17 aprile 2020

Nostalgia di Belgrado

di Simone Piscopello

Impossibile dimenticare l’esperienza di un viaggio che, anche se è durato pochi giorni, mi ha aperto non solo gli occhi ma anche prospettive nei pensieri e nel mio modo di vedere tanti aspetti della mia vita. Erano già tanti anni che mi incuriosiva l’idea di mettermi in cammino, e di raggiungere un luogo a molti sconosciuto, lontano dal classico turismo di massa, da quella calca che ti soffoca e che spesso ti impedisce di vedere anche l’essenziale: sì perché l’essenziale come avrebbe detto il Piccolo Principe “è invisibile agli occhi”, “non si vede bene che con il cuore”. Ed è stato così che l’estate scorsa, approfittando delle vacanze estive, ho deciso di
prendere un treno, dirigermi verso Trieste e di lì poi prendere un autobus: direzione Belgrado, capitale della Repubblica Serba. A dire il vero ne avevo già sentito parlare, con un nonno di origini montenegrine, e molto legato ai luoghi dove era cresciuto, alle storie di cui aveva sentito parlare, trasmesse a me e spesso legate a una città che nella mia immaginazione appariva come una sorta di contrasto: da una parte la città aurea descritta da lui (il nonno) con molte opportunità, grandi monumenti, bellezza a perdifiato, mentre dall’altra, la classica idea che l’italiano medio e mediocre si è fatto grazie al regalo dei soliti media di disinformazione, dove il popolo serbo viene dipinto come brutto e cattivo. È chiaro che se scrivo questa testimonianza, così non è stato: aveva ragione il nonno.
Quello che colpisce quando si sale su di un autobus affollato di serbi, sono le persone che ti stanno accanto: festose, allegre, impazienti di tornarsene a casa e non mi è difficile immaginarne il motivo. Il viaggio è lungo e dura una notte intera, i sedili sono scomodi ma anche se la schiena duole ci si diletta tra due chiacchiere in italiano (ahimè non conosco la lingua serba), e una banana o un panino offerti con il sorriso, simpatia e generosità, da qualche prezioso compagno di viaggio. Quello che si apre una volta scesi alla stazione degli autobus di Belgrado è una grande piazza e in un certo senso una vaga sensazione di smarrimento: i pregiudizi forse non mi hanno ancora lasciato, bisogna stare attenti, siamo nell’est, siamo in Serbia. Il taxi mi porta nell’appartamento in pieno centro a due passi dal parlamento. Lì mi accoglie, aspettandomi a braccia aperte, Gordana, che diventerà una cara amica. Per me, in cucina, dopo una notte di viaggio, è stata preparata ed offerta la tipica colazione serba, gustosa e genuina, indimenticabile soprattutto perché offerta e preparata con amore. Il primo giorno se ne va sul letto, quando verso sera decido di uscire per fare due passi, per poi tornarmene dopo un po’ e riprendere il mio sonno ristoratore. Ma alle 2:30 di notte mi sveglio e decido che forse non avrei dovuto sprecare il mio venerdì sera, dovevo muovermi, uscire, cercare un posto dove divertirmi e così esco alle due di notte cercando un locale dove andare a ballare. Ed è così che incrocio un gruppo di quattro ragazze tra l’altro bellissime. Non ho che da chiedere dove posso andare, per essere da loro guidato, e sentirmi loro amico e compagno della notte che sta per trascorrersi. Nessun pregiudizio per lo straniero alle due di notte in centro Belgrado. Nessuna paura verso di me che non parlavo nemmeno la loro lingua: sto provando ad immaginare se avessi provato a fare la stessa cosa in Italia, nel mio paese, cosa mi avrebbero risposto le nostre di ragazze. Invece “il vieni con noi” è stata la loro prima risposta così spontanea e naturale che mi ha fatto sentire non più ospite, non più accolto, ma semplicemente uno di loro. E pensare a come si è comportato il mio Paese nei confronti di questo popolo: chissà se anche noi italiani saremmo capaci di lasciarci alle spalle i torti subiti solo vent’anni prima. È un segno di grande cultura internazionale e di grande rispetto della persona come valore universale nel momento in cui viene presa e considerata semplicemente come essere umano e non per il luogo da dove proviene, possa piacere o meno il passato. Nessuna malizia, nessun doppio fine, soltanto il desiderio di conoscersi e divertirsi con queste ragazze meravigliose e con i loro amici poi, uno di loro, italiano tra i serbi e poi serbo anch’io.
Cosa ho visto Belgrado? Ho visto davvero una città luminosa, sicura al punto che si può passeggiare in piena notte senza preoccuparsi in nessun modo per la propria incolumità. Ho visto una città internazionale, aperta, moderna, accogliente, buona da gustare e dall'inebriante profumo. E non mi interessa nemmeno scostarmi dalla realtà perché so benissimo che anche in Serbia ci sono tanti problemi così come ce ne sono in Italia e in tutto il resto del mondo. Sono consapevole che non tutto è oro quello che luccica. Mi è chiaro che è una vacanza una vacanza, che il divertimento finisce prima o poi, e che dopo domenica è lunedì. Ma certe immagini dalla mente non si possono cancellare: a Belgrado tutti ti sorridono. A Belgrado nessuno ti chiede nulla in cambio, e quando si tratta di darti aiuto diventa tutto spontaneo e naturale. A Belgrado tutti cercano di parlare la tua lingua anche se non la conoscono, perché vogliono capirti e farsi capire da te. A Belgrado le persone che ho incontrato hanno fatto di tutto per far si che io mi sentissi felice e a mio agio. E non credo che si tratti solamente di una grande tradizione di ospitalità. Penso che ci sia qualcosa in quelle persone, profondamente permeato nel loro animo e nella loro cultura al punto di essere diventato un modo di essere: semplicemente di essere Serbi. E così giorni sono trascorsi che non me ne sono nemmeno accorto, ma sono tornato a casa con una grande nostalgia e il desiderio di ritornare prima o poi, forse presto, e comunque quando sarà passata questa burrasca che sconvolge il mondo intero.

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