Il whisky si beve, l’acqua si contende (Mark Twain)
di Carlo Alberto Tabacchi
E’ fondamentale comprendere e ricordare che non c’è forma di vita senz’acqua. Insieme all’aria e alla luce
del sole, l’acqua resta uno dei tre elementi senza i quali non possiamo sopravvivere. La crisi idrica globale appare raramente sulle prime pagine dei quotidiani: eppure, a causa di essa, ogni giorno milioni e milioni di persone conducono una vita di povertà, insicurezza e vulnerabilità. Le minacce oggi maggiormente avvertite dalla comunità internazionale sono quelle derivanti dal fenomeno del terrorismo, da una conflittualità diffusa in varie parti del globo, dal traffico illecito di armi, droga ed esseri umani. Nel frattempo, la carenza idrica provoca un silenzioso genocidio: ritarda il progresso umano e miete tantissime vittime, più di quante ne faccia la guerra. Quindi, l’accesso all’acqua rappresenta un diritto umano fondamentale: non possono esistere né sicurezza né sviluppo se non è garantito a tutti i membri della comunità internazionale.
La possibilità di entrare in una riserva idrica affidabile consente alla popolazione di potenziare la produttività. Quando le riserve scarseggiano, le relazioni di potere acquisiscono un peso decisivo nel determinare l’accesso all’acqua e l’insicurezza diviene così un fattore di rischio inducendo alla povertà e alla vulnerabilità. Sicurezza idrica significa invece garantire ad ogni individuo l’accesso ad una quantità di acqua sufficiente ad un prezzo abbordabile. L’aumento demografico, lo sviluppo industriale, il cambiamento climatico e l’inquinamento dei corsi d’acqua e dei mari sono solo alcuni dei fattori che determinano la crisi idrica e la sua scarsità aumenta con il passare degli anni a causa dell’eccessivo sfruttamento e dell’inquinamento delle risorse esistenti. Inoltre, il costo elevato delle tecnologie per garantire l’acqua potabile ricade sul prezzo di accesso, creando le premesse per un conflitto sociale allorché tale costo elevato non consenta l’entrata alle fasce più deboli della popolazione. Ciò destabilizza l’equilibrio sociale delle comunità originando forti tensioni e profonde divisioni nelle zone più povere del pianeta, con effetti che si proiettano anche nel medio e lungo termine; non è più solamente un elemento essenziale ma costituisce un fattore geopolitico nella determinazione degli assetti regionali. Il vicepresidente della Banca Mondiale, Ismail Serageldin, già nel 1995, affermava che "se le guerre del ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua". I conflitti armati per questo bene così prezioso costituiscono conflitti regionali in cui si contrappongono culture ed ecosistemi diversi. Da sempre è diventata anche causa di odio e di morte: usata come strumento tattico e strategico ma anche come mezzo di difesa di un territorio, come strumento di pressione e propaganda. Le conseguenze derivanti dalla competizione per l’oro azzurro si manifestano nella violenza che dilaga in numerosi paesi. In molte comunità indigene la collettività della gestione dell’acqua costituiva la chiave della conservazione e della raccolta idrica, assicurando in tale modo sostenibilità ed equità. Nel mondo globalizzato questo bene viene invece considerato proprietà privata e non pubblico: ma il diritto all’acqua è un diritto naturale e dovrebbe essere utilizzato e non posseduto. In quanto risorsa condivisa, tale ricchezza rappresenta un elemento dell’interdipendenza umana: fonte che travalica i confini politici estendendosi oltre le frontiere nazionali. Sin dal Medioevo, si era soliti porre la linea di confine di ciascun paese sulla propria sponda del fiume, così da creare un confine naturale e rendere neutra la parte che separa gli stati. Le acque condivise spesso danno vita a tensioni tra le comunità coinvolte: uno degli aspetti più rilevanti nell’amministrazione di tale bene transfrontaliero resta la sovranità dello stato: la gestione politica delle risorse idriche si tramuta in gestione strategica degli equilibri; la modalità con cui un paese la utilizza, si ripercuote sugli altri paesi, provocando limitazioni sull’altrui disponibilità ed effetti sulla qualità dell’acqua.
Esiste la consapevolezza dell’interdipendenza che unisce i paesi? Il Nilo rappresenta un esempio calzante: il fiume più esteso del pianeta (6650 km), che bagna ben 10 stati africani anche con bacini idrografici (Egitto, Sudan, Eritrea, Etiopia, Uganda, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Burundi e Tanzania) si sviluppa in una complicata zona di tensioni e conflitti per l’acqua. Quindi, il carattere internazionale dei corsi d’acqua costituisce l’aspetto maggiormente critico delle risorse, qualificandosi talvolta come punto di scontro tra frontiere non solo geografiche ma anche politiche e culturali. A riguardo, negli ultimi 50 anni sono stati registrati 37 casi di violenza derivante dal fattore liquido: tra i più noti, il conflitto tra Turchia, Siria ed Iraq bagnati da Tigri ed Eufrate, che da migliaia di anni sostengono l’agricoltura in questi paesi; il conflitto tra Israele e Palestina che vede come fiume conteso il Giordano, sfruttato da Israele, Giordania, Siria e Libano ed altri esempi. Si può dire che buona parte dei contrasti deriva più da una carenza di informazioni e mancanza di fiducia che da divergenze sostanziali. In conclusione, solo politiche unitarie improntate alla gestione comune delle acque possono fare fronte efficacemente all’emergenza idrica ed allontanare lo spettro della guerra legate a tale fenomeno.
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