12 novembre 2022

COLORARE FUORI DAI BORDI

Storia di una scelta, di un lavoro comunitario in Zambia e di fiducia nella società civile

di Diego Cassinelli

T’INVITO AL VIAGGIO 

Tutto parte dalla noia di una vita già impostata, come un villaggio vacanze in cui basta indossare il braccialetto “all inclusive”. Ferie in agosto e settimana bianca a dicembre, grigliata a Pasquetta e per Natale un gesto buono così, tanto per salvare un anno egoista e individualista. 

Mi piaceva il mio lavoro, una vera passione che ancora oggi coltivo. Facevo il pasticciere a Milano a quel tempo, ma anno dopo anno, diventava tutto troppo stretto, soffocante. Mi mancava l’aria. 

Ad un certo punto arriva la domanda esistenziale: possibile che la vita sia solo questa? 

Io, figlio di un paesello che amo - Moncucco di Vernate - nella provincia di Milano, steso sulla pianura a zero metri sul livello del mare, ho sentito la necessità di viaggiare, di aprire gli orizzonti sul mio mondo in miniatura. Una volta avevo letto: se non ami la tua terra, non puoi pensare di amarne un’altra. Credo sia vero. I viaggi mi hanno regalato la consapevolezza che un’altra vita era possibile, un modo semplice, essenziale, più a contatto con la natura umana, con i suoi pro e contro. 

RISCATTO ACCADEMICO 

Arriva il momento del riscatto, dopo un’infanzia passata più per le strade del mio paese che su libri e compiti. Non mi piaceva studiare, e dove non c’è passione non ci sono risultati.

In terza media, prima degli esami, il consiglio dei professori ai miei genitori suonava come una sentenza a vita: “credo che per vostro figlio sia meglio iniziare a lavorare”.

Infatti, io volevo lavorare, volevo fare il pasticcere, un mestiere artigiano scelto prima di frequentare la scuola materna, e così fu. Dopo un corso professionale di due anni è cominciata la mia carriera tra vaniglia, zucchero e farina. 

Il riscatto accademico arrivò dopo un’esperienza di vita in un villaggio sperso nella steppa del Karamoja, in Uganda. Vidi bambini che camminavano per chilometri, sotto il sole, la pioggia e la polvere, solo per raggiungere una scuola senza nemmeno i banchi. 

In quel villaggio, dentro una classe senza finestre, s’intravvedevano delle operazioni matematiche sul pezzo di muro dipinto di nero che faceva da lavagna. Una bambina faceva la punta con le unghie ad una matita cortissima, mentre altri bambini correvano con il quaderno sotto la maglietta a ripararsi dalla pioggia nelle buie come la notte. 

Ho capito che dovevo rimettermi a studiare.  

La consapevolezza mi ha dato la passione di diplomarmi prima e laurearmi dopo con il massimo dei voti.    

IL LUNGO VIAGGIO DELLA SCELTA 

La scelta è un cammino, un viaggio che richiede pazienza, fatica e tanta ricerca. Non è una caduta da cavallo, un improvviso cambio di trotta, almeno nel mio caso non è stato così.  

Viaggi in terre lontane, incontri cercati, studio, e tentativi di trovare la mia felicità nel mondo.

Un percorso cominciato più o meno nel 2000, passando dal volontariato, a free lance, alla vita religiosa e approdata finalmente nel 2013 a Bauleni, uno slum alla periferia di Lusaka, capitale dello Zambia. In questo percorso il tempo condiviso con gli altri, con chi è vittima dell’ingiustizia del mondo, è stata la chiave che mi ha portato a scegliere. Nel mio viaggio lungo una scelta ho incontrato e condiviso un tratto di vita con i senza fissa dimora, ragazze nigeriane vittime di tratta, detenuti in case circondariali e carceri sparsi per il mondo, ex bambini-soldato, anziani chiusi in nuclei Alzheimer, bambini con disabilità in India, insomma con chi non se la passa proprio benissimo. Sono stati loro i miei educatori. 

Lo Zambia, come scelta consapevole, è arrivato solo dopo molte difficoltà, crisi, lavori scomodi di crescita umana ancora in corso, cadute, errori e tanta, tanta passione. Una vita ad imparare a colorare fuori dai bordi. 

LA NASCITA DELL’ ASSOCIAZIONE IN&OUT OF THE GHETTO

Il 12 marzo del 2012 cominciava l’avventura di vita a Bauleni. Finalmente avevo realizzato il sogno di vivere all’interno di una comunità, una “favela” di circa 80.000 persone concentrata in un territorio non più grande del paesello da cui provengo e in cui vivono più o meno 2.000 persone. 

Come tutte le periferie a basso reddito, e ad alta concentrazione di popolazione, Bauleni si trascina dietro tutta una serie di problematiche sociali, quali abuso di droghe e alcol, prostituzione, anche minorile, microcriminalità, violenze di ogni genere e abusi sui minori. Negli ultimi cinque anni, con l’arrivo delle droghe pesanti, un derivato dall’eroina che qui chiamano street heroine, è nato il fenomeno delle baby gang, ovvero gruppi di ragazzi e ragazze (che nel compound chiamano Junkees) sempre più giovani, che spacciano e usano questa droga in forma prevalentemente di crack. Si tratta di eroina tagliata con psicofarmaci scaduti, che in qualche modo escono dall’istituto di salute mentale. L’utilizzo di questo tipo di farmaci garantisce un effetto su chi ne abusa, che varia dal tipo di psicofarmaco utilizzato, rendendo i comportamenti dei ragazzi imprevedibili, a volte assopiti altre più agitati. 

Nonostante queste problematiche, alle quali si aggiungono quello dell’insufficienza di acqua, la totale mancanza di una rete fognaria e una quasi inesistente raccolta e smaltimento di rifiuti, Bauleni è abitata da tantissima energia, creatività e bellezza, e su questo, la in&out of the getto, l’associazione fondata il 29 giugno del 2012 per rispondere ai bisogni della comunità, poggia le sue basi. 

L’APPROCCIO, FILOSOFIA DI VITA E ATTIVITÀ   

La in&out of the ghetto è un’esperienza in continua evoluzione, che affina il proprio approccio grazie all’esperienza di vita e alla relazione a stretto contatto con la gente della comunità. 

Vivere da dentro ha un effetto a doppio senso. Il primo è personale e comunitario insieme e riguarda il processo di consapevolezza e comprensione dei limiti e punti di forza a livello individuale prima e sociale poi. Il secondo è legato alla sfera relazionale altamente stimolata all’interno di un insediamento densamente popolato. Si entra a far parte della quotidianità della gente e aiuta fortemente il processo di appartenenza e integrazione nel tessuto comunitario. 

I punti cardine dell’associazione sono: la sostenibilità, presenza dentro la comunità, e quindi partecipare alla vita della gente, come funerali, feste, meeting e soprattutto esserci nei momenti di difficoltà. 

L’associazione non partecipa a bandi di grandi istituzioni, bensì riceve aiuti da piccoli gruppi formali e non, come privati, associazioni culturali, centri sociali, parrocchie e gruppi sportivi. È una scelta che rende liberi di stare fuori dalla burocrazia e vivere sulla strada con la gente. 

Il contributo dell’associazione alla comunità passa da un centro comunitario aperto nel 2014, lo Steve Biko Social Centre, si svolgono varie attività, come, una scuola materna comunitaria accessibile a tutte le famiglie, uno studio musicale (Africa Sarda Studio), una biblioteca, una sala computer e un laboratorio di arte (Studio 225 room 4). 

La in&out promuove attività sportive, attraverso un football club academy con circa 150 ragazzi e ragazze dai 6 ai 20 anni, che partecipano inoltre a laboratori di educazione ambientale, inclusione sociale e corsi di lettura. Insomma, non solo calcio. 

IL BUSINESS DEGLI AIUTI 

L’acronimo di ONG (Organizzazione Non Governativa) pesa moltissimo sulle spalle della in&out of the getto, proprio per quello che il mondo degli aiuti ha generato o degenerato negli anni. 

Dopo dieci anni di vita all’intero della comunità e di conoscenza del mondo della cooperazione, nasce la voglia e la necessità di cambiare rotta, di abbandonare il modello classico del “professionista del bene”, pagato, anche profumatamente e molte volte staccato dalla gente, per promuovere processi di maturità della società civile a prendersi cura di sé stessa. 

Responsabilizza il singolo a partecipare al bene e allo sviluppo della comunità, a fare la differenza, ad utilizzare sempre di più risorse e fondi locali. Troppi soldi si buttano in progetti ininfluenti decisi a migliaia di chilometri di distanza. I fondi partono dal nord del mondo per ritornarci in varie forme: biglietti aereo, stipendi alti, affitti di case, scuole per i figli e altre voci ancora. Il professionista del bene costa. All’interno della comunità ci sono i problemi, le soluzioni e le risorse per risolverli. 

Serve abbandonare il modello classico (comodo per i pochi), per dare la scena, il protagonismo alla comunità, alla società civile capace di prendersi cura di sé stessa. 

DULCIS IN FUNDO

Oggi vivo da educatore e pasticciere, con la mia famiglia, in una comunità che mi ha accettato, schivando tutte le definizioni che mi vorrebbero inquadrare come cooperante, volontario, expat, missionario laico o operatore umanitario. Sono un uomo che fa il pasticcere per passione e per campare e cerco di dare un contributo, spero positivo, alla comunità in cui vivo. Sono un artigiano immigrato in un paese bellissimo che mi ha dato tanto e a cui sono e sarò grato. 

L’esperienza della in&out of the ghetto è destinata a farsi da parte e lasciare il posto alla società civile, unica titolare del processo di sviluppo e promozione di sé stessa. 

Un altro approccio è necessario e possibile… basta imparare a colorare fuori dai bordi. 

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