Racconto
di Antonio Saccà
Due gocce, due chiazze, una, due, larghe, rosse, sangue color sangue. La fronte piombata al suolo, in quell’attimo che non aveva salvezza, capì che sarebbe caduto di netto, e sentì il colpo, e vide il sangue, suo, una, due gocce, sangue color del sangue, che si allargavano al suolo, pioggia di sangue, il volto bagnato a rivo, e l'occhio, e la guancia. Tentò di alzarsi, un riflesso difensivo spontaneo, le braccia non reggevano il corpo, mani lo afferrarono, lo sollevarono, accennò che niente era accaduto, ma i volti che lo guardavano gli parvero angosciati, timorosi, gli dissero di chiamare soccorso, sì, sì, lo tennero, lo accompagnarono ad una panchina, gli diedero fazzolettini di carta, li osservò, sono puliti disse chi glieli aveva consegnati, si asciugò, e rivide il sangue... pronto, che è accaduto? Ho la fronte spaccata, perdo sangue, dove è accaduto?, lo disse, non fu inteso, ripete, invio l'ambulanza, presto... intorno gente, tutti stranieri, gli davano fazzolettini di carta, si asciugava, sangue nuovo, sangue acceso sangue senza tregua, l'ambulanza non giungeva, richiamò: sanguino, l'ambulanza non arriva, il suo nome, dove sta, lo disse, aspetti, mi metto in contatto, mentre parlava sentì il suono, l'ambulanza si fermò a qualche metro, uno lo prese sottobraccio per accompagnarlo, non voleva farsi reggere, ma era una generosità spontanea, e accettò... Dall'ambulanza uscì un giovane che stupì a scorgere quell'uomo alto sorretto e insanguinato, lo prese anch'egli sottobraccio e lo aiutò a salire.
Nell'ambulanza, come si chiama, che è successo, quanti anni ha, dove abita, che professione, intanto correvano con la sirena scatenata in un ospedale che non gli gradiva, chiese di cambiarlo, ma il giovane e chi guidava dissero che era l'ospedale opportuno. Arrivarono, il giovane lo sostenne, non gradiva sentirsi bisognoso di aiuto, ma era una disposizione affettuosa, e si appoggiò al braccio del giovane. Troppa gente, troppa gente, e una condizione confusa, oppressiva. Andiamo in un altro ospedale, decise il giovane. E attraversano la città , sempre risonanti, verso l'ospedale che preferiva, l'ospedale che conosceva, aveva passato giorni, e la conoscenza del luogo lo confortò, il sangue, scemato, segnava ombrature rosa, attese, il giovane al fianco, doveva consegnare i fogli per l'accettazione, ma altra gente impegnava i riceventi, siedi, disse il giovane, sedette, ma il giovane lo chiamò, entrarono in uno stanzino traboccante di arnesi medici , come si chiama, quanti anni, che è successo, gli consegnano un foglio con un numero, codice giallo, lei è il primo della lista, il giovane lo saluta da lontano, chi sa forse aveva bisogno di un padre, si reca nella sala di attesa, la chiameranno, numero 537, chi telefonava, chi si sbracava nella sedia, chi voleva essere chiamato e ne discuteva animosamente con il vicino, qualcuno steso in barella con i parenti accanto... come faccio a sapere quando è la mia numerazione... verrà chiamato... In bagno, bisognava, e si sarebbe infine visto... nel bagno non vi era specchio... che segni aveva, sarebbero rimasti, il viso malridotto per sempre? Non lo chiamavano, dal corridoio una voce continua: aiuto, debolmente, sfiduciata, come se sapesse di non essere ascoltata. Perché non lo soccorrevano? Andò ad informarsi: quando mi chiameranno? Sono il primo a lista, perché non mi chiamano? Nel salone ogni tanto qualcuno chiamava, dichiarava un numero, sono io gridava il numero chiamato quasi fosse accaduto un evento straordinario. Poi, quando lo chiamarono, gli pulirono la fronte spaccata, terriccio, raschiato dentro a carne, lo iniettarono per salvarlo dalle infezioni, lo cucirono alla fronte, è segmentata, disse il medico, lo incollarono di cerotti, voleva andarsene, no, no, accertamenti alla testa, lunghi corridoi, uno stanzone illuminatissimo, un tubo vuoto, steso su di un lettino, entrò nel tubo vuoto, come il vagone nel rotoli traghetto, pensò, qualche minuto, uscì, doveva tornare ed attendere, dove, in una cameretta vicina a quella nella quale lo avevano ricucito. Attraversò un salone esteso, fitto di persone, uno seminudo e dal gran pancione sulla bocca una maschera per il respiro, qualcuno, non visibile, gridava aiuto fortemente, un disperato comando vano, sedette, lo avrebbero chiamato o lasciato giorni e giorni? Gli avrebbero detto che la sua mente era diventata inutile? Un uomo con la pancia che gli cadeva sulle gambe sedeva di fronte largo a rotoli come una divinità orientale, quando lo chiamarono credette di recarsi al plotone dei fucilatori, cercò di capire prima di sapere, il medico non sorrideva. Poteva andarsene, niente di male. Era scampato. Poteva, voleva ancora vivere. Sulla porta udì un grido violento: aiuto!
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