7 dicembre 2016

LA CULTURA DEL BENESSERE PROMUOVE LA CULTURA DELLA PACE

Colle Mattia (Roma), 1 ottobre 2016

Intervento di Maria Grazia De Angelis*

1. CULTURA DELLA PACE E CULTURA DEL BENESSERE: valori universali
Parlare di benessere (vale anche il corrispondente inglese ‘wellness’) in questo momento storico in cui si assiste da un lato a una enorme accelerazione delle disparità riguardanti basilari e prioritari problemi di giustizia ed equità sociale; dall’altro, lo stesso lavoro rimane per ciascuno un aspetto irrinunciabile a prescindere dalle condizioni in cui si svolge, può sembrare anacronistico. Ma parlare di benessere non significa solo parlare di benessere economico poiché con tale parola si indicano anche tutte le misure volte a promuovere e tutelare il benessere fisico, sociale e psicologico di una persona, includendo quindi il suo benessere organizzativo in quanto lavoratore e il suo benessere sociale in quanto cittadino, il suo benessere individuale in quanto componente di un nucleo familiare.
La “pace” ed il “benessere” rappresentano quindi, oltre che valori universalmente riconosciuti, una condizione sociale, relazionale, politica e per estensione anche personale ed intraindividuale, caratterizzata dalla presenza di condivisa armonia e contemporanea assenza di tensioni e conflitti. 

Più specificatamente, la pace, come il benessere sociale ed individuale sono molto più che il risultato di trattati o di uno sviluppo economico, in quanto rappresentano valori in grado di superare qualsiasi barriera sociale e/o religiosa ed ogni pregiudizio ideologico in modo da evitare situazioni di conflitto tra due o più persone, due o più gruppi, due o più nazioni, due o più religioni.
La pace come il benessere   esistono quando tutti sono liberi di sviluppare sé stessi, attraverso la valorizzazione delle diversità professionali, la promozione di stili di vita e relazioni interpersonali sani, senza quindi la necessità di conflitti per garantire i propri diritti.
Il concetto di cultura della pace fu formulato al Congresso Internazionale sulla Pace in Costa d'Avorio nel 1989. Il Congresso raccomandò all’UNESCO di lavorare per costruire una nuova visione della pace basata sui valori universali di rispetto per la vita, la libertà, la giustizia, la solidarietà, la tolleranza, i diritti umani e l'uguaglianza tra uomo e donna. Il 13 settembre 1999 l'Assemblea generale dell'ONU approvò la risoluzione 53/243 adottando con essa la Dichiarazione per una cultura della Pace.  Anche la cultura del benessere ha iniziato a farsi strada negli anni ‘80 quando si sono visti i limiti di una cultura legata solo al concetto di efficienza e produttività e si è incominciato a parlare di Responsabilità sociale d’impresa. Dal Benessere Organizzativo al concetto di Benessere Sociale il passo è stato segnato da alcune linee guida e direttive comunitarie che hanno introdotto il concetto di “valore condiviso”, concetto che parte dall’acquisita consapevolezza che nessuna azienda è un’entità a se stante e che il successo di tutte le imprese è influenzato dai servizi di supporto e dalle infrastrutture che le circondano, nonché dal contesto sociale in cui opera.  Con il concetto di valore condiviso si è ricomposta la scissione tra valore di scambio e valore d’uso delle merci e dei servizi, recuperando una più stretta relazione, nell’ambito del mercato, tra le esigenze e i bisogni delle persone, sia come individui che come collettività,  e l’attività economica e finanziaria, ridefinendo, cioè, il rapporto tra mezzi e fini ed affermando in modo più chiaro e netto che l’economia, il mercato, la produzione e la finanza costituiscono gli strumenti attraverso i quali si possono combinare i diversi fattori per ottenere maggior valore sociale, in termini di più elevato benessere materiale, ma anche umano, culturale, civile; sia per gli individui che per il territorio. 

2. DOVE SIAMO: il contesto attuale
Papa Benedetto XVI in un discorso del 2011 affermava “l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Ma anche l’ambiente sociale ha le sue ferite tutte causate in fondo dal medesimo male: la mancanza dell’etica della responsabilità”.
Il Papa parla di ferite, ma quali sono queste ferite? Al riguardo può essere illuminante partire da una ricerca del CENSIS presentata nel luglio 2013.  La ricerca definisce questo spaccato di società come “La Società Impersonale”. È una società che per effetto della crisi può provocare “aggregazioni sociali” legate, non tanto e non solo alle disponibilità socioeconomiche, quanto agli stili di vita ed ai suoi effetti (26,6% degli intervistati); ma è anche una società caratterizzata da “tensioni sociali” derivanti dal conflitto tra chi paga le tasse e chi non le paga (28,5%), tra gli autoctoni e gli immigrati (27,6%) e a seguire tra ricchi e poveri (18,4%). È una società in cui nessuno ascolta e tutti guardano. Il che significa un certo rapporto con i consumi, un modo di essere, agire, di pensare se stessi e il proprio ruolo secondo criteri impalpabili: il popolo dei Suv, il popolo delle partite IVA, il popolo dei neet, il popolo dei velisti, etc. Infatti alla richiesta di indicare le persone alle quali si sentono più vicine, il 26,6% degli italiani ha citato quelle che hanno stili di vita simili, Mentre solo il 16,5% si sente attratto dalle persone che hanno alcuni valori fondamentali comuni, dal patriottismo alla tolleranza; il 16,4% dall’appartenere alla stessa generazione; il 10,4% dal vivere nei pressi, in prossimità; il 7,9% dal fare lo stesso lavoro, il 7,3% dall’avere lo stesso reddito e quote residuali hanno ricondotto il concetto di vicinanza alla dimensione politica (2,8%) e religiosa (2,4%). Dall’indagine emerge inoltre come si sta affermando la tendenza a difendere con ogni mezzo quello che si ha, con l’alto rischio di una metamorfosi della società “impersonale” verso una “soggettività” che offre spazio al propagarsi della rabbia e della paura per il futuro. In particolare due dati su tutti sono allarmanti: negli ultimi due-tre anni gli italiani ritengono di essere diventati più preoccupati (52%) e più arrabbiati (50,5%). Sono infatti questi i sentimenti che più connotano questi anni di persistenza della crisi, seguiti a grandissima distanza dalla paura (17,6%) e da una maggiore rassegnazione (14,7%). Sentimenti più positivi, come la reattività, giocano poco; mentre questi sentimenti di rabbia e preoccupazione si concretizzano, sempre dal punto di vista dei cittadini, nell’avere iniziato a provare rabbia verso politici e istituzioni (quasi il 45%) e nella minore fiducia nel futuro (40,1%). Si può pertanto affermare che la società attuale più che irresponsabile sta sempre più diventando “deresponsabile”.
Se entriamo più specificatamente nel settore lavorativo, la situazione non sembra migliore. La stessa CEI nel messaggio per il primo maggio 2016 stigmatizza la situazione attuale affermando “la paura di perdere il lavoro spinge a condividere che nulla sia come prima: dignità diritti salute” La scarsità di lavoro in Italia “porta sempre più persone impaurite dalla prospettiva di perderlo o di non trovarlo, a condividere l’idea che nulla sia più come è stato finora: dignità diritti salute finiscono così in secondo piano. Si tratta di una deriva preoccupante messa in moto dal perdurare di una crisi economica stabilmente severa e dalla disoccupazione che tocca sempre più segmenti della popolazione anagrafici e demografici (i giovani, le donne, gli ultra cinquantenni) e da un cambiamento tecnologico che da più parti viene definito in termini di quarta rivoluzione industriale”. “C’è quindi bisogno di educare al lavoro” che deve tornare ad essere luogo umanizzante”
Fondamentale dovrebbe essere l’impegno da parte non solo dei singoli lavoratori ma soprattutto dell’organizzazione aziendale di prevenire disagi e contrasti e di promuovere il cosiddetto benessere organizzativo. Esso risulta essere combinazione di più elementi al fine di conseguire un comune obbiettivo di crescita e produttività. Nel libro “Benessere Personale e Benessere Organizzativo: un binomio possibile?” edito dalla Franco Angeli evidenzio come la mancata realizzazione di una buona cooperazione tra singolo e organizzazione lavorativa può comportare numerosi problemi per entrambe le parti, di carattere economico e di carattere psicosomatico. Numerosi sono infatti gli elementi che concorrono  a minare la condizione di benessere negli ambienti e luoghi di lavoro: la mancanza di organizzazione e programmazione del lavoro, la fatica, ritmi veloci, l’incertezza relativa al ruolo da svolgere, la mancanza di controllo del proprio lavoro, le richieste superiori alle proprie capacità, la cattiva strutturazione e vivibilità dei luoghi di lavoro; relazioni e comunicazione interpersonale, fattori di igiene del lavoro, e per tornare alle parole di Benedetto XVI la mancanza dell’etica, della responsabilità.

DA DOVE RIPARTIRE: agire e non reagire
Il disagio lavorativo in continuo aumento nelle Organizzazioni porta spesso a facili colpevolizzazioni di manager, imprenditori e più in generale del capitalismo. Nel mio ultimo libro “Illuminiamo i pollai” della Nep edizioni, sottolineo come mentre l’incremento del disagio lavorativo e dei conseguenti costi sociali è in gran parte frutto di un diffuso malessere generato, non solo dal sistema azienda, ma anche dal contesto in cui imprenditori  e cittadini sono costretti da Banche e  Stato a “fare impresa e a fare famiglia”. Ci troviamo, infatti, a vivere in una società definita “impersonale”, murati nella solitudine di rapporti aleatori, intermittenti, rapidi e di affetti offuscati dalla quotidianità che non riescono ad affrontare le questioni più profonde, come tanti “polli in batteria” che subiscono il loro stato senza la forza di coalizzarsi per uscire dall’oscuro abisso in cui sono precipitati e costretti a vivere.
Nell’ultima enciclica sulla cura della casa comune, Papa Francesco ci ha indicato la strada da seguire se vogliamo cambiare il contesto attuale “Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di prendere coscienza della necessità di cambiare profondamente gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società… Se impostiamo i nostri modelli di sviluppo in maniera dissennata e lasciamo che la politica soggiace all’economia e l’economia alla tecnologia, e l’uomo al profitto è inevitabile il degrado ambientale umano e sociale”.
Nel mio ultimo libro, dopo avere stigmatizzato i fattori che generano malessere nella società attuale a seguito dell’aumento delle disuguaglianze, della mancanza di lavoro, della riduzione delle sicurezze, dello strapotere di pochi ai danni dei molti, vengono fatte alcune proposte per porvi rimedio. Ed analizzati gli strumenti in grado di rompere i modelli mentali attualmente imperanti, di contrastare lo spirito di sfiducia e di rinuncia, nonché di creare una tensione emotiva verso l’obiettivo comune della “crescita”.  Le proposte di cambiamento riguardano in primo luogo le aziende e le parti sociali, ma anche gli educatori e tutti i cittadini che non vogliono arrendersi alla logica del “decadentismo” culturale, sociale e politico. Il libro vuole infatti essere una bussola per non perdersi nel rumore mediatico, per ridare valore al lavoro, per non perdere la fiducia in un nuovo rinascimento non solo italiano ma anche europeo, per meglio orientare i nostri comportamenti, riscoprendo l’importanza di valori: come la solidarietà, l’identità, la legalità e la trasparenza. Se si vuole perseguire l’obiettivo della pace e del benessere è necessario agire e non solo di reagire facendosi parte attiva nel processo di cambiamento di:
aziende, chiamate in primis a gestire il disagio lavorativo nelle organizzazioni e a passare dall’impresa del massimo profitto, che ha generato disoccupazione, all’impresa del giusto profitto che genera sviluppo economico;
parti sociali, che hanno il ruolo di diventare attori del cambiamento, attraverso scelte che portano al giusto equilibrio tra Stato e Mercato, a un contesto contrattuale ed operativo favorevole alla diffusione e alla giusta incentivazione di quelle aziende che dimostrano di essere socialmente responsabili;
educatori che hanno l’importante compito di fare comprendere alle nuove generazioni che è tempo di tornare alla centralità della persona e della comunità, partendo proprio dalle prime comunità: la famiglia e la scuola, e dalla riscoperta dei valori inseriti nella nostra costituzione.
Isha Babaji autore del libro “Formula Salva Pianeta” afferma che “Tutti i problemi nascono dalla mancanza di vero amore nelle persone”. È proprio la mancanza di amore che porta ad esprimersi attraverso i “veleni interiori” quali: ira, odio, rabbia, gelosia, avidità, orgoglio… e si manifesta attraverso “atti e atteggiamenti distruttivi” quali: vendette tradimenti, corruzioni, divisioni, violenze, falsità… che a loro volta permettono di creare e far creare guerre, fame, scie chimiche, sostanze chimiche cancerogene…
Di qui l’importanza di una cultura della pace e del benessere intese come conoscenza diffusa e consapevole dei fattori che contribuiscono a creare condizioni di giustizia reciproca tra i popoli e le persone.

*  Presidente AISL_O, Associate Partner Temporary Management & Capital Advisors

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