di Emilio Asti
Enorme fascia di territorio, dai confini non ben definiti, che si estende dall'Oceano Atlantico al Mar Rosso, separando il deserto del Sahara dalla foresta tropicale, il Sahel, regione etnicamente e linguisticamente multiforme, comprende vari Stati. Questa regione, potenzialmente ricca di risorse naturali, sta affrontando la peggior crisi alimentare degli ultimi dieci anni. La produzione agricola risulta insufficiente rispetto ai fabbisogni della popolazione, costretta a lottare quotidianamente contro la fame. Lunghi periodi di siccità, alternati ad alluvioni, oltre all'invasione di locuste, che devastano le coltivazioni, hanno causato enormi danni; inoltre, diverse aree soffrono un alto tasso di desertificazione e l'accesso all'acqua potabile è molto limitato. Milioni di persone rischiano di morire di malnutrizione, la situazione sanitaria, specialmente nelle zone rurali, è molto grave e diverse malattie, oltre al Covid, aggravate dalla mancanza di cure mediche, continuano a mietere vittime. In tale tragica situazione sono le donne e i bambini a subire i danni peggiori, si registra infatti il tasso di mortalità infantile più elevato al mondo, molto alta è pure la percentuale di analfabetismo. Ampiamente diffuso è il lavoro minorile che coinvolge tantissimi bambini, spesso costretti a lavorare in condizioni disumane.
Un ruolo importante è spesso assunto dalle donne, che sono costrette a provvedere alla famiglia, in quanto molti uomini sono stati uccisi o sono fuggiti. Le statistiche ufficiali non possono rendere l'idea di questa tragica situazione, purtroppo comune a molte zone dell'Africa, in cui si evidenzia l’enorme contrasto tra la miseria della gran maggioranza della popolazione e i pochi abbienti, i quali spesso sprecano le loro ricchezze senza preoccuparsi di coloro che stanno morendo di fame.
Diverse iniziative di aiuto incontrano enormi difficoltà e non riescono a decollare; alcuni progetti, che non hanno tenuto conto di vari fattori, si sono rivelati più dannosi che utili,
Da alcuni anni gruppi terroristici, divisi in varie organizzazioni, legati ad Al Qaeda o all'Isis, si sono insediati in varie parti del Sahel dove possono agire indisturbati, rendendosi spesso protagonisti di attentati e rapimenti, che hanno causato molte vittime. Con la connivenza di alcuni Stati il fondamentalismo islamico ha potuto estendersi e molte zone sono divenute centri operativi di movimenti jihadisti. La popolazione si trova stretta tra le forze governative e gli integralisti islamici, che, contrassegnati da oltranzismo ed animati da un profondo odio nei confronti dei non musulmani e pure dei musulmani moderati, usano la religione come strumento di potere e di oppressione al fine di imporre la propria volontà alle istituzioni, controllando inoltre molte attività economiche. Molti giovani, spinti dalla necessità si sono uniti a questi gruppi, che garantiscono loro almeno il minimo indispensabile per sopravvivere. Continuano a verificarsi gravi episodi di intolleranza nei confronti dei non musulmani e le comunità cristiane rimangono uno dei bersagli dei movimenti islamici radicali. Le cronache registrano molti attacchi contro i cristiani, diversi dei quali soffrono vessazioni, in parecchi casi rapiti ed anche uccisi, oltre alla distruzione di vari edifici di culto cristiani. Non bisogna però confondere le aberrazioni del radicalismo con la religione musulmana, che con la sua forza spirituale e culturale rimane un fattore significativo in tutto il Sahel. Diversi esponenti musulmani, che hanno sofferto attacchi da parte dei fondamentalisti, si sforzano di dare un contributo alla soluzione dei problemi più gravi, cooperando con i cristiani e gli animisti per porre fine ai conflitti.
Marco Aime, docente di antropologia culturale ed autore del saggio “Il grande gioco del Sahel”, in un'intervista di qualche anno fa ha dichiarato: “Il jihadismo saheliano è stato importato nella regione dall'Algeria e dalla Mauritania. Si è sempre presentato come una realtà molto ancorata al territorio, in particolare legandosi alle istanze indipendentiste delle popolazioni nomadi e semi-nomadi del Centro Nord del Mali. A queste, negli ultimi anni, si sono aggiunte le affiliazioni sia con Al-Qaeda sia con il gruppo dello Stato Islamico che, tra l'altro, si combattono tra loro. La situazione per le popolazioni locali è quindi estremamente difficile.”
Il governo del Sudan, diviso tra un Nord islamico e un Sud in maggioranza animista con una notevole percentuale di cristiani, aveva imposto la legge islamica a tutto il Paese. Dopo vari anni di conflitto, il Sud è riuscito ad ottenere l’indipendenza, divenendo il più giovane Stato del mondo, riconosciuto dalla comunità internazionale. Purtroppo, un grave conflitto etnico all’interno del Paese ha cancellato le speranze della popolazione, che si era illusa che, conquistata l’indipendenza, il futuro sarebbe stato migliore, confidando anche nel fatto che il Paese possiede risorse petrolifere e idriche. Tuttora permangono forti controversie con il governo di Khartum, spesso risolte con le armi ed alcune zone rimangono contese tra i due Stati.
Vari problemi affondano le loro radici in epoca coloniale, aggravandosi poi col tempo. Una forte concentrazione di interessi, con l’apparizione di nuovi attori, rende la realtà del Sahel, teatro di rivalità locali ed internazionali, ancora più complessa. I rivolgimenti politici della Libia hanno avuto una notevole ripercussione anche sul Sahel, dove è confluita una gran quantità di armi e miliziani.
Tutti i Paesi di questa regione, che hanno accumulato enormi debiti e si trovano a dipendere dagli aiuti internazionali, lacerati al loro interno da gravi conflitti, sono incapaci di garantire ai loro cittadini i diritti fondamentali e non riescono a controllare il territorio; su diverse zone il potere centrale ha un’autorità solo nominale e, di conseguenza, proliferano traffici illeciti di ogni tipo. I colpi di Stato sono ormai divenuti una consuetudine, comunque la gestione del potere rimane dominata dalla corruzione e da interessi personali, le rivendicazioni popolari sono spesso represse con la violenza.
Ancora diffusa e spesso tollerata dalle autorità è la schiavitù e il rapimento soprattutto di donne e bambini, divenuti oggetto di razzie, per venire usati da gruppi guerriglieri come combattenti o per essere venduti e adibiti ai lavori più rischiosi e pesanti, continua a sussistere. Le denunce di Amnesty International e di altre organizzazioni hanno rivelato molte gravi violazioni dei diritti umani, spesso ignorate nel resto del mondo.
Molto elevato è il numero degli sfollati interni, in quanto molti abitanti divenuti obiettivo di operazioni militari, per sfuggire alle bande armate hanno abbandonato il loro luogo di origine. Molti giovani cercano con ogni mezzo di raggiungere l'Europa, e parecchi di loro sono morti prima di arrivare alla meta desiderata. Masse di profughi e sfollati, che, senza volto né nome, ed abbandonati a se stessi, cercano in qualche modo di sopravvivere. Molti di loro si trovano in campi profughi, dimenticati da tutti. A causa delle molte mine sparse sul territorio molti sono i mutilati.
Dal Sudan è giunta la testimonianza di Padre Renato Sesana, missionario comboniano, che ha denunciato tale situazione. Queste le sue parole: “Quando non usa le bombe e le razzie, l'esercito di Khartum si serve della fame e degli sfollati come armi per decimare le popolazioni del Sud. Ma anche i capi delle varie fazioni sudanesi hanno delle grosse responsabilità nei confronti della loro gente, così come coloro che amministrano il territorio. Uomini corrotti e manipolati che controllano le loro zone con arroganza, imponendo tasse assurde, facendo incetta degli aiuti umanitari, e cercando di taglieggiare le organizzazioni di volontariato e le Chiese”.
A capo di una coalizione internazionale finalizzata a combattere il terrorismo, la Francia ha mantenuto una notevole presenza in questa regione, ma ad agosto di quest’anno gli ultimi soldati francesi della missione Barkhane si sono ritirati dal Mali; comunque, il governo francese pensa di spostare contingenti in Stati vicini e, insieme con forze di altri Paesi, continueranno ad operare nella regione.
In questo contesto non bisogna sottovalutare le mire egemoniche della Cina, la cui presenza in Africa continua ad accrescersi, mirando a mettere le mani sulle ingenti risorse naturali, ancora poco sfruttate, di questa regione, la quale sta subendo una sorta di saccheggio. Un ruolo rilevante inoltre stanno giocando le grandi multinazionali, che qui hanno trovato un vasto serbatoio di risorse a cui attingere.
Anche altri Paesi, tra cui l’Italia, la quale ha sempre partecipato alla Missione delle Nazioni Unite per il Mali e ai programmi della UE per l’addestramento dell’esercito del Mali, hanno accresciuto il proprio interesse a quest’area, dove cercano di svolgere un ruolo maggiore.
Ora nel Sahel è crescente pure l’influenza russa che sta suscitando una certa preoccupazione a livello internazionale. Il governo del Mali ora conta sulla Russia per la lotta al terrorismo e diversi militari russi sono presenti nel Paese. Emanuela Del Re, Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel, nel corso di un’intervista ha affermato: “Osserviamo un modello di influenza russo che si basa sullo sfruttamento delle risorse, poca attenzione allo sviluppo e impiego di società private per garantire la sicurezza, il tutto senza la missione propria di un esercito regolare”.
Un’altra questione aperta è rappresentata dalla volontà d’indipendenza del popolo Tuareg nei cui confronti il governo del Mali aveva adottato misure repressive, alle quali però i Tuareg hanno sempre opposto una forte resistenza. Il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad, organizzazione militare e politica di ispirazione laica, da vari anni in lotta per l’indipendenza del popolo Tuareg, nell’Aprile del 2012 ha proclamato la secessione del territorio settentrionale del Mali, vasta area desertica denominata Azawad, considerata la culla dei Tuareg, le cui istanze di libertà vennero sempre represse con violenza. Le forze di questo movimento indipendentista cercano di mantenere il controllo su questo territorio, purtroppo la lotta dei Tuareg per difendere la propria identità, più volte minacciata, non riceve sufficiente attenzione mediatica e viene trattata dagli organi d’informazione in modo confuso. Un famoso detto Tuareg aiuta a comprendere lo spirito che anima la resistenza di questo popolo che ama la libertà al di sopra di ogni cosa: “Il deserto è vasto come il cielo, se vuoi essere libero come un uccello, allora vivi nel deserto dove non ci sono frontiere e non c’è controllo”.
Finora si è parlato molto del Sahel, ma sarebbe necessario, oltre agli aiuti umanitari, un impegno da parte delle nazioni più importanti, che dovrebbero assumere la funzione di arbitri nei conflitti, dando la preminenza ai bisogni delle popolazioni locali, cercando inoltre di promuovere la guarigione dalle ferite provocate dai tanti conflitti, che pregiudicano lo sviluppo ed impediscono a quelle popolazioni di prendere in mano il proprio destino. La capacità di perdonare appare l’unica via d’uscita dall’odio radicato da tempo, affinché non si ripetano i tragici errori del passato.
Anche se poco conosciuto e spesso molto sottovalutato, il bagaglio culturale dei popoli del Sahel, che, pur non avendo conosciuto la sviluppo industriale, con i loro valori hanno dato un contributo alla civiltà. La vecchia concezione eurocentrica ha ostacolato la conoscenza della cultura di questi popoli, la cui storia è stata spesso presentata in maniera distorta ed incompleta. Purtroppo, generalmente i media tendono a presentare il Sahel solo come una regione di gravi conflitti e carestie, ignorandone molti aspetti importanti.
La loro storia rivela un passato illustre. Gli antichi imperi del Mali, con grandi centri urbani come Timbuktu e Gao, controllavano il commercio su lunghe distanze. Timbuktu, dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, un tempo ospitava circa un centinaio di scuole coraniche. L’antico splendore è ormai un lontano ricordo, tuttavia conserva una parte della ricca eredità culturale del passato; migliaia di preziosi libri antichi conservati sino ad oggi testimoniano la passata grandezza. A Djenné, situata nel Mali meridionale, un tempo città stato indipendente, importante centro di cultura e commerci, ancor oggi si può ammirare la Grande Moschea, costruita con mattoni di fango, il più grande edificio sacro del mondo edificato in questo modo.
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