1 luglio 2007

Delegazione Israeliana a Bergamo


BERGAMO (gam) Tre importanti personaggi del mondo politico e culturale hanno fatto tappa, durantequesto “tour”, anche a Bergamo, accolti da alcuni rappresentanti della sezione orobica dell’UPF. Così abbiamo potuto intervistare Shuki Y. Ben Ami, ebreo, insegnante universitario di comunicazione di massa ed educazione civica presso il Mitchell College e di ebreo moderno presso la facoltà di teologia dell’Università di Treviri in Germania. Inoltre insegna teologia cristiana e cristianesimo primitivo presso l’Emil Frank Istitute di Gerusalemme. Nella delegazione poi c’era l’onorevole Talab El Sana, di religione islamica, presidente del gruppo parlamentare di centrosinistra Ram’am-Ta’, al suo quinto mandato è stato anche presidente di varie commissioni parlamentari. Infine Hod Ben Zvi, anche lui ebreo, ricercatore presso l’Istituto per l’innovazione nell’educazione all’Università ebraica di Gerusalemme e segretario generale dell’UPF Israele. Tre personaggi che vivono da vicino la drammatica situazione di Israele e Palestina. Abbiamo iniziato la nostra intervista con El Sana, del gruppo di centrosinistra Ra’ am-Ta’, attualmente all’opposizione nel parlamento israeliano. “Il nostro partito – ci ha spiegato – è una formazione che si batte per la pace e per l’uguaglianza.
La nostra linea nei confronti del governo non è dura. Sui temi dei trattati di pace quando Sharon ritirò i coloni di Gaza, pur essendo all’opposizione abbiamo sostenuto la sua politica. Per quanto riguarda la pace oggi in Israele e Palestina la situazione è molto difficile, Olmert si trova in grande difficoltà. Comunque i negoziati di pace dipendono solo dal Governo. Pur sostenendo la pace noi come partito di opposizione non possiamo influire sull’agenda di Governo. Siamo anche andati in Siria per dialogare con le autorità siriane, per avanzare delle proposte di trattativa con quelle israeliane. In pratica cercare di portare avanti un processo di pace tra Siria e Israele”. Una dimostrazione di come la volontà sia comunque importante e di come non si debba smettere di lavorare per superare i contrasti tra i popoli. Quindi abbiamo domandato a Hod Ben Zvi come è possibile costruire una cultura di pace. “Il dramma che percepiamo – ci ha risposto – è che sia i giovani israeliani che quelli palestinesi stanno perdendo la speranza di una soluzione pacifica. L’unica soluzione possibile che appare a loro è quella dello scontro armato. I giovani non credono più nella soluzione pacifica. A meno che il lavoro che noi stiamo facendo aiuti a portare delle testimonianze di pace. Proporrei degli incontri tra studenti israeliani, palestinesi e anche italiani qui in Italia e, viceversa, in Israele e Palestina” Un interscambio che permetta a giovani di diversa nazionalità di parlare, di confrontarsi. Solo con il civile confronto e la forza della parola si può cominciare a costruire la pace. Su come costruire appunto la pace ne abbiamo discusso infine con Shuki Y. Ben Ami. “Per cambiare rotta – ha evidenziato – occorre o una rivoluzione oppure puntare sull’educazione. Noi preferiamo educare i giovani alla pace. L’educazione deve iniziare fin da subito, addirittura fin dalla scuola materna, quando si è più piccoli. Chiediamo anche aiuto e sostegno alle istituzioni italiane per portare avanti l’educazione alla pace. Serve in pratica un ponte, un interscambio tra studenti israeliani, palestinesi e italiani. L’Italia del resto potrebbe essere un ottimo interlocutore per la pace, perché la vostra nazione è amata sia dagli israeliani che dai palestinesi”. Ben Ami comunque non nasconde le difficoltà di tale processo e sottolinea come l’aspetto religioso sia tra le cause dell’attuale scontro. “Lo scontro in atto in medioriente – ha continuato – ha radici religiose. Noi chiediamo che le diverse religioni siano un modo per realizzare la pace. Islam, ebraismo e cristianesimo devono svolgere un ruolo fondamentale per la pace” Anche Ben Ami punta sui “gemellaggi” tra Italia e Israele-Palestina. Nel concreto si tratterebbe di organizzare delle iniziative culturali, sociali ma anche sportive per unire gli studenti dei tre paesi. Magari anche con delle squadre di calcio, composte rispettivamente da ebrei, palestinesi e italiani, che possano giocare su un campo di calcio e non scontrarsi su un campo di battaglia.

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