1 luglio 2007

La Famiglia, vecchio soggetto, nuovo problema

di Giuseppe Calì

Civiltà che fino a pochi decenni fa si sviluppavano quasi indipendentemente con i propri valori, usanze e tradizioni, oggi, nella cosiddetta era della globalizzazione, vengono a coesistere sugli stessi territori geografici, economici e culturali. La storia ci insegna che nel confronto tra civiltà diverse, spesso è la paura (con tutto ciò che ne consegue) a prevalere sullo spirito di integrazione, di collaborazione civile, di dialogo vero e costruttivo. I temi sono tanti: l’economia emergente dell’oriente, le spinte fondamentaliste e nazionalistiche, la crisi culturale e valoriale del blocco occidentale, fino ad arrivare all’Africa con tutta la sua drammaticità e nello stesso tempo il suo desiderio di emergere sulla scena mondiale con una nuova dignità.

A questi temi internazionali si aggiungono quelli che riguardano in particolare l’Italia dove lo scontro, dai temi ideologici, economici e politici si sta spostando oramai sul terreno dei valori più fondamentali dell’esistenza. Prima tra tutti la tematica della famiglia.

Da una parte, a farci quasi ripudiare e addirittura odiare l’istituzione familiare classica, la spinta verso modelli diversi, alternativi persino ai valori antropologici più essenziali e la cronaca che ci inorridisce quotidianamente con episodi di violenza che fino a poco tempo fa avevano riguardato le guerre peggiori e le faide tribali più arretrate, ma che ora coinvolge famiglie cosiddette normali.

Dall’altra il desiderio potente di essere famiglia, non solo con i propri cari, ma anche con i vicini di casa, i colleghi, di estendere il raggio dei propri legami affettivi a comunità intere. Questo per me è stato il senso della manifestazione di Roma a favore della famiglia. Mi hanno fatto riflettere le parole dei giocatori del Milan che, dopo la vittoria nella Coppa dei Campioni, quasi in coro affermavano che il segreto di questa squadra era stato “l’essere una famiglia”. Vero o no, perlomeno questo è il desiderio irremovibile che alberga da sempre nell’animo umano e, in un certo senso, il segreto che sta dietro lo sviluppo delle civiltà.

E la famiglia non è l’unico tema importante. La sicurezza, la convivenza di civiltà e fedi, il futuro dei giovani, l’eutanasia, la pena di morte, per citarne solo alcune. Tutte queste tematiche entrano nelle nostre case con una forza mediatica dirompente, che ci coinvolge e ci lascia spesso senza fiato. C’è bisogno di una riflessione profonda che ci aiuti a trovare il bandolo della matassa ed una nuova speranza. Non basta “resistere”, non si può solo proporre vecchi metodi: è necessario trovare nuove vie, seppure all’interno dei valori fondamentali che restituiscono all’uomo e alla donna la giusta dignità.

Emerge con forza la problematica legata all’identità ed al senso di appartenenza. Quale è la nostra identità oggi? A chi apparteniamo? È sempre più difficile rispondere ed in questa difficoltà intravedo le cause dello squilibrio in cui viviamo. Dovremmo chiederci se ultimamente non abbiamo messo troppa enfasi sull’individuo, le sue libertà, i suoi diritti, i suoi desideri a prescindere dalla direzione in cui lo portano a lungo termine. Se ciò è vero, allora capisco perché ci siamo dimenticati del significato vero di parole come famiglia, comunità, umanità, solidarietà, carità. Ne abbiamo fatto questioni politiche, economiche, conflittuali, privandole della loro magia e direi anche dissacrandole, posto che facevano parte del progetto divino per l’uomo. L’individualismo ha sommerso tutto il resto. Il mio timore è che, quando la società avrà concluso questo processo di “modernizzazione” o “laicizzazione” come vengono, secondo me erroneamente definiti i processi sociali attuali, ciò che rimarrà sarà un insieme di persone che non sapranno come convivere e non avranno più motivazioni autentiche per farlo. Le leggi prima o poi non basteranno più e si arriverà alla guerra.

Io, che credo fortemente in Dio e nell’Uomo – Suo Figlio, sono sicuro che ci fermeremo prima, che presto arriveremo a riflettere più profondamente sul senso della nostra esistenza e sapremo costruire nuove basi. È questa speranza che alimenta il mio ideale di pace e che mi da la forza di lottare per ciò in cui credo.

Quali soluzioni dunque? Cosa possiamo fare? Si possono ipotizzare interventi in tutti i campi, ma io credo che la chiave più efficace sia da individuare nell’educazione dei giovani. È lì la vera linea del fronte, perché è lì dove tutto ha cominciato a rovinarsi ed è lì che la nostra civiltà potrà rinascere. Certo, essendo testimoni della morte per droga di giovani con ancora tante potenzialità da esprimere, professori che scambiano spinelli con i loro studenti e cose anche ben peggiori, come ci è successo ultimamente non è facile sperare in un cambiamento positivo radicale come quello che ci vorrebbe.

Riflettendo sul declino morale della nostra cultura, siamo particolarmente preoccupati da come la mancanza di etica affligga i nostri figli. Abbiamo sperato che le scuole potessero sostenere quella guida morale che le famiglie e le chiese hanno sperato di dare, ma le scuole pubbliche sono oggi ripulite da tutti quegli insegnamenti che derivano dalla tradizione religiosa. Ci sono alcuni insegnanti che cercano personalmente di sopperire a questa mancanza, ma in genere, la scuola, con i suoi amministratori, insegnanti e testi si guardano bene dall’enfatizzare temi religiosi e morali. Alle scuole pubbliche si chiede di fare magie alla Houdini: con la mani legate recuperare un tesoro sommerso da una vasca di acqua torbida. La tendenza oggi è quella di mantenere le istituzioni lontane dalla religione, vista come un ostacolo alla società pluralistica e laica. Questo timore è stato ultimamente al centro del dibattito pubblico, ma mentre noi dibattiamo è come se cercassimo di spegnere un fuocherello davanti a noi, mentre un incendio divampa alle nostre spalle bruciando il futuro dei nostri giovani e della società. Bisogna andare alla radice del problema.

Oggi la droga, la sessualità senza controllo, il consumismo esasperato hanno fatto si che i genitori perdessero quasi completamente l’autorità sui figli. Oggi i ragazzi sono influenzati molto di più dalla televisione, dagli amici, dai fenomeni di massa quali la moda, che dalla propria famiglia.

Possiamo comunque definire in modo preciso la meta dell’educazione: è di guidare l’uomo nella sua dinamica evolutiva attraverso cui egli forma se stesso come “persona”, armata di conoscenza, capacità di giudizio e virtù morali, mentre allo stesso tempo gli trasmette l’eredità spirituale della nazione e della civiltà in cui è coinvolto, preservando così le realizzazioni millenarie delle generazioni. La definizione di Maritain degli scopi dell’educazione, include conoscenza, virtù morali e la trasmissione di valori essenziali per la civiltà.

Considerare le mete dell’educazione ci porta a definire il tipo di persona e la natura della società che vogliamo costruire. Presumibilmente abbiamo bisogno di persone di buon carattere che possano aiutare a costruire un società sana e virtuosa.

Un ideale significativo è necessario per estrarre il meglio della profonda natura morale ed un potenziale mondo di grandi valori. Man mano che la cultura si discosta dalle radici classiche e religiose, tutte le istituzioni, non solo la scuola, si dimenticano dello scopo profondo del creare persone sane ed una società virtuosa. I Dieci Comandamenti diventano così “dieci suggerimenti”.

Il professore Huston Smith, autorità religiosa negli Stati Uniti scrive (“World Religions” 1991): “Dopo migliaia di anni di storia, cosa abbiamo imparato come esseri umani? Le grandi tradizioni ci offrono una quantità di saggezza che abbiamo bisogno di imparare se vogliamo vivere bene. Quali sono le caratteristiche di questa saggezza? Nella dimensione etica il Decalogo riassume la storia di tutte le culture. Dobbiamo evitare l’omicidio, il furto, la menzogna e l’adulterio. Queste sono minime linee guida, ma non sono trascurabili, se ci rendiamo conto di quanto il mondo sarebbe migliore se fossero universalmente rispettate”.

Se la cultura quindi mostra caratteristiche di decadenza morale, la scuola può essere concepita allo scopo di promuovere salute morale. Questo comporta che ognuno ed ogni cosa connessa con gli studenti debba contribuire allo sviluppo di un carattere sano: genitori, insegnanti, studenti stessi, programmi, libri di testo, e tutti gli elementi che possono avere un impatto sulla crescita morale. La meta è che ogni studente, lasciando la scuola, abbia sviluppato un acuto senso delle responsabilità personali e civili. La nostra cultura invece ha fallito nello sfidare gli studenti con ideali di eccellenza accademica e morale. Abbiamo lasciato i nostri figli a rotolarsi nelle sabbie mobili dell’egocentrismo e li abbiamo così “demoralizzati”.

La moderna enfasi sui diritti e la libertà, sull’utilità della felicità ed il suo perseguimento, hanno generato un grande progresso. La modernità fornisce il terreno intellettuale attraverso cui possiamo criticare le società tradizionali che erano repressive, aristocratiche, ostili ai diritti umani condivisi, e troppo indifferenti alla sofferenza umana. Ma questa modernità porta con sé un costo molto alto, perché sminuisce i valori tradizionali e religiosi, quali il senso del dovere, il sacrificio, l’amore e la vita in comunità che sono senza dubbio essenziali al nostro benessere interiore e morale.

L’istituto per i valori educativi della contea di Baltimora, negli Stati Uniti, ha individuato i valori contenuti nella Costituzione Americana che possono servire quale base per una educazione del carattere: Compassione, Gentilezza, Capacità critica, Giusto processo, Pari Opportunità, Libertà di pensiero ed azione, Onestà, Dignità, Integrità, Giustizia, Conoscenza, Lealtà, Obiettività, Ordine, Patriottismo, Consenso razionale, Discussione ragionevole, Rispetto per i diritti altrui, Responsabilità, Responsabilità civile, Sovranità della legge, Auto rispetto, Tolleranza, Verità.

Questi sono valori tramite i quali possiamo valutare l’azione delle nostre istituzioni, che in realtà da questi valori sono nate. Se la nostra civiltà vorrà fare meglio, dobbiamo diventare tutti guardiani del buon carattere che conosce il valore della vita e come proteggere e migliorare le istituzioni create per il bene comune.

Anthony Bryk, Valerie Lee e Peter Holland spiegano che: “La visione convogliata nelle scuole pubbliche è quella di uomo economico: un uomo ed una donna razionali che perseguono i propri interessi, cercando il piacere materiale, guidati verso il successo individuale. In contrasto dovremmo promuovere una visione basata sulla dignità di ogni essere umano e nella responsabilità di ognuno nel costruire la pace, la giustizia ed il benessere comune. Educare deve essere formare la coscienza degli studenti al bene comune e condiviso”. (Catholic schools and the common good 1993)

L’educazione parte da valori largamente condivisi ed in realtà noi li avremmo. L’idea comune è che la scuola sia necessaria per realizzare le mete che la società auspica: preparare le giovani generazioni ad essere cittadini di coscienza, rendere capace ogni persona di apprezzare e contribuire alla cultura, affinare le sensibilità intellettuale ed estetica, rendere pronti per le scelte professionali con cui ci si dovrà confrontare, instillare un senso di responsabilità per gli altri e l’integrità, insegnare come seguire e come guidare gli altri, fornire ai giovani i migliori modelli in ogni campo, incoraggiandoli a dare sempre il meglio di sé.

Le grandi tradizioni religiose, i grandi filosofi, i genitori e gli insegnanti sanno che la consapevolezza e l’autocontrollo sono le basi per le virtù. Il rifiuto dell’insegnamento morale è sintomatico di ciò che non funziona nel nostro sistema educativo. La religione è diventata qualcosa da evitare come un film a luci rosse, mentre i nostri figli assistono a scene di violenza e di sesso nelle case, nei cinema e nelle scuole. Paul Tillich spiega che “ La religione coinvolge le nostre convinzioni più elevate circa la natura della realtà ed è la base sulle quale una cultura si costruisce. La cultura è un’espressione della nostra fede”.

I fondatori della democrazia hanno compreso e sostenuto che i popoli devono governarsi da sé, ma anche che potevano farlo soltanto essendo virtuosi. Se la democrazia economica, la libera impresa, deve essere così centrale nella nostra vita, è necessario che una cornice morale fatta di onestà, fiducia, integrità e tutte le virtù conseguenti, siano la vera guida verso il suo successo.

Cosa richiede la democrazia? Un comportamento responsabile, compassionevole, giusto, onorevole, così che possiamo godere della libertà per tutti. Soltanto così possiamo realizzare una società equilibrata tra diritti dell’individuo e bene comune.

Se consideriamo per esempio anche soltanto uno di questi valori, il rispetto, quale principio più di questo rafforza il sistema politico, economico e sociale e quindi la democrazia in sé? Eppure è un valore che deriva dalla comprensione che ogni uomo è creato ad immagine di Dio ed ha un unico ed infinito valore. Non esiste nessun altro sistema ideologico che possa rafforzare la democrazia più di quello religioso. Sturzo disse: “La democrazia o è cristiana o non lo è”.

Penso, concludendo, che sia arrivato il momento di guardare più seriamente a ciò in cui crediamo e promuoviamo e come questo possa nutrire o debilitare i nostri giovani e così il futuro della nostra cultura democratica. Nelle nostre vite personali, così come nelle pubbliche istituzioni, abbiamo la possibilità di realizzare qualcosa di degno se abbiamo una visione degna a cui dedicarci. Ogni società deve essere basata sull’ideale che gli esseri umani sono legati da uno standard interiore, stabilito nel loro animo e dalla legge del bene supremo che lega l’uomo all’intero universo.

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