1 luglio 2007

Una Teologia di Pace

Fede alla ricerca della comprensione

di Clinton Bennet

Innanzi tutto, cosa intendiamo dire quando parliamo di teologia di pace? La teologia può essere definita come “fede alla ricerca della comprensione”. Essa ha origine dalla fede in Dio o da una realtà prima, sovraumana, che creò l’universo e che continua a sostenere la vita. Dio può anche essere descritto come un “essere non contingente”, vale a dire che mentre ogni cosa nell’universo dipende da Dio per la sua esistenza, l’esistenza di Dio è totalmente auto-sostenuta. Gli indù guardano all’universo come un’emanazione dell’Assoluto piuttosto che una realtà distinta creata nel tempo, e che l’universo dipenda quindi ancora dall’Assoluto per la sua esistenza. Letteralmente la teologia è conoscenza (logos) su Dio (theos). Perciò una domanda fondamentale è da dove arriva questa conoscenza e come può essere valutata la sua veridicità.

La teologia ha tradizionalmente riconosciuto due sorgenti di conoscenza. Per prima cosa riconosce le Scritture che Dio rivela o comunica all’umanità. Secondo riconosce la presenza di Dio all’interno della creazione, che si esprime attraverso la natura così come attraverso gli uomini e le donne di grande interiorità e realizzazione spirituale. Se la prima sorgente è identificata con la rivelazione, la seconda è spesso identificata con la ragione. La rivelazione può essere compresa come l’aprire il sipario su Dio. Tuttavia è Dio, non l’uomo, che apre il sipario permettendoci di vedere abbastanza della sua realtà per comprenderne la natura ma non per vederlo nella sua pienezza. La mente umana non è in grado di afferrare la totale realtà di chi è Dio.

Il dibattito sulla relazione fra rivelazione e ragione, e chi ha la priorità, ha impegnato pensatori di molte tradizioni religiose. Quasi tutti i pensieri teologici fra le religioni mondiali danno la priorità alla rivelazione. La teologia è considerata generalmente come una disciplina confessionale, vale a dire che essa ritiene che qualcosa chiamata “fede” esiste, che c’è un Dio, e che il ruolo della teologia è portare più luce sullo scopo di Dio per l’umanità. In questo senso essa non proclama un neutralità nei confronti della religione, a differenza dei sociologi e degli psicologi della religione che non sostengono nessun particolare punto di vista riguardo a se ci sia o no una realtà divina dietro la religione o se la religione contenga o meno delle verità. Essi studiano semplicemente come la religione funziona nella società o all’interno della psiche umana. I teologi possono offrire argomentazioni a sostegno della razionalità della fede in Dio, ma sono soprattutto interessati a aiutare coloro che già hanno una fede religiosa nello sviluppo della loro comprensione di quella fede e nel discernere gli scopi di Dio per la loro vita e per l’intera umanità.

Teologia pratica

Può sembrare che la teologia abbia poco a che fare con la realtà , con le sfide, le gioie, le delusioni, il dolore, le speranze e le paure della vita reale, può sembrare che si ponga domande per le quali nessuno sta cercando risposte. Tuttavia, ciò che noi chiamiamo teologia pratica o alle volte teologia applicata, cerca di trattare questioni e domande con cui si confrontano le persone di fede nel mondo reale. Il primo tipo di teologia coinvolge studiosi che parlano ad altri studiosi; il secondo tipo riguarda il superamento della divisione fra il pensiero accademico e i credenti che si inginocchiano nei banchi di una chiesa o pregano nelle moschee e nei templi.

Una teologia di pace potrebbe essere astratta, idealistica ed accademica o potrebbe essere pratica, applicata e realistica. Dal mio punto di vista una teologia di pace ha bisogno di essere pratica se deve rivolgersi alle sfide e alle problematiche reali a cui vanno incontro i portatori di pace.

Una teologia di pace, se dev’essere di una qualche utilità, non può permettersi di essere troppo pia, affermando senza prove, ad esempio, l’utilità della religione nel processo di pace. Le persone di fede che ignorano l’accusa secondo cui la religione è una delle principali cause di guerra rischiano che la loro voce sia a sua volta ignorata se non sanno rispondere a questa accusa. Avendo analizzato i conflitti in cui la religione ha un ovvia presenza – specialmente Irlanda de Nord, Bosnia e Israele-Palestina, io ritengo che la religione non ha causato nessuno di questi conflitti, ma è stata chiamata in causa per continuare a fomentare le ostilità. Tutti questi tre casi hanno alle loro radici rivalità nazionalistiche e ingiustizie. Tuttavia, anche se la religione non è una delle cause principali o dirette del conflitto, deve comunque rispondere a qualcosa se è così facilmente chiamata in causa per alimentare odio e violenza.

Parlando di religione qui mi riferisco non a una singola religione, quale la mia stessa religione cristiana, ma piuttosto alle aspirazioni religiose della società. C’è una richiesta crescente di estendere la teologia oltre gli stretti confini di una religione per andare verso un coinvolgimento dell’eredità religiosa di tutti gli uomini. Se la pace mondiale comporta il riconoscimento del valore e della dignità e del diritto alla libertà e giustizia di tutti, una teologia di pace deve indirizzarsi a tutta l’umanità. Solo una teologia che includa tutte le fedi che alimentano la vita degli uomini può attendersi un’attenzione universale.

Il problema delle storie di violenza

I miei fratelli cristiani sono spesso colpevoli di ipocrisia sull’argomento della violenza quando puntano il dito contro altre religioni non riconoscendo che anche noi abbiamo una storia violenta. I cristiani furono un gruppo illegale e perseguitato fino alla conversione di Costantino I (288-337) che sostenne e rafforzò la chiesa. Prima di Costantino, molti se non tutti i cristiani erano pacifisti, seguaci di un maestro che aveva chiamato beati i portatori di pace. (Matt. 5-9). Essi rifiutavano di combattere. Dopo Costantino fu avanzata la richiesta di un unico credo per la chiesa di modo che potesse servire come unica religione per l’impero sotto la guida dell’imperatore. In breve coloro che non erano d’accordo con la dottrina ufficiale, si trovarono esiliati, privati delle loro cariche o persino condannati a morte. La chiesa sviluppò presto la teoria della guerra giusta che rese la guerra accettabile come strumento dello stato verso il quale la chiesa era non solo alleata, ma servile. La teoria della giusta guerra emerge negli scritti di Ambrogio (340-397) e Agostino (354-430). Ambrogio era stato un ufficiale romano. In seguito, durante le crociate, la chiesa si spinse oltre e benedì la guerra come un fatto positivo, gli infedeli vennero trucidati e i loro beni requisiti dalla chiesa stessa. Fu stabilito l’ordine militare.

L’evangelizzazione cristiana è stata generalmente pacifica in tutta la storia. Tuttavia i cristiani hanno usato anche violenza per imporre la fede. In numerose occasioni gli ebrei si trovarono di fronte alla scelta fra conversione o morte. Molti scelsero la morte, procurandosela spesso con le proprie mani (per esempio in Spagna nel 1391). Re Olaf di Norvegia usò “ogni arma: adulazione, inganno, persuasione e, quando tutte queste fallivano, pura sopraffazione” per convertire il suo popolo. “In molti casi” dice Neill, quando le persone “comprendevano che il re era pronto a conficcare la sua religione giù nelle loro gole con la punta della sua spada, vedevano la ragione”. Dopo tutto Gesù aveva detto a Pietro di riporre la spada, non di buttarla via ed egli disse anche “Non son venuto a portare la pace, ma la spada” (Lc. 12:51). Il pacifico Gesù divenne anche violento quando rovesciò i tavoli dei mercanti nel tempio.

Scritture violente

Il problema delle scritture è così serio che una teologia di pace che fallisse nel confrontarsi al riguardo sarebbe fondamentalmente inadeguata. Lo storico delle religioni Jack Nelson Pallmeyer pensa che la soluzione al problema delle scritture violente è guardare alle scritture come scritti umani. Perciò uomini violenti, facendo Dio a loro immagine, hanno convenzionalmente dipinto Dio come un Essere che approva la violenza contro i loro nemici. Il problema è che milioni di hindù, ebrei, cristiani e musulmani non credono che le loro scritture sono frutto dell’uomo, ma sono rivelazioni divine. Un altro problema a questo riguardo è che esso lascia aperta la possibilità che tutto ciò che diciamo riguardo a Dio è concepito umanamente, che tutta la teologia è un discorso umano. La rivelazione, da una prospettiva teologica, ci fornisce una verità divina riguardo a Dio che ci può guidare nel determinare se quello che deduciamo riguardo a Dio, fondandoci sulla ragione e sulla natura, è vero o falso.

Spesso i cristiani proclamano che il Cristianesimo è una religione di pace, e lo confrontano con l’Islam, visto come una religione della spada. Tuttavia i cristiani hanno una storia di guerre religiose le cui radici possono già rintracciarsi al tempo dell’imperatore Costantino (288-337). Durante le crociate la chiesa andò oltre e benedì la guerra contro gli infedeli come un fatto positivo e in numerose occasioni costrinse alla conversione sotto la minaccia di morte. Da parte loro i musulmani non negano che la guerra fu usata per espandere il territorio islamico. Giusto o sbagliato, si credette che la guerra era necessaria a far progredire la volontà di Dio. I musulmani negano comunque che le persone siano state convertite con la forza, facendo una distinzione fra l’espansione territoriale e lo sviluppo dell’Islam come fede. Naturalmente i re e i dominatori cristiani hanno anch’essi acquisito degli imperi a volte con la benedizione papale.

Recentemente, tuttavia, l’Islam è stato associato così tanto con la guerra e con il terrorismo che per molti osservatori il terrorismo ha assunto una faccia islamica. Tuttavia atti di terrorismo sono portati avanti anche dai cristiani nell’Irlanda del Nord e in Spagna e dagli hindu nello Sri Lanka. Perciò i musulmani non sono le sole persone religiose ad essere coinvolte nel terrorismo. Guardando a questi attacchi forse una differenza significativa è che alcuni terroristi musulmani giustificano i loro atti citando le scritture. Almeno due versi coranici, 9:5 e 9:29 sono ampiamente citati per giustificare la violenza intenzionale e indiscriminata. Sfortunatamente molti altri versi, quali 2:217 e 22:39-40, che non si possono interpretare in questo modo, sono menzionati raramente.

La violenza, che sia stata perpetrata dai cristiani, dai musulmani, dagli ebrei, dagli hindu, dai buddisti o comunque anche da chi non professi nessuna fede, ha rappresentato una piaga sull’esistenza umana. Che le persone religiose siano state colpevoli di violenza e inumanità sottolinea semplicemente l’universale fallibilità umana e non discredita gli ideali religiosi di pace, porta solo testimonianza dei limiti umani nel confrontarsi con questi ideali.

Il principio della pace

La mia percezione è che la Bibbia, il Corano e in effetti tutte le Scritture contengono un principio più elevato, il principio della pace. E questa è la preoccupazione finale di queste Scritture. Nessun passaggio descrive lo scopo finale di Dio come un mondo di guerra, di conflitto e di ingiustizia. Quando parlano del futuro che Dio desidera per il mondo, le Scritture esaltano la pace. La descrizione della fine dei tempi nella Bibbia ebraica contiene le famose parole che affermano che le spade saranno trasformate in aratri e le lance in falci (Is. 11:6-9; Mic. 4:3), mentre il Corano descrive l’Islam come il “mattone della pace” e i musulmani come coloro che fanno ciò che è giusto e si astengono da ciò che è sbagliato (10:25; 3:110). Poiché l’umanità abbraccia la pace e la riconciliazione di tutte le cose di Dio, la creazione sarà restaurata alla sua originale perfezione.

Il più alto principio di pace che è senza dubbio la meta finale dello scopo di Dio presentato dalle Scritture corrisponde a ciò che molte persone credono sia la condizione ideale per la vita dell’uomo. Anche la religione cinese vede la stabilità e l’unità come l’ideale più elevato. Nel Confucianesimo: “alla fine la vittoria senza spargimento di sangue è l’abilità più grande” (Thompson, 124). Le nostre coscienze, che hanno collettivamente ispirato documenti quali la Carta delle Nazioni Unite, attestano che la pace è il principio più alto.

Tuttavia ci sono voluti molti secoli per arrivare alla nostra comprensione contemporanea della pace. Anche nei tempi antichi esistevano nozioni di pace, tuttavia la pace era acquisita da un gruppo che dominava gli altri. La Pax Romana e persino la più recente Pax Britannica fu imposta con la forza. A differenza della pace come intesa nella Carta delle Nazioni Unite, la loro “pace” non includeva il sostegno ai fondamentali diritti umani, la dignità e il valore di ogni persona, la parità dei diritti fra uomini e donne o la promozione del progresso sociale, e migliori standard di “vita in una libertà più grande.” Tali libertà non esistevano e molte persone si sentivano oppresse.

Recenti affermazioni sul significato della pace globale come il ‘Commitment to Global Peace firmato da leaders spirituali e religiosi di tutto il mondo al Summit del millennio patrocinato dalle Nazioni Unite nell’Agosto del 2000, ha esteso il concetto di pace per abbracciare l’ambiente naturale, chiamando i governi e tutte le persone di buona volontà a collaborare nel prendersi cura “del sistema ecologico della terra e di tutte le forme di vita.” La pace nel suo senso più pieno coinvolge la riscoperta della dimensione spirituale della vita umana e planetaria. Pace significa che l’umanità lavora insieme - e non contro - la Terra e il Creatore della Terra per sostenere e nutrire e non per danneggiare e distruggere. La pace comporta la scoperta dell’unità essenziale dell’umanità.

La verità più grande, che non siamo separati, ma siamo parte della Terra è stata per lungo tempo l’insegnamento delle religioni tradizionali, ma è stata molto ignorata a causa dell’avidità degli uomini e delle donne. Troppo spesso i cristiani hanno considerato la Terra come una risorsa limitata perché alla fine sarà distrutta. Il principio più elevato afferma che la terra, una volta restaurata,continuerà a fiorire.

La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite afferma che lo sradicamento della povertà è una condizione della vera pace. La comprensione olistica di pace è in sintonia con la meta delle Scritture ma non si può dire che sia stata messa molto in atto nel corso della storia umana, che ha piuttosto visto la pace come un’assenza di guerra conquistata da un dominio militare o da un potere politico. Questa visione più grande di pace è contenuta nelle Scritture, ma ci sono voluti secoli prima che l’umanità comprendesse la visione biblica e coranica.

La Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sono, a mio parere, fra i più nobili documenti finora scritti dalla mano dell’uomo. L’idea che qualcosa, che possiamo definire coscienza umana collettiva, si sia evoluta, è derivata, naturalmente, da G.W. F. Hegel (1770-1831) così com’è nel concetto di Francis Fukuyama della “fine della storia”. Fukuyama fa rilevare che sfortunatamente il pregiudizio contro Hegel causato dalla stretta associazione fra Hegel e il Marxismo (altri aggiungono il totalitarismo del 20° secolo) non fa vedere alle persone l’importanza del suo pensiero. Fukuyama sostiene che la democrazia liberale rappresenta il vertice della conquista umana nella sfera politica e alla fine trionferà. Questo trionfo, egli crede, può darsi che non porti la fine di tutti i conflitti; tuttavia è verosimile la loro diminuzione e le relazioni internazionali si occuperanno di: “risolvere problemi tecnici, preoccupazioni ambientali e soddisfare specialistiche richieste dei consumatori”.

Il principio più elevato testimoniato dalle Scritture corrisponde pertanto ad aspetti del pensiero contemporaneo. Gli sviluppi nel mondo materiale, in questa visione, sono portati da un precedente sviluppo nel regno della consapevolezza e delle idee. In questo contesto la democrazia liberale non dovrebbe essere confusa con il lassismo morale o la permissività prevalente nella società occidentale; piuttosto essa si riferisce a quelle società che permettono il governo del popolo da parte del popolo e per il popolo; che permettono il libero scambio e la collaborazione con altre democrazie per un comune beneficio.

Il rispetto di Dio per la sua creazione

Lavorando con materiale umano e rispettando la libertà umana, Dio sceglie di lavorare con l’umanità per quello che l’umanità è realmente. Dio entra nella storia intervenendo nella vita di coloro che sceglie. In un mondo di violenza, Dio deve trattare con la violenza. Fino a che l’umanità non era pronta ad accettare la verità di un principio più elevato, un principio inferiore, quello di guerra come un bene condizionato, era necessario. Anche se accettiamo di non poter comprendere pienamente gli scopi imperscrutabili di Dio, potremmo accettare che se Dio ha approvato le guerre, queste erano necessarie come parte del piano di Dio, che crediamo sia il bene definitivo.

La guerra non potrà mai essere il bene più grande. I cristiani e i musulmani e gli ebrei, gli hindu e gli altri che hanno cercato di giustificare la violenza in termini religiosi si sono, molto semplicemente, sbagliati. Come dice Thompson, persino dei capi buddisti sono stati sanguinari quanto i loro vicini hindu e diversi gruppi buddisti “si sono conquistati e trucidati fra loro.” Un’umanità matura bandirà la guerra mettendola nel museo degli errori umani e abbraccerà la non violenza come l’unico mezzo per riconciliare le differenze. La guerra porta vincitori e vinti e i vinti inevitabilmente vivono con risentimento la loro sconfitta e attendono l’opportunità di vendicarla. La violenza richiama sempre maggior violenza. Quando la non-violenza diventerà la norma della strategia per la risoluzione dei conflitti, l’umanità comincerà ad assumersi la responsabilità di restaurare il mondo alla sua perfezione originale che è la meta della storia.

Come potrebbe essere il futuro

Questa teologia è pratica perché il mondo che immagina può essere raggiunto e potrebbe essere prefigurato politicamente dalle democrazie liberali di Fukuyama. Le democrazie liberali praticano il libero commercio con le altre democrazie liberali; quando fornitori e consumatori si fideranno gli uni degli altri, proteggeranno gli interessi reciproci. Ciò che desidero per me diventerà ciò che desidero per il mio fornitore o il mio compratore: una casa dignitosa, un lavoro significativo, del cibo da mangiare, la possibilità di accedere all’istruzione e alle cure mediche. Anche una devoluzione del governo verso il basso fino alle comunità locali, per confrontarsi con le questioni dello standard di vita e verso l’alto fino a federazione mondiale che tratti questioni globali come l’ambiente e il mantenimento della pace, cambierebbe il modo in cui il mondo lavora. Le comunità locali autonome avrebbero molti vantaggi: consisterebbero di persone che si conoscono fra di loro e potrebbero stabilire alleanze con comunità simili andando oltre le tradizionali barriere nazionali. Inoltre, con la devoluzione del potere, gli interessi egoistici giocherebbero un ruolo meno significativo di quanto non avvenga nelle politiche nazionali.

Società più localizzate diventeranno più coscienti della realtà dell’interdipendenza umana, della verità che se viviamo più semplicemente, consumando meno, altri potrebbero essere in grado semplicemente di vivere. Come disse Ghandi: “In questo mondo c’è a sufficienza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di tutti.” Le persone comprenderanno che non hanno bisogno di tutti gli oggetti materiali che la propaganda commerciale offre loro, che mangiare meno è più salutare, che la vita umana non è solo esistenza fisica, ma ha anche una dimensione spirituale. E’ qui che le percezioni religiose possono guadagnare un nuovo ascolto.

La cultura materiale che attualmente domina e divide il mondo è anche una cultura individualistica. Essa mette “me” e “i miei desideri” al centro a spese degli altri. Il potere di grandi corporazioni che pongono il profitto al di sopra della moralità verrà dissipato quando le comunità locali sceglieranno di assumere una posizione morale contro il materialismo rampante e i valori permissivi che denigrano l’impegno e il rispetto per se stessi.

La centralità delle unità familiari, onorate dalla grande maggioranza, se non da tutte le religioni, potrebbe essere riaffermata quando le persone comprenderanno il vantaggio di vivere in comunità dove esistono condivisione e cura reciproca piuttosto che in realtà isolate che accumulano sempre più oggetti per un uso egoistico personale. La consapevolezza spirituale può incoraggiare le persone a rivolgersi alle religioni come posti in cui c’è tradizionalmente la saggezza spirituale. Salendo su un più alto livello di esistenza possiamo anche diventare ricettivi alle nuove verità riguardanti l’umanità e alla relazione dell’uomo con Dio. Specialmente la religione cinese vede il bene comune come una preoccupazione centrale e considera la famiglia come un microcosmo della società.

Il libero flusso di capitali metterebbe in grado chiunque di comprare i servizi di cui ha bisogno e le grandi differenze economiche fra le nazioni si auto-regolerebbero verso una più equa distribuzione del capitale. Un tale ordine mondiale potrebbe ridurre il ruolo dominante della nazione-stato; anche la religione, avendo portato unità fra l’uomo e Dio, vedrebbe ridotta la sua influenza. Questo è ciò che intendono alcune religioni quando affermano che Dio, in futuro, dimorerà con noi. Se Dio dimora con noi, il ruolo della religione come mediatore fra noi e Dio diventa superfluo. Coloro che pensano che dovremo passare attraverso terribili battaglie prima che questo tipo di mondo diventi realtà tendono a credere che “il nuovo cielo e la nuova terra” saranno una creazione diversa, spirituale e probabilmente non materiale. Solo l’intervento divino può creare questa realtà.

La descrizione del mondo come una confederazione di molte comunità locali in cui persone di razze e fedi differenti collaborano in unità autonome assicurando così l’appagamento di tutti i bisogni basilari e dove vi sia anche una reale opportunità per le persone di fiorire intellettualmente, spiritualmente e culturalmente, io credo che possa essere costruita dalle mani dell’uomo. La Bibbia raramente, se non mai, predice eventi reali. Il nostro futuro non segue un piano inevitabile, ma dipende dall’andamento della collaborazione Dio-uomo; perciò vi sono diverse possibilità, non una sola. Il futuro potrebbe essere violento, se questo è ciò che scegliamo, ma può essere pacifico se accettiamo la nostra collaborazione con Dio che si aspetta che noi ci assumiamo le nostre responsabilità. La perfezione di Dio, come quella dell’universo, dipende da quanto noi permettiamo a Dio di realizzare il suo pieno potenziale. Nel crearci Dio prese il rischio che noi potessimo ribellarci a Lui. La perfezione di Dio che svuota se stesso è il potere divino, non la realtà divina; la completa realizzazione della realtà divina dipende dalla nostra collaborazione. Fino ad oggi la creazione geme in travaglio (Rom. 8:22).

2. Jack Nelson-Pallmeyer, Is Religion Killing Us: Violence in the Bible and the Quran (New York: Continuum,2003).

3. Mi avvicino qui a quanto scritto da Benjamin Barber originariamente nell’articolo “Jidah vs McWorld” pubblicato sull’ Atlantic Monthly (marzo 1992) e successivamente in un libro. Barber parla di “un’unione confederale di comunità parzialmente autonome più piccole degli stati-nazione, legate insieme da associazioni e mercati più grandi degli stati-nazione, partecipative e autonome alla base in questioni locali e rappresentative e affidabili a livello più elevato.”

Clinton Bennet è attualmente professore associato all’ Unification Theological Seminary di Barrytown, New York. Quale ministro della Chiesa Battista è stato missionario in Bangladesh, cappellano universitario, pastore associato di una congregazione multirazziale, membro di comitati consultivi del governo e consulente del Consiglio Mondiale delle Chiese con una specializzazione per le relazioni cristiano-musulmane. Autore di sei libri, è anche membro del Consiglio Mondiale dell’UPF ed è un Ambasciatore di Pace. E’ sposato con Rekha, un’operatrice sociale originaria del Bangladesh.

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