivamente un vantaggio; che i loro uomini siano più aggressivi dei nostri; che esse non possano stare a contatto con il loro desiderio autentico ecc. ecc. Immagini alimentate da una macchina mass-mediatica potentissima che ci vuol tenere separati tra cristiani e musulmani, ma anche tra uomini e donne e allo stesso tempo legati ad un carrozzone che ci tenga nell'ignoranza, inondati di false informazioni che in realtà sono propaganda. Vengono così gettati secchi di sostanze velenose e ombre nei pozzi profondi per portare in superficie le paure ancestrali e animarne i fantasmi, sempre utili al mantenimento del sistema dominante. 
Mentre condivido convivialità e cibi squisiti con la famiglia musulmana che mi ospita nella vacanza di Pasqua, ripenso alla cosiddetta libertà di sottomettersi cui alcune correnti di pensiero fanno riferimento. È da giorni che cerco di andare un poco più in là e forse, aiutata dalla lontananza, vedo ancora più chiaro quanto in Italia, un paese democratico, ci sottomettiamo più o meno passivamente ad abusi e soprusi, dove, al di là di una flebile protesta civile che serve ancora a troppo poco, non siamo capaci di tirar fuori la forza - come suggeriamo alle donne maltrattate che invece, in nome di qualcosa che è più forte della nostra idea di libertà - sembrano affermare un diritto di autodeterminazione quando, resistendo al maltrattamento e all'abuso, rimangono legate, alle loro famiglie, pur nella quotidiana fatica e relativa infelicità. 
Idealmente, dovremmo impegnarci tutti in un aperto e duro dissenso verso un sistema che, con la paura del peggio, attraversando le nostre singole realtà famigliari, ci tiene in scacco, più o meno chiusi  nella paura del peggio e nel pregiudizio verso tutto ciò che, apparendoci diverso da ciò che riteniamo di essere e di avere, ci fa sentire minacciati.  Dovremmo impegnarci invece nell'essere attivi e consapevoli dei nostri pregiudizi, pur sapendo che i tempi del cambiamento profondo, dove i rapporti di potere sono troppo sbilanciati sono  tempi lunghi.  È ciò che accade in molte famiglie, com’è particolarmente osservabile in ambito clinico, dove, prima che una generazione possa cercare il cambiamento evolutivo, altre (due o tre …) devono faticare parecchio, stando a denti stretti dentro la cosiddetta libertà di sottomettersi e resistere, ancora una volta, per evitare il peggio. Eppure, è sempre da un singolo che, ad un certo punto,  parte  l'irrinunciabile esigenza di lottare, contro l'acquiescenza, l'esigenza di impegnarsi e rischiare per  favorire il movimento verso l'alto che non è mai soltanto per se stessi.
Pregiudizi, paura di prendere posizioni che non stiano nei binari dei benpensanti  e in un attimo ci si ritrova invischiati nei lacci fatti di ombre, a difesa dalla paura di ciò che non si conosce o si ritiene meglio non conoscere. Forse è per non vedere la violenza di sistema dentro la quale, con le ovvie differenze, patiamo tutti. La violenza è potenzialmente in ognuno di noi ed essa, anche in risonanza con la violenza esercitata dalla politica bassa e affaristica, in modo più o meno evidente nutre la nostra meschina passività. L'abuso, l'inganno, il pregiudizio, il terrore, sono alla base dei sistemi di produzione e persuasione che con le buone o le cattive tendono a mantenere lo status quo, generando vantaggi e guadagni incommensurabili, quasi sempre a danno della collettività.
Dunque, attraverso una crescita personale, sarà più probabile uscire dalla nebbia e dall'isolamento che alla lunga può diventare patologia non solo relazionale ed affettiva, anche fisica e spirituale. 
Il cambiamento attraverso la crescita personale e spirituale per andare oltre e sperimentare la vicinanza possibile con se stessi e con gli altri. Trasformazione che potrà diventare anche impegno politico e amministrativo del bene collettivo. 
Dentro e fuori noi stessi, da perpetuatori inconsapevoli di un sistema di oppressione e violenza a cooperatori responsabili e consapevoli, come p.e. fu nella nostra resistenza partigiana: uniti tra forti e fragili, tra intellettuali e gente semplice, tra coraggiosi e timorosi, comunque impegnati a bucare le membrane invisibili che ci tengono tutti separati, impauriti, benché tutti nella stessa brodaglia.
Esercitare insieme la forza per il cambiamento possibile, ch'è solo apparentemente impossibile: insieme, sapendo che non basterà una generazione.

Dal Lago di Tiberiade in Palestina

Arriva la flotta che svolazza a velo d'acqua
son cormorani neri son gabbiani bianchi
sorvolano a semicerchio le onde, è solo
 il vento a frenare quel planare a balzi.
Sono a caccia di pesci, gli uccelli del mare
ma accettano pane. Io penso la pace.


Domenica di Pasqua ad Amman 

Eppure ci vogliono convincere che qui 
è solo di male in peggio 
che qui è tutto solo inganno, 
per questo io non riesco a crederci - 

In fasce, la nuova era sta segnando i suoi vagiti
siamo noi gli enzimi, siamo noi gli inizi, emergeremo? 

C'è movimento circolare ora, poi sarà a spirale. 
Noi che ci crediamo, siamo i suoi abissi 
poi ci sarà fioritura e sarà il tempo già stato: 
io ci credo, in sogno, da lì son partita.

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