3 maggio 2013

Anna Politkovskaja icona del giornalismo indipendente

In occasione della celebrazione della Giornata mondiale della Liberta di Stampa, vogliamo ricordare la giornalista che l'autore dell'articolo la definisce nel suo libro: "Una giornalista non rieducabile".


di Andrea Riccardi,
giornalista, autore del libro "Anna è viva, storia di Anna Politkovskaja, una giornalista non rieducabile". 
Sonda editore.
  
La tomba di Anna Politkovskaja al cimitero moscovita di Troekurov è diversa da tutte le altre. La lapide è un foglio bianco, un po' piegato, trafitto da cinque colpi di pistola.
I segni neri che quei colpi lasciano sul marmo simboleggiano una ferita che rimarrà indelebile nella coscienza della Russia, e non solo dei suoi parenti, amici e colleghi che la ricordano. Il suo ricordo è ben presente anche nella scrivania che Anna ha dovuto abbandonare, a soli 48 anni, nella redazione della Novaja Gazeta.

L'ufficio è rimasto come lei lo ha lasciato quel venerdì 6 ottobre 2006, suo ultimo giorno di lavoro. I suoi colleghi non hanno toccato un libro, non hanno spostato un foglio. Hanno aggiunto solo la sua foto, una delle poche dove lei (così severa con gli altri e con sé stessa) sorrideva. Da qualche mese, di fianco alla sua scrivania, hanno aggiunto anche la foto di Natalia Estemirova, sua amica, attivi¬sta per i diritti umani e responsabile dell'organizzazione non governativa Memorial in Cecenia, rapita e assassi¬nata qualche mese fa. Uccisa a colpi di Makarov, la stessa pistola utilizzata per sparare ad Anna, nell'ascensore di casa. La stessa pistola (ai tempi del Baffone in dote alle forze armate sovietiche) che di fatto è una sorta di garanzia di impunità. Non hanno bisogno di cam-biare le leggi in Russia per spegnere la libertà di stampa. Utilizzano un vec¬chio motto brigatista: colpirne uno per educarne cento.
La Politkovskaja doveva rimanere a casa a fare la massaia ha detto (dopo che è stata vilmente assassinata) Ramzan Kadyrov, quel giovane "poli¬tico" che il Cremlino (guidato da tandem Putin-Medvedev) ha scelto per guidare la repubblica cecena. Per lui, la Politkovskaja, l'Estemirova e l'avvo¬cato Markelov (per citare solo tre degli ultimi caduti in questa guerra, mai dichiarata, contro chi difende i diritti umani nella Federazione russa), sogna¬vano un tribunale che lo processasse per crimini contro l'umanità, essendo stato per anni a capo dei tagliatori di gole, delle milizie cecene filo-russe che tutt'ora proteggono la sua vita. E inve¬ce Kadyrov è sempre lì a fare il presi¬dente, a inseguire le gonne delle ragaz¬ze e a vedere le gare di cavalli nel suo ippodromo privato. In Russia, nella finta democrazia putiniana, le elezioni locali sono stare abolite: Kadyrov è presidente della Cecenia per nomina e per volontà di chi guida il Cremlino. Doveva rimanere a casa a fare la mas¬saia, dice Kadyrov, personaggio che la Politkovskaja bollava come un idiota. Eppure quel sabato 7 ottobre, Anna stava proprio facendo la massaia. Anzi, come tante donne di questo mondo maschilista, faceva la massaia dopo aver fatto la mamma e la giornalista. A differenza di Kadyrov, Anna riusciva a fare più cose contemporaneamente. E le faceva tutte bene, come sanno quan¬ti, oltre ad aver letto i suoi stupendi articoli e libri, hanno avuto la fortuna di conoscere i suoi due splendidi figli. Doveva rimanere a casa a fare la mas¬saia, dice quello che molti indicano come il mandante del killer. E questo faceva Anna quel giorno. Aveva fatto la spesa. Ma era troppa da portare in un solo viaggio di ascensore. Quando, ridiscendendo al piano terra, le porte si sono riaperte, la più grande giorna¬lista russa, la principale oppositrice del regime putiniano, ha trovato davanti a sé l'assassino.

Cinque i colpi sparati. L'ultimo quello di grazia. Via Lesnaja a Mosca è in una via semi centrale e molto trafficata. Ma nessuno ha visto l'assassino fuggire. Le telecamere hanno ripreso parte del suo volto. Ma giustizia non è stata fatta. Uno dei paesi con il maggior numero di poliziotti e di agenti dei servizi segreti al mondo non solo non è riuscito a garantire che Anna Politkovskaja, la più coraggiosa giornalista russa, fosse protetta (aveva ricevuto centinaia di minacce). Non ha nemmeno fatto finta di cercare, seriamente, chi l'ha uccisa. Il processo ai suoi presunti killer va a fasi alterne. L'assoluzione in primo grado, il ricorso della procura, le nuove indagini.
Chi l'ha uccisa nel giorno del compleanno di Putin ha voluto mandare un messaggio, un segnale. Niente avviene per caso. In Russia, come da noi. Qualcuno quel messaggio l'avrà capito. A noi rimane il vuoto della sua perdita.
Siamo in milioni, in tutto il mondo, rimpiangere Anna Politkovskaja. Il suo viso, la sua espressione, sono diventati una sorta di icona, un simbolo dell'opposizione, delle donne che non accettano compromessi, che non si fanno spaventare. Donne che i regimi sono costretti a uccidere o a murare in casa come Neda in Iran. O Aung San Suu Kii in Birmania.
I comunisti cinesi invadendo militarmente negli anni Cinquanta il tetto del mondo e schiacciando la cultura tibetana l'hanno involontariamente sparsa in tutto il mondo. Anche quanti hanno ucciso la Politkovskaja hanno fatto male i loro conti. Ora lei è un patrimonio dell'umanità, un santino che tutti i giornalisti veri considerano un modello da seguire e cui ispirarsi. A Mosca come a Milano.

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